Saggi poetici (Kulmann)/Parte prima/La viola

Parte prima - La viola

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Parte prima - La rosa Parte prima - L'iride
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LA VIOLA


Un dì, che Citerea
     Vide le praterie
     Della diletta Rodi
     Riccamente vestite
     5Di vaghe e fresche rose,
     Risolse quel bel fiore
     In Pafo sua recare.
     E colle tre sorelle
     Percorre lietamente
     10Di Rodi le vallee,
     Ed a tal uopo sceglie
     I più robusti steli.
Ripiena già di rose
     La risplendente conca,
     15Così Talia dicea:
     «Tu trasportare in Pafo
     Vuoi la diletta rosa;
     Consenti a noi che a un tempo,
     Scelto il fiorel più caro,
     20Ornar possiamne il tuo
     Giardino dilettoso:
     Che non vi scorsi mai
     L’amato mio giacinto.»
     E soggiungeva Aglaja:
     25«Nè io mai l’azzurrino
     Mio caro fioraliso.» –
     «E benchè spunti in Pafo
     Il mio diletto fiore,
     Soggiunse Pasitea,
     30Non è sì vago e bello,
     Nè spande il grato odore,
     Quale fan quei che sorgono
     In questi ameni luoghi.»
Ciprigna sorridendo
     35Approva l’innocente
     Loro desire, ed esse
     Rapidamente corrono
     Cercando, dove sperano
     Trovar que’ vaghi fior.
     40Venere sta frattanto
     Presso alla conca d’oro,
     In mente sua veggendo
     L’Idalico giardino
     Dovunque ricoperto
     45Di magnifiche rose;
     E colla molle mano
     Carezza il bianco collo
     De’ corridori alati.
Il magico cantore
     50Dell’alma primavera,
     Un vago Capinero,
     Scorgendo dal pendio
     D’un poggio non lontano
     L’aurea conca e Ciprigna,
     55Si volse di repente
     Alla diletta amica,
     Modesta vïoletta,
     E ’l grave suo cordoglio
     In tal guisa scoprì:
     60«Vedi tu là sul colle
     La Diva d’Amatunta
     E la dorata conca,
     Che brilla al par del sole?
     E vedi tu com’ella
     65Carezza i cigni suoi?
     Venere tra gli augelli

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     Il vago cigno scelse
     E tra i fiori la rosa;
     Giunone il tulipano
     70E l’occhiuto pavone;
     E delle oscure selve
     La solitaria Dea
     il garofano ameno
     E ’l rapido falcone.
     75Non dubbio v’ha che sieno
     Degni di tal ventura:
     N’è degno il bianco cigno
     Per la bellezza sua,
     Il fulgido pavone
     80Pel lustro delle piume,
     E l’audace falcone
     Per l’altissimo volo.
     Ma cedono essi tutti
     Nel canto a me, sì come
     85Ti cedono quei fiori
     Nello squisito odore.
     E perchè, di’, noi soli
     Tra i fiori e tra gli augelli
     Vita viviamo oscura
     90Negletti e tralasciati?»
     «T’accieca, gli rispose
     La candida vïola,
     Il tuo per me soverchio
     Amor, se me compari
     95Alla vezzosa rosa,
     Ch’è quasi ambrosia pura.
     E se la scelse Venere,
     Bene a ragion la scelse,
     Di tanto gli altri avanza
     100Leggiadri fior, la rosa,
     Di quanto avanza l’altre
     Del cielo abitatrici
     La stessa Citerea.
     Io di mia sorte vivo,
     105Dolce amico, contenta
     Qui nell’umile grembo
     Della terra natia,
     Scevra d’affanni e cure;
     Ignota sì, ma in cambio
     110Dall’insidie sicura
     Della sempre inquieta
     Invidia dai cent’occhi;
     Ignota sì, ma non tanto,
     Che, per ornar la folta
     115Sua chioma, non mi scelga
     La vaga pastorella,
     Che si prepara al ballo.
     L’oscuritade mia,
     Non che venirmi a noia,
     120M’è cara e mi fe’ ricca
     Dell’amor del più vago
     E più dolce cantore1
     Dell’alma primavera.
     «Non desiare, amico,
     125Stato che cuopre e asconde
     Con lusinghier splendore
     E cure e noje e danni.
     Se pur Nume propizio,
     Rimunerar volendo
     130Il saldo merto tuo,
     Te per compagno sceglie,
     Sai tu qual sia tua sorte?
     Scorrere i giorni tuoi
     Tra lo splendor vedrai
     135Insieme col superbo
     Di Giove messaggiero,
     Insieme coll’altiero
     favorito di Giuno.
     Uso finor tu sei,
     140Che allor che canti, il fiume
     Il campo e la foresta
     T’ascoltino silenti,
     T’ascoltin l’aure e i venti.
     Or pensa se a te dato
     145Fora con lieta mente
     Veder, che, mentre incanti

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     Gli abitator celesti
     Colle soavi note
     Del tuo cantar sì dolce,
     150L’aquila, portatrice
     De’ fulmini di Giove,
     Li strascichi dal cielo
     Sul rimbombante piano;
     O che ’l pavon di Giuno
     155Con rauco ingrato strido
     Il cantar tuo distrugga?
     Giovine troppo, amico,
     Ed inesperto sei.
     Al tuo bramato onore
     160Potrai con breve passo,
     Ove tu ’l voglia, alzarti;
     Ma, in seno a tua grandezza,
     Sospirerai tu forse
     Inutilmente allora
     165Il primitivo stato.»
Così diss’ella: ed ambe
     Veggono, come Aglaja
     Sen vien portando a stento
     Ver la dorata conca
     170Di fioralisi azzurri
     Ricca abbondante copia;
     Mentre Talia la vaga
     Pieno recando il grembo
     Di leggiadri giacinti
     175Dall’altro lato avanza.
     Dispongono le suore
     L’odorifera messe
     Nella splendente conca,
     Sì che di scelti fiori
     180Sia tutta inghirlandata.
Ma lungi dalle suore
     La dolce Pasitea
     Va con erranti passi,
     Dovunque ricercando
     185Il suo diletto fiore
     Ella ben spesse volte
     Inchina qui la testa,
     Estende là la mano;
     Ma sembra che sien vane
     190Tutte le sue ricerche,
     Che in mezzo a questi prati
     Non nasca, o sol di rado,
     Il fiore ch’ella cerca.
La giovanetta Dea
     195Frattanto s’avvicina
     Al luogo, dove in seno
     All’erba umìle e folta
     Nascosti stan gli amici.
     E disse la vïola
     200All’augellin canoro:
     «Amico, la fortuna
     Arride alle tue brame!
     Ecco il momento, tutte
     Esse compirsi ponno,
     205Che già appressarsi veggo
     La Diva inverso noi.»
Ebbro dall’alta speme
     Di veder pur compita
     L’ardente brama sua,
     210L’augel più dell’usato
     Scioglie la grata voce,
     E batte l’ali e spande
     Intorno a sè torrenti
     Di magica armonia.
215I fiori oblia la Diva,
     Udendo il dolce canto,
     E dirizzando i passi
     Là, donde par che sorga
     L’incantatrice voce,
     220Improvviso discuopre
     I due nascosti amici;
     «Così dunque, lor disse
     La Diva, qui vi trovo
     L’uno dell’altro accanto,
     225Degnissimo modello
     Di tenera amistade!...
     Ma, mio diletto fiore,
     Benchè tutte sorpassi
     Le suore tue di Pafo
     230In lustro ed in bellezza,

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     E benchè al mio tornare
     Le sorelle a vicenda
     Di me si befferanno,
     Che dopo gran ricerche
     235A vuote mani io rieda,
     Risolvermi non posso
     A separarvi, amici!»
     E dopo che mirati
     Gli ebbe di nuovo ancora
     240S’allontanò la Dea.
Allo sturbato amico
     Sì disse la violetta:
     «Tu mesto, anzi adirato
     Sei dell’inaspettata
     245Mancanza di successo!
     Ma dimmi, dolce amico,
     Vorresti tu seguire
     Un nuovo mio consiglio,
     Che condurrà, te ’l giuro,
     250Il gran disegno tuo
     Alla bramata fine?
     Svelli tu ora dal suolo
     L’intera pianta mia,
     E recala alla Diva.
     255Son pronta ad immolarmi
     Per renderti felice;
     Ma se t’arrendi, amico,
     Al mio consiglio, è d’uopo
     Che tosto tu lo segua.»
260Di gioia trasportato,
     L’augello, frettoloso,
     Sveglie dal sen materno
     L’amico fiore, siegue
     La giovanetta Dea,
     265E intorno a lei volando,
     Scioglie la voce sua
     In inaudite note,
     Finchè, meravigliata,
     Ella la testa volge,
     270E vede il capinero
     Recarle il vago fior.
La Diva, intenerita,
     Stendendogli la mano:
     «Non vo’ privarti, disse,
     275Della compagna tua.
     Voi rimarrete insieme
     Sempre da me: tu, caro
     Mio fior, ne’ dì festivi
     M’adornerai la chioma;
     280E tu, cantor sonoro,
     Me e le sorelle mie
     Ognora seguirai
     Inseparabilmente,
     Saltellando a tua posta
     285Dall’una man nell’altra,
     O a riposar, se il brami,
     Sovra del nostro seno.

Note

  1. Si suppone dall’autore che il rosignolo non esista ancora.