Saggi poetici (Kulmann)/Parte prima/L'amaranto

Parte prima - L'amaranto

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L’AMARANTO


Poi che le tracie donne,
     Dell’Ebro all’onde oscure
     Gittaro il capo e il liuto
     Del cantator divino;
     5Immantinente i teli
     Mortiferi di Febo
     Con orrido stridore
     Distruggeano i viventi.
     Il can fedele spira
     10Appresso al cacciatore;
     Appo l’aratro muore
     L’agricoltore, e cadono
     Ambo aggiogati i buoi;
     Soggiaciono congiunti
     15Cavallo e cavaliere.
     Benchè gli altari grondino
     Di svenate ecatombi;
     Benchè l’ardite volte
     Dei tempj spazïosi
     20Abbruni ’l denso fumo
     Degli aromati accesi;
     I Numi non perdonano
     L’orribile misfatto.
     Un anno intero scorse
     25In pianto e in crude angoscie,
     Pria che così di Febo
     L’oracol rispondesse:
     «Sin ch’ostie non si svenino
     D’Orfeo sull’alta tomba,
     30Non cesserà la strage
     E la vendetta mia.
     Del sacro avello indizio
     Saran l’intatta lira,
     Il nuovo augel canoro,
     35Onor della foresta,
     E quel che vago spunta
     Inappassibil fiore.»
Di terror pieni, i Traci
     Odon l’oracol fero,
     40E ad ubbidir s’accingono
     Alla prescritta legge.
     Lanciarono nell’onde
     Del vorticoso fiume
     Un’ampia e salda nave,
     45Carca de’ sacri vasi
     E di sacerdotali
     Pompose vestimenta,
     De’ più squisiti aromi
     E d’ecatombe eletta;
     50Ed il nocchier canuto
     Col gesto e colla voce
     Incalza il giovanile
     Stuolo de’ rematori,
     Che a misurati colpi
     55Fendono l’onde torbe
     Del romoroso fiume.
Appena che l’Aurora
     Appare in cielo, cinta
     Di rugiadoso croco
     60E d’odoranti rose,
     Infin che ’l sole spinge
     Nel mar le ruote d’oro,
     Percorrono le sponde
     Del serpeggiante fiume,
     65Ogni parte scorrendo
     A ricercar la tomba
     Del placido Cantore.
Ben sette giorni invano

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     Ovunque scorso aveano,
     Quand’all’ottavo scorgono
     Là sul Dorisco campo
     Sorger maestoso un tempio,
     Cui cerchio fan colonne,
     Che terse il sol rifrangono.
     A Giuno sacro è il tempio.
     Deposti a piè dell’ara
     Dovizïosi doni,
     Richieggono sommessi
     Alla sacerdotessa,
     Ove d’Orfeo ritrovisi
     Il riverito avello.
Ed ella a lor: «Volgete
     Ver l’oriente: immensa
     Del fiume in mezzo sorge
     Dismisurata rocca,
     Che, qual un’aurea torre,
     Al cielo il capo estolle.
     La cima sempre ha cinta
     Da porporina nube.
     Ne’ prischi tempi stava
     Del fiume al manco lato.
     Compie or suo giro il sole,
     Che qui mi stava sola
     Sul limitar del tempio,
     L’aura godendo e il dolce
     Rezzo di notte estiva;
     E vidi insanguinato
     Nuotare un capo umano
     E un liuto in mezzo all’onde.
     Parvemi udir lamenti
     Da quel teschio mandati;
     Del liuto udii distinti
     I dolorosi suoni.
     Allor che giunti furo
     A quell’ignudo scoglio,
     Alzarsi maestoso
     Vidi dal sen dell’acque,
     Dell’onde il Re coll’alto
     Tremendo scettro in mano.
     Con voce eguale al tuono
     Ei minacciò terribile
     Lo spaventato fiume;
     Col ruvido tridente
     E col braccio arrestando
     Gl’impetuosi flutti,
     Del mar la foce chiuse.
     Poi, raccolse pietoso
     Il mozzo capo e il liuto,
     Ascese l’aspra rocca,
     E ai passi suoi d’intorno
     Alto tremava il suolo;
     E della roccia al sommo
     Stette, finchè la notte
     L’aspetto suo mi tolse.
     «S’innalzano frattanto
     I trattenuti flutti,
     Adeguano repente
     Del fiume l’alte sponde,
     Che temon straripando
     Di ricoprire i campi
     Amati da Giunone,
     Le crude paventando
     Vendette della Dea.
     E con immensi sforzi
     Tentando nuova via,
     Distaccano dal lido
     La smisurata rocca,
     Che, dell’Aurora al sorgere,
     Qual isola mi apparve.
     E veggo il fiume rapido,
     Ripreso il corso antico,
     Liberamente schiudersi
     Al vasto mare il varco.
     «Ma questa meraviglia
     Sola non fu: repente
     La cima dello scoglio,
     Che fin allora nuda
     Ergevasi alle nubi,
     Agli occhi stupefatti
     Mostrossi inghirlandata
     D’alti, robusti allori,
     Che, ignari della dolce,

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     Gioconda fanciullezza,
     Ignari della vaga
     Focosa gioventude,
     Qual Oto ed Efialte,
     5Già nacquero giganti.
     «Ma quel portento ancora
     Tosto m’uscì di mente,
     Quando agli sguardi miei
     Terzo ne apparse un altro
     10Più grandïoso assai.
     Purpurea luce stendesi
     Dalle dorate porte
     Dell’alba, ver la cima
     Dell’isola novella,
     15Quasi un arco gigante,
     Ch’a poco a poco innalzasi
     E scende a poco a poco;
     Ei nell’azzurro seno
     Del mare si riflette,
     20E par novella luna
     In rovesciato cielo.
     «Ecco da’ lidi Eoi
     Escono dell’Olimpo
     L’eterne abitatrici,
     25E su quel ponte incedono
     A due a due, recando
     De’ ramuscelli in mano,
     Ver la sublime rocca.
     Apre lo stuolo augusto
     30La figlia di Taumante
     Col variopinto velo,
     Che muove a grado il soffio
     De’ Zeffiri scherzosi;
     Lo chiude, andando sola,
     35Alteramente Giuno.
     Che facessero, entrate
     Nel sempre-verde bosco,
     Niun ridirlo potria;
     Ma allor che ritornaro
     40Alle celesti stanze,
     Quell’arco maestoso,
     Abbandonato il cielo,
     Calossi a poco a poco
     Ver la silvestre rupe,
     45E sua purpurea luce
     Sulla cima posando,
     Alle lontane navi
     Era di scorta amica.
     «Ma niuno osò varcare
     50Il bipartito fiume,
     Nè vide mai quell’isola
     Orma di piede umano.
     Tanta temenza imposero
     Gli avvenimenti strani.»
     55Qui la sacerdotessa
     Si tacque. Risvegliossi
     In ogni cor la speme.
Come sagrificato
     Ebbero al poderoso
     60Dominator de mari,
     A seconda dell’onde
     Costeggiando il Dorisco
     Bel verdeggiante campo,
     S’approssimaro trepidi
     65E con sacro terrore
     All’isola novella:
     Non porto, non sentiero
     Trovâr che li guidasse
     Alla dell’alto scoglio
     70Misterïosa cima.
Così seguiro in vano
     Dell’isola l’intiera
     Occidentale sponda;
     E pervenuto al luogo,
     75Ove ambedue le braccia
     Non forman ch’un sol fiume,
     I pellegrin devoti
     Sacrifican di novo
     All’alto Re dell’onde,
     80E varcano sicuri
     L’orïentale sponda
     Dell’isola temuta,
     La corrente forzando.
     E percorsa la via

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     85Quanto appunt’un trar d’arco,
     Discoprono spazioso
     Alle tempeste chiuso
     Sicurissimo porto.
Pronti v’entrâr; gittaro
     90L’ancore, e dalla nave
     Le vittime, le sacre
     Sacerdotali vesti,
     I vasi d’or, gli aromi,
     Di Cerere e di Bacco
     95I doni che richiede
     L’espiatorio rito,
     Al lido trasportaro.
     E mentre rivestirono
     Gli abiti lor festivi,
     100E l’ecatombe scelta
     Ornaro di be’ nastri;
     L’esplorator, da loro
     Mandato alla scoperta,
     Tornò narrando come
     105Via trovasse fra sassi
     Per arrivar de’ lauri
     Al mistico recinto.
A così fausto annunzio
     Colla speranza in core,
     110Senza frappor dimora
     S’incamminò ciascuno,
     Qual recando dell’are
     I sacri vasi, e quali
     Guidando pecorelle
     115Di nastri e fiori ornate.
     Seguirono un angusto
     Sentiero fra dirupi,
     E dopo molti giri
     Pervennero al ricinto
     120Degli alti e folti allori.
All’improvviso s’apre
     Un ampio mezzo-cerchio
     Di splendida verzura
     Di mille fiori pinta.
     125Circonda quel ricinto
     Un florido mirteto.
Nel fondo di que’ mirti,
     E da selvaggia rupe,
     Un limpido ruscello
     130Rapidamente corre.
     Copre la rupe in parte,
     E tutta la sorgente
     L’ombra distesa e bruna
     Di gigantesca quercia.
     135Pende dell’alta pianta
     A un ramuscel, d’Orfeo
     L’armonïosa lira.
Alto grido di gioja
     Il fausto evento annunzia!
     140Avidamente gli occhi
     Pascendo di tal vista,
     Un’ara di cespugli
     Alzar divotamente
     E con man rispettosa
     145L’ornar di seta e d’oro.
     Disposti poi d’intorno
     All’ara sette agnelli
     Nerissimi, lanuti
     E senza macchia alcuna:
     150Incominciar piangendo
     L’inno agli inferni Dei
     Per mitigar lor sdegno,
     Che con orrende pene
     Punisce l’omicida.
     155E tosto che la terra
     S’ebbe asciugato il sangue
     Degl’innocenti agnelli;
     Dall’alta quercia s’ode
     Il suono non ignoto
     160Della lira d’Orfeo,
     Che con sublimi accenti
     Preludio fa all’antico
     Impareggiabil inno,
     Con che quel sacro vate
     165Ne’ tempj, non ha guari,
     Al ciel chiedea perdono
     Pe’ miseri mortali.
Ed ecco che dall’acque

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     A stormi sorgon fuori
     170Marini informi mostri,
     Che sul muscoso lido
     Si stendono, e l’orrende
     Immense teste innalzano
     Ad ascoltar con gioia
     175Del liuto i vaghi accenti.
     I flutti, l’un all’altro
     Ognor con intervalli
     Eguali succedendo,
     Si spezzano spumanti
     180All’alta, cavernosa
     Ed echeggiante sponda
     In uniforme e grato
     Armonïoso suono.
Certi d’aver placata
     185L’ombra del divo Orfeo,
     Alzaro accanto al primo
     Un altro altare, e posti
     Che vi ebbero gli aromi
     E mele e latte e vino,
     190Sacrificaro al Vate,
     Come ad eroe si suole
     L’invocano con canti,
     Con fervide preghiere,
     E protettore il chieggono
     195Alla terra natale.
     Non odesi d’intorno
     Se non di quando in quando
     Un fervido sospiro
     Della prostrata turba,
     200Quando una voce chiara,
     Benchè lontana, s’ode,
     Che supera in dolcezza
     Di tanto il suon del liuto
     Del tracio Cantatore,
     205Quanto il divino canto
     Delle Pïerie suore
     Vince il magico suono
     Della lira d’Apollo.
     E sembra agli occhi loro
     210Che ’l bosco, l’aria, il mare,
     Che la Natura intera
     Ringiovanisca al canto.
Ecco dal sen del bosco
     Con moto, regolato
     215Sul misterioso canto,
     S’avanza variopinta
     E gigantesca serpe,
     Diresti un ondeggiante,
     Vivente arcobaleno.
     220Il drago portentoso
     Va dritto verso l’ara,
     Ed attorniato ch’ebbe
     L’altare dell’Eroe
     Con sette vasti giri
     225Dell’aureo-verde corpo;
     Egli alza il fiero capo,
     A cui radiosa cresta
     Di candido diamante
     Fa lucida corona,
     230E ’l mel, il latte, il vino
     Avidamente inghiotte.
     E poi che fu pasciuto,
     Il drago si distacca
     Dall’ara sontuosa,
     235E fa ritorno al folto
     E misterioso bosco.
Il venerando capo
     De’ sacerdoti disse:
     «Seguiam quel serpe, Orfeo
     240Ne lo inviò, placato!»
     E frettolosamente
     Il cenno s’eseguisce.
La vetta della rupe
     È cinta d’ogni intorno
     245Dalla novella selva,
     Come da larga siepe;
     Ma il centro vien coperto
     Da sempiterna nube.
I pellegrin divoti
     250Traversano da banda
     A banda il sacro bosco.
     Ed ecco agli occhi loro

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     Presentarsi (tal sembra)
     Dismisurata volta,
     255D’amatista formata,
     E che d’un trasparente
     Aereo velo pare
     Ognora inviluppata.
     La grandiosa mole
     260Ornata è di squisita
     E nuova architettura:
     Corintio colonnato,
     Simboleggianti fregi
     E cesellate porte.
     265Pajono di diamante
     e larghissime mura,
     E a disfidar capaci
     De’ secoli gli sforzi;
     E pur varcarle attoniti
     270I pellegrini ponno.
     Appena i primi entraro
     Nella stupenda mole,
     Che sembra lor passare
     E girarsi per entro
     275A fuggitiva nebbia,
     Qual repentina sorge
     Talor in sera estiva
     Dall’arida pianura
     O dal sonante fiume.
280Giunti che fur nel centro,
     Chiudono l’occhio offeso
     Dal subito splendore,
     Ond’inondato viene.
     Ma quando i lumi loro
     285S’aprirono di nuovo
     E sopportar potero
     L’insolito chiarore;
     Distinguono tre cerchi
     Concentrici di folta
     290Edera tutta in fiore,
     Che vi piantâr le Dive
     Dall’empireo venute.
     Risuonano que’ cerchi
     Del canto d’usignuoli
     295Cui Febo diede vita,
     E che l’oracol suo
     Chiamò la nova voce
     Dell’alma primavera.
     In mezzo ai vaghi cerchi
     300Innalzasi la tomba
     Del Vate caro ai Numi.
     Lieve la copre e chiude
     Un odorante musco;
     Le cinge intorno intorno,
     305Qual fregio d’or smaltato,
     Il drago dalle squame
     Splendenti e variopinte;
     E là dove riposa
     La testa del Cantore,
     310Vedesi vago un fiore
     Spuntar, che non paventa
     Del tempo i colpi edaci,
     L’amabil Amaranto.