Ovunque scorso aveano,
Quand’all’ottavo scorgono
Là sul Dorisco campo
Sorger maestoso un tempio,
Cui cerchio fan colonne,
Che terse il sol rifrangono.
A Giuno sacro è il tempio.
Deposti a piè dell’ara
Dovizïosi doni,
Richieggono sommessi
Alla sacerdotessa,
Ove d’Orfeo ritrovisi
Il riverito avello.
Ed ella a lor: «Volgete
Ver l’oriente: immensa
Del fiume in mezzo sorge
Dismisurata rocca,
Che, qual un’aurea torre,
Al cielo il capo estolle.
La cima sempre ha cinta
Da porporina nube.
Ne’ prischi tempi stava
Del fiume al manco lato.
Compie or suo giro il sole,
Che qui mi stava sola
Sul limitar del tempio,
L’aura godendo e il dolce
Rezzo di notte estiva;
E vidi insanguinato
Nuotare un capo umano
E un liuto in mezzo all’onde.
Parvemi udir lamenti
Da quel teschio mandati;
Del liuto udii distinti
I dolorosi suoni.
Allor che giunti furo
A quell’ignudo scoglio,
Alzarsi maestoso
Vidi dal sen dell’acque,
Dell’onde il Re coll’alto
Tremendo scettro in mano.
Con voce eguale al tuono
Ei minacciò terribile
Lo spaventato fiume;
Col ruvido tridente
E col braccio arrestando
Gl’impetuosi flutti,
Del mar la foce chiuse.
Poi, raccolse pietoso
Il mozzo capo e il liuto,
Ascese l’aspra rocca,
E ai passi suoi d’intorno
Alto tremava il suolo;
E della roccia al sommo
Stette, finchè la notte
L’aspetto suo mi tolse.
«S’innalzano frattanto
I trattenuti flutti,
Adeguano repente
Del fiume l’alte sponde,
Che temon straripando
Di ricoprire i campi
Amati da Giunone,
Le crude paventando
Vendette della Dea.
E con immensi sforzi
Tentando nuova via,
Distaccano dal lido
La smisurata rocca,
Che, dell’Aurora al sorgere,
Qual isola mi apparve.
E veggo il fiume rapido,
Ripreso il corso antico,
Liberamente schiudersi
Al vasto mare il varco.
«Ma questa meraviglia
Sola non fu: repente
La cima dello scoglio,
Che fin allora nuda
Ergevasi alle nubi,
Agli occhi stupefatti
Mostrossi inghirlandata
D’alti, robusti allori,
Che, ignari della dolce,