Saggi poetici (Kulmann)/Parte prima/Il narciso
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IL NARCISO
I giorni suoi dovea
Narciso ad Endimione,
Il solo fra i mortali
E fra gli Dei che seppe
5La Diva delle selve
A diporti più dolci
Ridur, che d’inseguire
Le belve, percorrendo
Dall’apparir dell’alba
10Fin alla tarda sera
Le arcadiche foreste,
Colla faretra e l’arco
Sul delicato dorso.
L’indole di Diana
15Vedeasi anche in Narciso.
Non conobbe altra gioja,
Che di punir l’astore
Che sua colomba uccise,
E lo punir con freccia,
20Che mai non erra, e giunge
Il crudo struggitore
Fin tra le stesse nubi.
Talor nelle vallee
Ella con piè veloce
25Siegue la timidetta
Lepre sin ai confini
Della lontana selva,
O coll’acuta lancia
Uccide astuta volpe
30Ch’ognor di sangue ha sete,
E senza udir consiglio
Cerca vorace lupo
O ferocissim’orso.
E allor che dal diurno
35Calore estivo esausta,
Viene al torrente alpino,
Onde trovar ristoro
Nelle fredd’acque immersa;
Non scenderà per certo
40Là dove il rio, cadendo
Con strepitoso fiotto
Da torreggianti rocche,
Placato e lento corre
ln men angusto letto;
45Ma tufferassi ardita
Col capo in mezzo all’onde
Vorticose e spumanti,
Godendo nel trovarsi
Fra densa nebbia avvolta,
50Che la ricuopra e splenda
D’arcobaleni d’oro;
In rimirar godendo
Scuoter le querce i rami,
Ch’oscurano la sponda
55D’impenetrabil ombra;
O le rupi, che i secoli
E l’onde disfidaro,
Veder, nella caduta,
Ripercuoter del sole
60I moribondi rai.
Uscia dall’onde, e i crini
Di lucidissim’oro,
Grondanti goccia a goccia
Colla destra spremea,
65E li annodava poscia
Sul capo baldanzoso.
Altera rivestía
Le mascoline spoglie,
Spregiando del suo sesso
70L’effeminate vesti,
Ed al paterno tetto,
Poco meno ch’ascoso
Da florida pervinca
E variopinte viti,
75Stanca rediva e lieta:
Posava il corpo lasso
Sulle ruvide spoglie
Di spaventevol orso,
E ritornava al bosco
80Pria che spuntasse l’alba
Dalle dita di rose.
Ogni garzone ardea
Per lei, che bella e altera
Amor spregiava. Il padre
85Diceale: «Mira, al figlio
Di Citereo soggiacciono
Gli Dei, non che i mortali.
E tu pensi sottrarti
Al comun fato, o figlia?
90Ama: felice sia
Sposo, che tal te renda;
E fa che lieto stringere
Al seno io possa ancora
I tardi figli miei.»
95Ed ella a lui, scherzosa:
«Padre, dicea, prometto
Dar la mia mano a lui,
Che sappia tormi il core.»
E baciando la fronte
100Del mesto genitore,
Ella sapea mai sempre
Sgombrar l’ansia e l’affanno
Dalla paterna mente.
Un dì, seguendo un daino,
105La foresta percorse
Dallo spuntar del sole
Fin al meriggio ardente.
Ode, assetata e stanca,
Il mormorio d’un rivo
110Fra le piante nascosto,
Il cerca, il segue e scorge
Ampio spazio racchiuso.
Altissime, muscose
E secolari querce
115L’adombran sì, ch’appena
V’entrin del sole i rai.
Distendono le piante
L’immobile lor ombra
Sovra le placid’onde
120D’un limpido laghetto,
Che molti rivi nutrono
Con cristallini umori.
Circonda il cheto lago
Erbetta molle e folta,
125Ed al riposo invita.
Narcisa affaticata,
Deposto l’arco d’oro
E ’l lucido turcasso
D’alate freccie pieno,
130Appiè d’una robusta
Antichissima quercia
Siede del chiaro lago
Sulla florida sponda,
E avidamente l’aura
135Balsamica respira.
Odesi all’improvviso
La dolce e mesta voce
D’un usignuol romito,
Che piange il vuoto nido:
140E par che la foresta
Al pianto suo pur piange.
La cacciatrice, scossa
Alle dolenti note,
Turbato il cor da ignoti
145Sensi, che non intende,
Involontaria rompe
In sospiri affannosi.
Dagli occhi un caldo fonte
Di lacrime le gronda;
150Ed in pensieri immersa
Or lieti, or spaventosi,
Ella insensibilmente
La bella testa inchina
Ver la fiorita sponda
155Dell’onde cristalline,
E là, sorpresa, scorge
L’immagine d’un Nume!
D’alto spavento piena
All’improvvisa vista
160Torce lo sguardo e preme
Le morbidette guancie
Contro alla dura scorza
Della ruvida quercia,
Che colle braccia serra...
165Ma dal terror rimessa,
A sè stessa dicea:
«Di che pavento io mai?
Fu quel che vidi, forse
Un mostro minaccioso?
170No. Vidi un Dio, di grave
E maestoso aspetto;
E forse affettuoso
Ed amorevol era;
Ma so, ch’oltre misura
175Era vezzoso e bello.
È ver, che ’l volto quasi
Femminil rassembrava;
Ma sono alle mie pari
E virili le spoglie.
180Ed il volto ch’io vidi,
È l’immago d’un Nume.
Non sono anch’io figlia
D’una possente Dea?
Egli è forse signore
185Di queste limpid’acque,
Ovvero.... Il Re dei mari,
E Giove istesso apparvero
A vergini terrestre!»
Sì dice, e timidetta
190Il vago volto inchina
Ver l’onde cristalline;
Ma pallida e tremante
Di bel nuovo lo sguardo
Ritorce ancor. Poi salda
195In sua ragion già fatta,
Narcisa incoraggissi
E contemplar risolse
Ciò che nell’onde appare.
«Oh! Dio! che vegg’io mai!
200Chiare là veggo espresso
Le materne sembianze:
Ecco l’altiera fronte,
E l’animato sguardo
Di Diana è quel ch’io miro!
205Ecco sue vaghe forme!
Erro.... o saresti mai
Del Dio di Delo un figlio?
Fors’è la genitrice
Che a me ti guida, e teme
210Che l’unica sua figlia
Ad un mortal s’abbassi.
Oh! caro padre mio,
Qual fora ’l tuo contento
In rimirar, qual brami,
215Sott’il paterno tetto
I tuoi nipoti, scesi
Da origine divina!
Ma sogno!.... egli mi guarda
Soavissimamente!
220Le semichiuse labbra
Mi svelano anelanti
In parole di fuoco
Il tenero amor suo.
Come amorosamente
225Le braccia a me protende!
Lascia le acquose stanze;
Lascia quell’antro tuo,
E quant’io t’ami, allora
Dolce amor mio, saprai.
230Ma tu non vieni? Forse
D’uopo t’è usar contegno
A te Nume, chiamato
Da vergine mortale?
O forse a te non lice,
235Signor di questo lago,
Venirne a terra mai?
Oh Dio! chi mi rapisce
L’amato Signor mio?
Chi intorbidò quest’acque,
240Per me’ rapirlo e asconderlo?
Invidiano gli Dei
Mia avventurosa sorte!...
Ma no. Dall’alta cima
Di questa quercia un frutto
245Cadde e turbò quest’onde.
Ecco ’l rapido augello,
Fedele messaggiero
Dell’alma genitrice
Staccò matura ghianda....
250Già l’onda tranquillata
Rende l’amato oggetto.
O Numi, deh! benigni
Non rammentar le stolte
Involontarie accuse!...
255Ma tu adirato sei,
Idolo mio! Disparve
Dal volto tuo quel vago
Rossore, indizio certo
D’amor; tu più non stendi
260Ver me le amate braccia;
Io la cagion ricerco
Dell’ira tua.... Comprendo
Il materno consiglio:
È il rapido falcone
265Il di lei confidente;
Egli abbattè la ghianda,
Ond’in cader mostrasse
La via miglior ch’io m’abbia
Di raggiugner lo sposo.
270L’ira deponi, o caro
Amato mio tesoro!
Accoglimi, sicura
A te ne vengo io ratta!»
E colle aperte braccia
275Ella precipitossi
Nel lusinghiero seno
Del lago traditore.
Malvagi Genj a posta
La tennero nell’imo,
280Finchè ’l calor vitale
L’abbandonò.... Pietoso
Alfine un ruscelletto,
Figlio minor del lago,
La trasportò del bosco
285Ai limiti lontani,
Ove alzasi un vetusto
E rovinato tempio
A Diana consacrato.
Tre dì la Diva pianse
290L’amata figlia sua,
Poi, mesta, trasformolla
In un leggiadro fiore,
Che stretto tien ne’ giorni
Fasti e nefasti sempre
295In sul materno core.