Roveto ardente/Parte seconda/I

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Parte seconda Parte seconda - II

[p. 131 modifica]Quando la vettura si fermò nella via breve e quieta, Flora aveva ancora lo sguardo abbagliato dalla rapida visione di una grande piazza cir condata di portici e in mezzo alla quale s'innal zava il pennacchio di un getto d'acqua iride scente al sole di gennaio.

--- Via delle Fiamme — disse il vetturino, fermando la sua rozza, e poiché Flora esitava a discendere, dubitosa di trovarsi veramente di fronte al portone della casa abitata da sua ma dre, egli esclamò con modi ruvidi:

- Dobbiamo forse ricominciare la corsa, si gnorina?

Flora non aveva più che pochi spiccioli nel borsellino e rimaneva in piedi dentro la vettura, smarrita, quasi piangente, non sapendo spiegarsi come sua madre non si fosse recata ad incon trarla alla stazione. [p. 132 modifica]Era partita sola da Pesaro, nella tristezza del grigio mattino invernale, abbandonando, forse per sempre, i luoghi dove suo padre era morto, dove suo nonno era morto, dove il suo amore era morto, e Flora, per riscaldarsi 1' anima, aveva pregustata con la fantasia durante il viaggio, la gioia ineffabile dell'arrivo e si era figurata, col pensiero, di trovarsi già nel rifugio sicuro delle braccia materne. Invece, nessuno si era data cura di lei ed ella si vedeva alle prese con la gros solana rudezza del vetturino.

— Abbia pazienza, pagherà mia madre — disse Flora con voce timida e supplice. — Io non ho danaro.

Il vetturino protestò senza cerimonie: — Chi non ha danaro non si fa scarrozzare I Chi non ha danaro si serve delle proprie gambe! Al suono acerbo delle parole, il portinaio, che stava dignitosamente seduto al sole, traendo fumo dalla corta pipa, si alzò seccatissimo e si avvicinò alla viaggiatrice, la quale, senza dubbio, doveva essersi sbagliata d'indirizzo, perché in quel pa lazzo di via delle Fiamme capitava, di solito, tutta gente ragguardevole e danarosa. — Voi non alzate troppo la voce — egli im pose al vetturino — e lei mi dica chi cerca qui — soggiunse rivolgendosi a Flora, e scrutando con aria severa il modesto abitino nero e il visetto spaurito della ragazza. — Cerco la contessa Adriana Vianello — ri spose Flora con accento pieno di sommessione, tanto quel grosso uomo rubicondo le appariva maestoso e circonfuso di autorità. Il vetturino, tirando moccoli fra i denti, a[p. 133 modifica]spettava che la strana viaggiatrice si decidesse a pagarlo e a discendere dal suo veicolo.

— La signora contessa Adriana Vianello a quest'ora non va disturbata — disse il portinaio con tono perentorio. — La signora contessa ha gente a pranzo e lei può tornare domani.

— Tornare domani? — esclamò la giovanetta con terrore. — Ma io sono la figlia della contessa Vianello!

Il portinaio cacciò la pipa nella tasca della giacca, portò l'indice della destra alla visiera lu cente del berretto gallonato, e trasse egli stesso dalla vettura la voluminosa valigia di cuoio nero eccessivamente rigonfia e molto malandata negli angoli.

— Ecco il vostro pagamento, secondo tariffa — disse poi, offrendo solenne una moneta al vet turino, il quale, per non cedere alla tentazione di rompere il manico della frusta sopra le spalle di quel padre eterno da strapazzo, spinse il cavallo a tutta corsa dalla parte di via Sallustiana.

— Sapevo che la signorina avrebbe dovuto arrivare — disse Giovanni col sussiego di un portinaio bene addentro nelle faccende de' suoi inquilini — ma non mi era stato precisato il giorno.

— Io scrissi ieii, e la mamma avrebbe dovuto ricevere questa mattina la mia lettera — rispose Flora, quasi scusandosi, e sempre più affascinata dai modi decorosamente amabili del portinaio, il quale spiegò con bonomia protettrice, indicando una grande cassetta di legno lucido, appesa nel l'atrio:

— Vede? La sua lettera starà ancora lì, nella boite, — e aprì bene la bocca per pronunziare [p. 134 modifica]la parola esotica — della signora contessa. Camilla, che sarebbe la cameriera, avrà dimenticato di venire a ritirare la corrispondenza. — Poscia, spingendo il capo dentro la guardiola a vetri, disse con voce di misurato comando:

— Penelope, è arrivata la signorina della con tessa Vianello; accompagnala da sua madre.

Penelope uscì subito dallo stambugio e fissò i vividi occhi grifagni sul viso pallido della giovanetta, la quale risenti l'impressione immediata, come di due lame sottilissime e fredde che le si conficcassero nella fronte, quantunque Penelope le si mostrasse anche più ossequiosa del marito e quantunque nella bassa, ampia persona di lei non ci fosse assolutamente nulla di terribile; anzi il viso tondo e paffuto sarebbe riuscito addirit tura piacevole, senza il naso troppo adunco c senza l'espressione degli occhi troppo rapaci.

Flora, pure sentendosi divorata dall'impazienza, adattò il proprio passo al passo di Penelope, che saliva lentissimamente i larghi gradini di marmo, trascinando a fatica la pesante valigia.

— Se tutti gl'inquilini somigliassero alla si gnora contessa, creda pure che mio marito e io si farebbe i portieri per divertimento — diceva Penelope, cercando velare di dolcezza il lampo di quelle sue mobili pupille, sempre irrequiete. --- Da tre anni che la signora contessa abita in que sto palazzo non ci ha mai dato la più piccola seccatura. Nessun andirivieni per le scale, nes sun pettegolezzo, nessun susurro. I signori che vengono a trovarla sono tutte persone ragguar devoli, che scendono e salgono senza far rumore. L'onorevole Montefalco, per esempio, non si vede quando entra, non si vede quando esce, e con [p. 135 modifica]tutto questo ci ha regalato dieci lire di mancia per Natale.

A Flora, udendo le parole di quella brava donna, pareva di respirare più liberamente. Ella aveva ancora nelle orecchie le frasi aspre del dottore, il quale avrebbe voluto mandarla a sue spese in Urbino a studiare per prendere il diploma di maestra, e che le aveva fatto una scena tremenda, quando Flora, dopo la morte del nonno, si era ostinata nel proposito di recarsi a vivere con sua madre.

— Vai pure da tua madre — le aveva pro fetizzato il dottore — ma, prima di arrivare a Roma, procura di diventare cieca e sorda, se non vuoi vederne e sentirne di tutti i colori!

Ed ecco che la prima persona da lei incontrata tesseva gli elogi di sua madre; e l'onorevole Montefalco, il quale era fino allora apparso alla sua immaginazione come uno spauracchio, veniva dipinto adesso quale un essere discreto, circospetto, munifico, che andava e veniva, quasi invisibile, senza lasciare traccia di sè!

Un'onda di tenerezza gonfiò il cuore della gio vanotta verso sua madre, così atrocemente ca lunniata.

Sul pianerottolo del secondo piano, Flora venne urtata impetuosamente da un ragazzo, che scen deva le scale a precipizio; e l'urto fu così ina spettato che la fanciulla non potè trattenere una lieve esclamazione di sgomento.

Il ragazzo stava per proseguire la sua corsa, allorché Penelope gli disse:

— Guardi, signorino Renato, questa è la figlia della contessa Vianello.

L'adolescente quattordicenne si fermò di botto [p. 136 modifica]e, da ragazzo bene educato, assunse immediata mente un tono di cerimonia alquanto eccessiva, piegando l'agile busto e rimanendo curvo un istante per modo che Flora potè ammirare la linea bianca e sottile della scriminatura dividente verso la tempia sinistra i folti capelli bruni.

— Se crede, posso accompagnarla — disse con molta cortesia Renato Gualterio, scandendo lentamente le parole e pronunziandole così a bassa voce che Flora stentava a percepirne il suono.

— Anch'io sono stato oggi con papà a pranzo in casa della contessa, e adesso scendevo ap punto a prendere i giornali del pomeriggio per l'onorevole Montefalco. Non so se lei sappia che noi siamo inquilini — chiese Renato, cominciando a risalire le scale. ·-- Io abito con papà al quarto piano, mentre la contessa abita al terzo — e fa cendo un nuovo, ma più leggero inchino dalla parte di Flora, soggiunse: — E' una vera fortuna per noi avere per vicina una signora come sua madre.

Giunti al pianerottolo del terzo piano, di fronte a una porta di noce massiccia, nel centro di cui stava una grande targhetta rettangolare dove era inciso il nome di Adriana Vianello, sormontato da una corona comitale, Renato premette leggermente il bottone del campanello elettrico.

Un suono discreto si udì nell'interno dell'ap partamento, e le piccole mani di Flora s'intrec ciarono, si strinsero, tremanti nell'angoscia della commozione, mentre le labbra si schiudevano quasi nell'avidità di sorbire, a lunghi, intermina bili sorsi, la gioia imminente.

Dopo alcuni istanti di attesa la porta, final mente, si aprì con molta cautela. [p. 137 modifica]— E' arrivata la signorina, la figlia della con tessa — disse Renato, accennando a Plora con rapido batter di ciglia, e spalancò la porta, senza perdere di vista il volto astuto della cameriera, la quale scambiò, rapida e furtiva, con Renato un'occhiata d'intelligenza schernitice.

Flora avrebbe voluto chiamare sua madre ad alta voce, precipitarsi attraverso le stanze, cer carla, trovarla, stringerla, soffocarla, coprirla di baci e di lacrime; ma l'anticamera era cosi se vera, coi pesanti cortinaggi; il lungo corridoio si perdeva in una oscurità così greve di silenzio e di mistero, che Flora ebbe appena il coraggio di mormorare con voce soffocata dall'emozione:

— Dov'è la mamma? Mi facciano il piacere di chiamare la mamma.

Penelope aveva deposta la pesante valigia e si era seduta, con atteggiamento di grande fami gliarità, sopra una seggiola di legno intarsiato; il giovane Gualterio si teneva diritto, immobile presso la porta immediatamente rinchiusa, e Ca milla, che sarebbe stata irreprensibile nel suo grembiale bianco, qualora un denso strato di ci pria sul musetto furbo e un alto nastro rosso, stretto intorno al collo, non l'avessero fatta so migliare a una servetta da palcoscenico, rimaneva incerta se chiamare in disparte le signora per an nunciarle la notizia, o se fare un colpo di scena e introdurre senz'altro la signorina nel salotto, dove gli ospiti si trovavano riuniti a prendere il caffè.

Si appigliò a quest'ultimo partito, desiderosa di godersela un poco a guardare che occhi avrebbe sgranati la signora, vedendosi piombare addosso, all'improvviso, quella figliuolona più alta di lei, [p. 138 modifica]infagottata grottescamente di misere vesti e con l'espressione stupida di una selvaggia trasportata ivi di peso dal centro di qualche vergine fo resta.

— Venga, signorina — ella disse — la si gnora sta in salotto.

Ma, prima di avviarsi, si accostò a Penelope e scambiò con essa alcune frasi concitate.

— Dille che io l'aspetto, che ho bisogno di parlarle ·--- mormorò Penelope, con l'accento di una persona assolutamente sicura del fatto suo.

— Va bene, glielo dirò, ma per oggi non credo sia possibile — rispose Camilla, e prece · dendo la signorina, le fece percorrere il corri doio, la fece attraversare un piccolo salottino di passaggio, posciat spingendo l'uscio e sollevando il cortinaggio imbottito di seta, annunziò con en fasi:

— E' arrivata la figlia della signora — e si trasse in disparte, seguitando peraltro a rimanere presso la soglia.

Un piccolo grido, un fruscio di sete, un'onda di profumi, e Flora sentì cingersi il collo da due braccia morbide, nude fino al gomito, e si sentì solleticare i capelli della nuca dalla carezza un po' felina di unghie accuminate.

Renato Gualterio, entrato da un'altra porta, formava gruppo, al lato opposto del salotto, con suo padre e l'onorevole Montefalco.

---· Sei tu, mio piccolo fiorellino, mia bamboletta bella? Sei tu, mia piccola capinera? — ri peteva Adriana, con le braccia sempre abbando nate intorno al collo della figliuola, con' la per sona,. sinuosamente leggiadra, avvolta nelle pie ghe fluenti di una lunga veste color avorio, con [p. 139 modifica]la testa bionda riversa, gli occhi natanti come in un'estasi di felicità; e poiché Flora, inebetita, tremante, acciecata dal fumo di sigaretta, stor dita dall'acuta flagranza che i capelli materni esa lavano, rimaneva passiva, senza muoversi e senza parlare, Adriana ripetè di nuovo con accento an che più carezzevole:

— Ma parla, dunque, piccola capinera, dim melo che sei proprio tu!

Flora tentò balbettare qualche parola, le labbra smorte si contrassero, le mani si aggrapparono alle vesti di Adriana, ed ella ruppe in sin ghiozzi:

— Ma guardatela la piccola bambolina che piange, perchè si trova vicino alla sua mamma! Alzami dunque gli occhi in viso, sciocchina, non faccio mica paura!

Tutti risero e si avvicinarono. Adriana, sempre amorosa e ridente, trasse la figliuola a sedere sopra una poltrona, le s'ingi nocchiò accanto sul tappeto, e abbandonò nel grembo di Flora le bianche mani gemmate, che apparivano anche più candide a contrasto delle vesti brune della giovanetta. — Dunque la cattiva bambolina ha giurato di piangere ancora per far andare in collera la sua mamma? — Perche non sei venuta alla stazione? — chiese Flora, con voce rotta dai singhiozzi. --· Io ti scrissi una lettera ieri per avvisarti del mio arrivo! — Ma io apro la corrispondenza di sera! Bi sognava telegrafarmi, bestiolina! Sei una vera bestiolina! E Flora somigliava davvero ad una misera be[p. 140 modifica]stiolina, trasportata dalla bufera lungi dal proprio nido.

Ella si asciugò le gote lacrimose col fazzoletto listato di nero e girò lo sguardo sulle persone che le stavano intorno.

— Fate dunque le opportune presentazioni, mia cara amica — disse il Montefalco con auto revole bonarietà.

— Certo, certo — rispose Adriana — ma prima domando una mezz'ora per dare un po' di garbo al mio piccolo fiorellino — e, senza attendere ri sposta, uscì dal salotto, trascinando Flora dietro di sè.

Nell'anticamera Adriana ebbe un moto d'impa zienza vedendo Penelope alzarsi dalla seggiola e muoverle incontro.

— Per oggi no ella disse, non lasciando all'altra il tempo d'interrogarla. — Spero che sarà per domani.

Penelope le sbarrò il passo. — Ma lei, signora, mi aveva promesso imman cabilmente per oggi. La voce di Adriana divenne aspra. — Se si potesse mantenere tutto ciò che si promette, sarebbe una cosa magnifica! D'altronde, non mi annoiare troppo, perchè io aggiusto tutto, anche sul momento, e mi rivolgo altrove. — Per carità, non mi faccia questo torto, si gnora contessa! --- esclamò Penelope rabbonita. — Sarà per domani, per passato domani, per quando lei vuole, insomma! — Cosi va bene! — disse Adriana, subito calmata anch'ella; e seguita da Flora, che cre deva aggirarsi in un'atmosfera di sogno, entrò nello stanzino da toletta in compagnia di Ca[p. 141 modifica]milla, la quale era rimasta impassibile durante il breve colloquio fra Penelope e la signora.

La piccola stanza si trovava ancora tutta in disordine. Le catinelle del lavabo erano piene di acqua saponata; parecchi asciugamani, umidi e sgualciti, pendevano dalle seggiole, e, sul pavi mento di porcellana bianca, un sottile rigagnolo d'acqua correva, dalla grande vasca del bagno, e si allargava presso la finestra in una specie di laghetto, dove si bagnava il lembo estremo della cortina. Bottiglie, bottigliette, scatole di cipria e piumini, vasetti di crema fredda e piccoli ordigni per arricciare i capelli, e spazzole e spazzolini di ogni misura giacevano alla rinfusa sopra il marmo del lavabo.

Un bocchino di spuma, con entro mezzo si garo di Avana, stava in un angolo, evidente mente dimenticato lì in un momento di distra zione.

l'aria della stanzetta era cosi satura di pro fumi, che Flora, presa da capogiro, si portò la mano alla fronte.

— Presto, Camilla — disse Adriana — cam bia l'acqua e poi aiutami a ripulire un pochino questa villanella.

Intanto gettava di sfuggita un'occhiata sull'alto sportello dell'armadio a specchio, ed il suo buon umore aumentò constatando ch'ella appariva gio vane quanto sua figlia.

Camilla indovinò forse il pensiero della signora, perchè, con quella sua voce scialba in cui stride vano spesso acute note di testa, esclamò:

— La signora e la signorina sembrano due sorelle, e nemmeno si saprebbe indovinare quale sia la maggiore. [p. 142 modifica]Adriana si morse le labbra e gorgheggiò una breve risatina sommessa:

— Presto, Camilla, quei signori aspettano. La cameriera usci, e Flora si trovò sola con sua madre. — O mamma, mamma mia! — gridò la giovanetta con tutta l'anima nella voce, e, gettandosi sopra sua madre con foga quasi selvaggia, co minciò a baciarle insaziabilmente le mani, le braccia, le gote, i capelli, mormorando parole affannose di tenerezza. — Dio mio! — diceva, ridendo, Adriana, mezzo soffocata — tu mi obbligherai a petti narmi di nuovo; — e, svincolatasi dall'am plesso appassionato di Flora, si avvicinò allo specchio, per rimettere a posto i riccioli della fronte. Flora, stretta alla gola da un'ansia dolorosa, ricominciò a singhiozzare. — Adesso basta di piangere, carina — disse Adriana pacatamente. — Le lacrime vanno bene per un momento, ma poi annoiano — e chiese alla figliuola che cosa avesse portato dalla casa bianca. — Niente, inanima — rispose Flora, abban donando i capelli d'oro nelle mani esperte di sua madre. — Dopo la morte del nonno, hanno sequestrato ogni cosa. — Dovevi pensarci prima che tuo nonno mo risse, e nascondere almeno l'argenteria. — Ma, dal momento che c'erano dei debiti, quella era roba dei creditori, mamma — ri spose Flora, fissando sua madre con occhi at toniti. Adriana si strinse nelle spalle. [p. 143 modifica]Va tutto bene; ma intanto, se non fossi qua io, tu andresti per l'eiemosina, visto che tuo nonno ha risolto il problema di essere ad un tempo avaro più di Arpagone e miserabile più di Giobbe.

— Adesso è morto, mamma — supplicò Flora.

Adriana cambiò argomento. — Dalle tue lettere mi pareva che ci dovesse essere qualche cosa in giro col proprietario della villa Rosemberg... Flora divenne di fiamma e provò lo spasimo acuto che proverebbe un ferito, cui qualcuno strappasse le bende con mano brutale. --- Non parlarmi di questo, mamma, non par larmene. Rosemberg si è sposato tre settimane fa, e credo che passi Pinverno a Firenze. Ecco quanto io so. E lo sgomento provocato in lei dalla rievoca zione di tali memorie fu cosi vivo che le dita tremanti non riuscivano a slacciare il vestito. — Quando io abitavo la casa bianca i Rosem berg erano i più agiati possidenti dei dintorni, Sono ancora cosi ricchi? — domandò Adriana, guardando stranamente la figliuola. — Sì, molto ricchi — disse Flora, la quale, non resistendo al supplizio di quell'interrogato rio, si lasciò cadere affranta sopra una seggiola. Adriana le si avvicinò, le pose ambo le mani sopra le spalle e, chinando un poco il busto verso di lei, disse lentamente: — Allora, se il ragazzo Rosemberg è cosi ricco, tu sei stata una sciocca a lasciartelo sfug gire. Flora sollevò il viso, sempre più attonito. [p. 144 modifica]verso il volto di sua madre, che scrutava adesso, con occhio attento e serio tutta la persona della giovanetta.

Mail dubbio, serpeggiante nel cuore di Adriana, dileguò subito, ed ella riportò, dal rapido esame, sicura convinzione della purezza di sua figlia.

Vinta da un momento di commozione sincera, strinse nelle mani la testa di Flora e, baciandola sui capelli, mormorò con fugace melanconia:

— Quanto somigli a tuo padre! — Somiglio anche a te, mamma — disse Flora, soffusa di gentilezza, sotto la soave pres sione del bacio materno. — Sì, più ti guardo e più mi accorgo che, fisicamente, mi somigli molto — annuì Adriana, obbligando la giovanetta ad alzarsi, e traendola seco vicino allo specchio. — Sei bionda e bianca come me; hai gli oc chi azzurri come me; hai le mani piccole e i piedi sottili come i miei! Ma somigli a tuo padre nel carattere! Era tanto esaltato e sentimentale quel pover uomo! Rimasero di fronte allo specchio 1' una vicino all'altra; Flora pallida, sottile, alquanto rigida nella curva, simile a intatto giglio; Adriana si nuosa e morbida, simile a rosa baciata dal sole del meriggio e che esali pomposa il suo profumo più acuto. In quella, Camilla entrò, portando sul braccio l'unico vestito della signorina, trovato nella va ligia. — Nero anche questo?... — Adriana esclamò: — Hai fatto voto di vestir di nero eternamente? — Porto il lutto del nonno — osservò Flora, incrociando sul petto le braccia, perchè si vergo[p. 145 modifica]gnava eli mostrarsi discinta alla presenza della cameriera.

Adriana ebbe un gesto di noia. — Ma lascialo dormire in pace tuo nonno! D'altronde questo vestito è tagliato come un sacco e io non posso permetterti di essere ri dicola. Apri l'armadio, frugò tra i molti vestiti appesi e tolse un abito color nocciuola, confezionato da oltre un anno e indossato due sole volte, perchè troppo monotono nella tinta e troppo semplice nella foggia. — No, mamma, lasciami portare il lutto qual che altro tempo — insistette Flora, parendole di rinnegare ad un tratto tutto il passato col gettare fra le cose inutili quel suo povero vestito nero. Ma Adriana, senza dar peso alle querimonie della bestiolina, cominciò a vestire ella stessa la figliuola, la quale piegò il capo, silenziosa, e si lasciò camuffare, restando passiva come una bam bola nelle mani di una bimba capricciosa, che si diverte a metterle roba intorno, senza discerni mento. Una gioconda constatazione, fatta da Camilla, rese allegrissima Adriana. Non solo il vestito della signora calzava a pen nello alla signorina; ma anzi, a rigor di termini, bisognava riconoscere che l'abito della signora stringeva eccessivamente la vita della signorina e le riusciva abbondante sul petto; dal che si do veva logicamente dedurre che la mamma aveva la vita più sottile e il petto più ricolmo della figliuola. --- Proprio così — affermò gaiamente Adriana, e, dopo essersi passato il piumino della cipria io — Roveto cadente [p. 146 modifica]sulle gote ed essersi lasciate cadere alcune gocce di essenza di viola sui Capelli, prese per mano Flora e tornò in salotto, dove la sua apparizione venne accolta con esclamazioni di giuliva impa zienza.

— Andiamo, bestiolina — disse a Flora Adriana — bisogna che io ti presenti questi si gnori — e col braccio nudo infilato nel braccio della figliuola, con la persona molle abbando nata sull'esile personcina di lei, nominò succes sivamente gli ospiti, mitigando il sussiego della cerimonia coll'espressione del viso atteggiato a monelleria.

— L'onorevole Riccardo Montefalco, amico mio carissimo; il cavaliere Giorgio Gualterio con suo figlio Renato, miei coinquilini ed amici.

Flora, impacciata nella gonna troppo lunga, sentendosi istintivamente goffa sotto le nuove spoglie, non sapendo cosa dire, nè cosa fare, fis sava tutti con pupille dilatate, e la scura linea delle sopracciglia, che s'inarcava per l'intento stupore dello sguardo, la fossetta del mento, l'espressione meravigliata diffusa per tutto il volto, la facevano somigliare a una di quelle grosse bambole di cera che, esposte nelle vetrine, sem brano attendere, rassegnate, da qualche passante la spiegazione del perchè della loro muta esistenza.

L'onorevole Montefalco fu addirittura squisito di grazia e di cortesia.

Egli accennò appena a un inchino, prese nelle sue la mano della giovanetta, e, dopo averla stretta lungamente, disse con affettuosa condiscen denza:

--- Vedrà che noi diventeremo buoni amici, mia cara bambina. [p. 147 modifica]Adriana ringraziò l'onorevole con tenero sor riso, mentre il cavaliere Gualterio, rivolte alla si gnorina alcune parole di circostanza, tornò ad oc cupare il suo posto, lasciando appartati Flora, Adriana e l'onorevole, il quale, evidentemente, doveva essere tormentato da un pensiero secreto, perchè la sua tonda faccia, chiazzata di rosso ai pomelli e tagliata a mezzo dai folti baffi bion dicci, non aveva la consueta espressione di tran quillità soddisfatta, e la bocca che, di solito, si apriva al riso beatamente sui denti larghi e com patti, rimaneva chiusa, quasi per trattenere l'im pazienza di una domanda.

Finalmente si decise a parlare, e, guardando, ostinato Adriana cogli occhi accesi e piccoli, chiese:

— L'appartamento non è grande, e vorrei sa pere come farete per mettere a posto questa bella bambina, mia cara amica!

— In modo assai semplice — rispose Adriana, scambiando con Riccardo un fugace sorriso d'in telligenza. - Farò cedere da Camilla alla mia bestiolina la stanza che rimane isolata in fondo al corridoio, e Camilla si adatterà a pre pararsi ogni sera un letto provvisorio nell'antica mera.

--· Magnificamente ideato — disse l'onorevole, atteggiando il volto a un riso della più perfetta soddisfazione. — E adesso, mia cara Adriana, mantenete la vostra promessa e cantateci qualche cosa.

E fatta sedere Flora sul piccolo divano, con dusse egli stesso la signora al pianoforte, disten dendosi comodamente in una poltrona per ammi rare a proprio agio la cantatrice, che cominciò [p. 148 modifica]subito a trarre dalla tastiera gli arpeggi di un brioso accompagnamento:

Vous vie trompes — je le vois bien De vos discours — je n'en crois rieri C'est égal, c'est égal, Ca 11'est pas originai. L'on ne fait que fa Tout le monde cn est là. Trompes moi, trompons nous, C'est un plaisir, 'c'est assez doux .

cantava Adriana a mezza voce, battendo la mi sura con la punta del piede elegantissimamente calzato e accompagnando il ritmo della spigliata musichetta con un lieve oscillar del capo e un dondolar lieve del busto.

— Ecco, ecco — approvò per chiasso l'ono revole — precisamente così: Trompes moi, trom pons nous. L'on ne fait que fa.

Adriana gli lanciò un'occhiata di scherzoso corruccio.

Quanto ad essere ingannato, all'onorevole era successo parecchie volte dacché aveva dimesti chezza con Adriana; quanto ad ingannare, l'ono revole Montefalco ci si era provato, ed era riu scito una sola volta in vita sua: allorché, por tandosi candidato nel collegio del proprio paese, aveva solennemente promesso agli elettori di oc cuparsi dei loro interessi. Egli era stato eletto, aveva abbandonato con gioia, per una parte del l'anno, il focolare domestico, dove sua moglie lo annoiava prodigiosamente da trent'anni, e si era installato alla capitale col portafoglio gonfio di [p. 149 modifica]biglietti di Banca, che egli desiderava spendere; ma spender bene a tutto suo vantaggio e pro fitto.

Adriana lo aveva conosciuto circa due anni avanti, durante un fastidioso intervallo, in cui ella si trovava sola nel vasto mondo, priva di qualsiasi affettuoso sostegno. L'onorevole Montefalco, ricco, isolato, troppo amante della sua quiete per appassionarsi alle vicende della poli tica, di cui conosceva il frasario, ma di cui il giuoco complicato gli sfuggiva, si era aggrap pato alla contessa Vianello con energia; aveva cominciato coll'inviarle un trionfo di fiori e aveva finito collo stabilirle un mensile di trecento lire.

Adriana si mostrava con lui dolce, amorosa, piena di tatto e sommessione; ma la pace veniva a quando a quando, turbata dalle richieste di da naro che la contessa, nei propizi momenti d'inti mità, rivolgeva all'onorevole, il quale si ribellava sistematicamente, poiché egli aveva già stanziato nel proprio bilancio la somma preventiva che il suo piacere doveva costargli; dimodoché, mo strandosi la contessa ostinata nel chiedere e l'o norevole ostinato nel rifiutare, spesso si adden savano fosche nubi sull'orizzonte.

Riccardo correva allora a trincerarsi per alcuni giorni nel baluardo delle pareti domestiche, di dove la moglie si prendeva cura di farlo slog giare con le sue geremiadi; e l'onorevole tornava in via delle Fiamme, offrendo alla contessa la metà di quanto gli aveva domandato.

Adriana, oramai resa edotta del metodo, aveva [p. 150 modifica]preso l'abitudine di chiedere sempre il doppio di ciò che le abbisognava.

Et le fer et le poison Nous jurons quc toni est bon. C'est ègal, c'est égal, Ca n'est pas originai Trompez-moì, trompons-nous, C'est un plaisir, c'est asses doux.

L'onorevole si alzò, battè affettuosamente con la mano grassoccia la spalla di Adriana e si ri dusse nel vano della finestra con lei e Giorgio Gualterio, il quale doveva fargli una raccoman dazione per un usciere del ministero di grazia e giustizia, dove il Gualterio era segretario di pri ma classe.

Renato si avvicinò a Flora, che si trovava in quel salotto come vi si sarebbe trovato un abi tatore della luna, piombato per disgrazia, sul no stro pianeta.

— Lei preferisce la musica italiana o la musica tedesca, signorina? — domandò Renato.

Flora lo guardò senza rispondere e i grandi occhi azzurri le si velarono di incommensurabile melanconia.

— Dica, dica pure schiettamente la sua opi nione — insistette Renato, drappeggiandosi nella precocità della sua sapienza — Lei preferisce la musici italiana di Verdi o la musica tedesca di Wagner?

Flora lasciò cadérsi le mani in grembo con atto di profondo scoraggiamento.

No, ella non sarebbe mai, mai stata in grado [p. 151 modifica]di misurare la differenza che passa fra la musica di un paese e la musica di un altro!

— Io non ho studiato il pianoforte --· ella ri spose, mentre un velo di rossore le si distendeva sulle gote delicate.

— Ma il francese lo avrà studiato certamente? — domandò il ragazzo, come ammettendo, in via di eccezione, che si potesse non essere all'altezza del genio smisurato di Wagner, ma escludendo, a priori, la possibilità di non sapere il francese.

Il rossore che copriva il volto gentile di Flora si addensò, si diffuse e salì ad accendere persino la fronte.

No, ella non aveva studiato nemmeno il fran cese! A che cosa le sarebbe servito il francese nella casa bianca, fra suo padre che parlava poco, suo nonno, che non parlava mai, e i contadini, che capivano appena l'italiano?

— Dovevo studiarlo una volta — ella disse — ma papà, andando a Pesaro, dimenticò di com perarmi la grammatica e così non l'ho studiato più!

Un sorrisetto di malcelato sarcasmo errò sulle labbra dell'adolescente, e Plora, che se ne avvide, trattenne a stento lacrime di umiliazione.

Due ore dopo Flora si trovava sola nella ca mera di sua madre, quando Camilla entrò e pre mette il bottone della luce elettrica.

La stanza, che era immersa nella penombra del crepuscolo, s'illuminò come per virtù d'incan tesimo e Flora, girando intorno lo sguardo, os servò che i cortinaggi del letto, basso e ampio, erano di seta, e che di seta era anche la traspa rente camicia da notte, che la cameriera dispose accuratamente sopra il guanciale ornato di pizzi. [p. 152 modifica]Preparo tutto — disse Camilla — perchè la signora mi dà il permesso di andare questa sera a piazza Navona per la festa della Befana. Credo che ci vada anche la signora con l'onore vole, e mi pare di aver sentito che vogliono con durre anche lei. E' contenta?

— Io farò quello che vuole la mamma ---· ri spose Flora.

— Brava, signorina! Bisogna sempre ubbidire mammà — disse Camilla con voce di beffarda compunzione, e avendo finito di preparare il letto, spinse il bottone della luce elettrica e usci fretto losa dalla stanza.

Flora rimase di nuovo sola e pensosa, avvolta nella oscurità che si addensava.

Si avvicinò alla finestra, sollevò la cortina e il cuore le si gonfiò di rimpianti, vedendo un lembo di cielo terso, su cui alcune stelle cominciavano a palpitare nella purezza dell'aria diafana.

Erano, forse, le stelle medesime contemplate la sera innanzi, per l'ultima volta, dalla finestra della casa bianca! Erano, forse, le stelle mede sime, eppure Flora le guardava adesso con occhi già tanto diversi!