Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/142

Adriana si morse le labbra e gorgheggiò una breve risatina sommessa:

— Presto, Camilla, quei signori aspettano. La cameriera usci, e Flora si trovò sola con sua madre. — O mamma, mamma mia! — gridò la giovanetta con tutta l'anima nella voce, e, gettandosi sopra sua madre con foga quasi selvaggia, co minciò a baciarle insaziabilmente le mani, le braccia, le gote, i capelli, mormorando parole affannose di tenerezza. — Dio mio! — diceva, ridendo, Adriana, mezzo soffocata — tu mi obbligherai a petti narmi di nuovo; — e, svincolatasi dall'am plesso appassionato di Flora, si avvicinò allo specchio, per rimettere a posto i riccioli della fronte. Flora, stretta alla gola da un'ansia dolorosa, ricominciò a singhiozzare. — Adesso basta di piangere, carina — disse Adriana pacatamente. — Le lacrime vanno bene per un momento, ma poi annoiano — e chiese alla figliuola che cosa avesse portato dalla casa bianca. — Niente, inanima — rispose Flora, abban donando i capelli d'oro nelle mani esperte di sua madre. — Dopo la morte del nonno, hanno sequestrato ogni cosa. — Dovevi pensarci prima che tuo nonno mo risse, e nascondere almeno l'argenteria. — Ma, dal momento che c'erano dei debiti, quella era roba dei creditori, mamma — ri spose Flora, fissando sua madre con occhi at toniti. Adriana si strinse nelle spalle.