Rivista di Scienza - Vol. II/Darwinismus und Lamarckismus
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Il Darwinismo, pretendendo di spiegare tutta l’evoluzione organica colla lotta per la vita e la selezione naturale, riconduce a semplice conseguenza dell’accumularsi di variazioni fortuite la facoltà stessa di adattamento degli esseri viventi, che manifestamente costituisce invece la proprietà fondamentale e primordiale della vita. Con ciò, non fa che girare abilmente intorno alla questione senza risolverla, e contribuisce così, più che altro, ad allontanarci da una conoscenza più approfondita e più intima del fenomeno vitale.
Invece, il Lamarck attaccava subito di fronte la questione, dirigendo fino dal principio la sua attenzione ad esempi concreti di adattamento allo scopo, che si riferivano a cambiamenti o intensificazioni di funzioni, e i quali, quindi, rappresentavano il momento del prodursi di un adattamento nuovo.
Di modo che, mentre per Darwin l’organismo acquisterebbe tutte le sue proprieta passivamente; pel Lamarck, invece, l’organismo verrebbe ad acquistarle, a plasmare sè stesso, direttamente, mercè la propria attività.
Precisata così assai bene la posizione che tengono l’una rispetto all altra le due concezioni fondamentali del Darwinismo e del Lamarckismo, l’autore, seguace di quest’ultima, si rivolge egli pure direttamente allo studio della proprietà generale dell’organico, della adattabilità allo scopo, della «Zweckmässigkeit».
Ogni azione, egli osserva, è un atto teleologico; e la sua conformità allo scopo deriva dall’associazione di due esperienze, quella di un bisogno sentito e l’altra del mezzo che lo ha soddisfatto. Questa associazione si risolve in un «giudizio», — di natura psichica ma evidentemente dotato, per la sua attività, di energia fisica, circa la capacità di quel dato mezzo a soddisfare quel dato bisogno.
Venendo ad esempi concreti, la filogenesi c’insegna, scrive il nostro autore, come per ciascun adattamento nuovo l’animale abbia sempre utilizzato, quale mezzo del tutto fortuito a sua disposizione, strutture morfologiche già formate, serventi fino ad ora ad altri scopi, e che l’animale a un dato momento ha scoperto potere servire anche allo scopo nuovo; in seguito al quale nuovo uso sono venute così a poco a poco a modificarsi. Tipiche a questo riguardo sono le trasformazioni subite dalle diverse appendici dei crostacei, originariamente uguali tra loro, a seconda dell’uso fattone dall’animale.
L’utilizzazione di un mezzo, già servente ad uno scopo determinato, per un altro scopo nuovo del tutto diverso, costituisce una vera e propria «invenzione» dell’animale. Alcune di queste invenzioni non hanno che conseguenze di importanza limitata, altre ne hanno invece di importanza somma; senza che, naturalmente, niente al principio possa fare sospettare la gravità diversa dei loro risultati finali lontani. Basta pensare, osserva il Pauly, all’importanza che ebbe, per la formazione delle mascelle e di tutta la faccia, la scoperta che gli archi branchiali potevano servire anche da tenaglia per afferrare il cibo.
È chiaro che ad ogni invenzione ne potrà succedere e ne succederà per lo più un’altra, utilizzante, come mezzo per soddisfare ad un bisogno ulteriore, quello stesso sôrto o modificatosi per effetto della invenzione precedente; e così d’invenzione in invenzione l’organismo potrà plasmarsi, quasi direi, direttamente, per opera propria.
Questa auto-plasmazione si può e si deve ammettere in una estensione forse assai maggiore di quanto si faceva finora. È merito del Pauly di insistervi. Il sostenere che l’animale a forza di tentativi rivolge, a soddisfazione di bisogni nuovi, mezzi vecchi, e con tal nuova utilizzazione, guidata sempre meglio dall’esperienza accumulata di tutti i tentativi precedenti, trasforma l’organo rendendolo sempre più adatto allo scopo, è forse non dire altra cosa, in sostanza, che quella già vecchia della plasmazione dell’organo effettuata dalla funzione. Solo che si mette maggiormente in evidenza la parte che l’intelligenza dell’animale ha in questa plasmazione.
Questa auto-plasmazione non può valere, è vero, che per gli organi le cui funzioni sono governate da atti volontari. Badiamo, però, che molti atti oggi involontari, furono volontari in origine. Con ciò il campo d’azione di questa auto-plasmazione viene ad estendersi ancora molto di più. Ma fin dove potrà esso estendersi? Qui sta il difficile!
La plasmazione del dito medio del Chiromys madagascariensis, ben più smilzo delle altre dita servendo all’animale per tirar fuori dalle parti tubulari delle piante il midollo o larve d’insetti, può ben probabilmente essere stata effettuata dall’atteggiamento sempre più adatto allo scopo dato a tale organo dall’animale, a forza di tentativi via via riusciti sempre meglio; tanto più se si ammette che la contrazione dell’epidermide atta a rendere più sottile il dito e l’allungamento delle fibre muscolari portante seco anche quello delle ossa siano suscettibili, sia pure in ben tenue misura, di cadere o di essere cadute sotto il controllo della volontà. Altrettanto può dirsi, forse, della plasmazione, per lo meno in parte, della forbice e delle altre appendici sopra accennate dei crostacei; di alcuni o di alcune parti degli organi pulitori delle antenne degli insetti; dell’allungamento del collo e delle gambe anteriori della giraffa o delle gambe dei trampolieri e degli altri uccelli palustri; della curvatura della cornea e di alcune altre ancora delle conformazioni dell’occhio così bene adatte alla percezione più distinta nei più diversi casi; dell’organo vocale degli uccelli cantatori e degli altri animali in genere; e così via.
Ma può ammettersi un’estensione. indefinita di questa autoplasmazione? Può ammettersi, p. es., anche per la prima formazione del tessuto osseo? Quando in dati punti di certi tessuti dell’organismo, così sostiene il nostro autore, vennero fortuitamente a deporsi nella sostanza intercellulare delle particelle minerali, l’animale dovette fare l’esperienza della resistenza maggiore che veniva in seguito a ciò a prendere il tessuto, e così potè giudicare della capacità d’un tal mezzo, costituito da queste particelle materiali sospese nel liquido circolante, a soddisfare il bisogno di una maggiore resistenza in certi punti del corpo. Ora, non molti saranno disposti, credo, a concedere che, fatta pure che abbia l’animale questa esperienza grazie ad una ipotetica sua ipersensibilità, esso a forza di tentativi possa essere riuscito ad aumentare via via maggiormente il deposito nei punti desiderati.
L’autore, è vero, sostiene, che ogni bisogno sentito dell’organismo nel suo insieme si trasmette tale e quale in ciascuna sua minima parte; e che, quindi, ciascuna di queste parti viene così resa essa stessa capace di giudicare fra bisogno e mezzo di soddisfazione, e può così operare in conseguenza. Ma che sorta di spiegazione è questa?
La concezione del Pauly va annoverata, dunque, essa pure, fra quelle che possiamo chiamare, anche se prive di contenuto religioso, col nome di vitalistico-animistiche; le quali vengono tutte ad assomigliarsi in questo, che suppongono nell’energia vitale, come sua caratteristica fondamentale e primordiale, anzichè alcune proprietà semplici ed elementari quali sono quelle di tutte le altre forme di energia ancorchè diverse da una forma di energia all’altra, una facoltà sola ma complicatissima, più o meno simile alla «ragione» dell’uomo. Nè può certo impedirci di considerare il Pauly come un animistico, il fatto che, sprofondandosi sempre più nelle nebulosità metafisiche, egli arriva alla fine tant’oltre da estendere questa facoltà intelligente a tutta quanta l’energia, anche inorganica, pretendendo con ciò di sopprimere il dualismo antico fra materia viva e materia morta.
Verso queste concezioni vitalistico-animistiche è inutile negare ci sia oggi ovunque un sentito risveglio, di cui il Pauly stesso e l’accoglienza favorevole incontrata dal suo lavoro non sono che degli esponenti. Ed un tale risveglio è dovuto, dobbiamo confessarlo, alla incapacità delle concezioni prettamente meccaniche o fisico-chimiche a rendere conto di molte caratteristiche essenziali dei fenomeni della vita, prime fra tutte, quelle ad aspetto pronunciato di finalità: dallo sviluppo ontogenetico che già nell’embrione forma organi adatti ad una funzione da compiere solo allo stato adulto, ai movimenti e agli atti delle piante e degli animali, che indubitatamente tendono ad uno scopo raggiungibile solo in un futuro più o meno lontano.
Se fosse soltanto l’adattarsi dell’organismo via via in ciascun istante alle circostanze esterne continuamente mutabili, il mondo inorganico stesso ci presenta tali e tanti casi più o meno consimili di adattamento, che la natura organica e l’inorganica non ci apparirebbero certo per questo sostanzialmente diverse fra loro. Ogni sistema fisico-chimico, infatti, disturbato che sia nel suo equilibrio dinamico da fattori esterni, tende a ricomporsi in un equilibrio dinamico nuovo, ad «adattarsi» a queste circostanze esterne mutate.
Nessuno, p. es., oserebbe entusiasmarsi della capacità di adattamento allo scopo, della «Zweckmässigkeit», dell’acqua corrente di un fiume, il cui rigurgito si eleva a monte delle pile di un ponte precisamente di quel tanto necessario a che l’acqua acquisti sotto le pile, che restringono la sezione del fiume, un aumento tale di velocità da ricondurre l’efflusso allo stesso quantitativo di prima. Perchè qui è troppo evidente essere il fatto che la corrente non può fermarsi, non può cessare di effluire sempre nella stessa quantità, che riconduce a poco a poco il sistema, dopo un certo intervallo di tempo di non equilibrio, all’equilibrio dinamico nuovo. Ed è l’ostacolo stesso posto contro l’effluire normale dell’acqua che viene a produrre a poco a poco le condizioni, — l’aumento di livello a monte, — proprie a ristabilire un equilibrio dinamico nuovo, e atte, anzi, ad accelerare quella velocità stessa dell’acqua che pareva dovesse venirne ritardata.
Altrettanto dicasi dell’energia elettrica passante nel suolo da lastra a lastra metallica, infisse nello strato superiore del terreno e mantenute a differenza costante di potenziale, l’equilibrio dinamico della quale venga turbato, in seguito alla siccità dell’aria, da una troppo rapida evaporazione, rendente lo strato superficiale del suolo meno buono conduttore e obbligante l’energia elettrica stessa a passare per gli strati più profondi; o dell’energia chimica sprigionantesi dalla forte affinità di due elementi fra loro, nel caso che l’equilibrio delle molteplici reazioni, cui dà luogo la soluzione dei due composti che rispettivamente contengono i due elementi, venga turbato dall’abbassarsi della temperatura dell’ambiente che ostacoli e modifichi qualcuna delle reazioni secondarie in corso. Anche in questi casi, è il non potere non continuare a prodursi dell’energia elettrica o dell’energia chimica che fa sì, che l’ostacolo venga a creare esso stesso le condizioni atte a ristabilire l’equilibrio dinamico nuovo.
Per cui, se anche l’energia vitale, in determinati limiti di variazione dell’ambiente, non potrà arrestarsi, non potrà non continuare a prodursi, — e la tendenza, in determinate condizioni, all’auto-accrescimento della massa della sostanza vivente denota precisamente la corrispondente tendenza dell’energia vitale, in seguito a determinate trasformazioni energetiche, alla propria espansione, allora ogni ostacolo, che, entro questi limiti, si opporrà al processo vitale, creerà le condizioni atte a determinare, talvolta persino col ravvivare il processo stesso ancora maggiormente, il suo equilibrio dinamico nuovo, il suo adattamento all’ambiente.
Così, per quanto certo non ancora completamente spiegabile, non ci apparirà però più una proprietà del tutto misteriosa e speciali, dell’organico il vedere, p. es., come nei punti soggetti a pressione o a trazione di certi tessuti, questa pressione o trazione, costituente forse dapprima un ostacolo, possa trasformarsi, invece, come c’insegna la struttura delle ossa o l’ingrossamento dei gambi di certi frutti pesanti, in uno stimolo trofico vero e proprio (Roux); o come le cellule dello strato superficiale di certe foglie o dell’epidermide animale, sottoposte pel clima troppo secco a troppo forte evaporazione, o portate in una contrada più fredda, possano resistere e adattarsi, col modificare convenientemente il proprio processo vitale, anche a queste condizioni ambientali sfavorevoli.
Ciò che, invece, anche con questi esempi meccanico fisicochimici, non si può comprendere neppure all’ingrosso, è, ripetiamo, l’anticipazione con cui l’organismo si dispone per un equilibrio dinamico futuro.
Qui fa d’uopo ricorrere ad una proprietà nuova, del tutto caratteristica dell’energia vitale. Proprietà nuova, che sembra consistere in questo: che ciascuno stato di equilibrio dinamico, nel cedere il posto a un altro, lascia sempre traccia di sè, nel senso che nei diversi punti, ciascuno già attraversato da una corrispondente specificità di energia viva, ora sostituita da un’altra, viene lasciata come un’accumulazione della stessa energia specifica allo stato potenziale. Ne consegue, che il ritorno allo stato attivo del sistema dinamico n. 1 può venire «svincolato» dal ripresentarsi di una porzione soltanto, anche minima, delle condizioni o stimoli esterni, dai quali questo stato n. 1 era stato provocato originariamente; porzione, che spesso non fa che precedere il ritorno integrale anche delle condizioni esterne restanti.
Tale possibilità di «svincolamento» d’uno stato dinamico per opera di una porzione soltanto delle condizioni esterne che dapprima lo originarono, è precisamente quella proprietà mnemonica, fondamentale e primordiale di tutta quanta la sostanza vivente, che l’Hering e il Semon hanno contribuito meglio degli altri a mettere in evidenza. È dessa, precisamente, che dà a tutti i fenomeni vitali, — dai fenomeni mnemonici propriamente detti e dal ragionamento che è un fenomeno mnemonico complesso a tutti quanti i fenomeni fisiologici in genere, compresi per primi quelli dello sviluppo ontogenetico, — l’aspetto come di un prepararsi a certe condizioni di equilibrio, prima che esse si realizzino nella loro totalità. Ed è in questo prepararsi anticipato a condizioni future che consiste, appunto, quella finalità, quella «Zweckmässigkeit», che rivestono tutti i fenomeni vitali e tutti gli atti della psiche.
Fra le teorie prettamente meccaniche o fisico-chimiche e le teorie vitalistico-animistiche vi ha dunque posto per una terza concezione, sostenuta da chi scrive, e che in mancanza di vocabolo più adatto potremo chiamare vitalistico-energetica, tale che, pure ammettendo che l’energia vitale, — forse non altro che energia nervosa, — costituisca una forma di energia a sè, sottoposta naturalmente alle leggi generali dell’energetica, ma diversa per alcune delle sue proprietà dalle altre forme di energia sì come queste sono diverse fra loro, supponga nello stesso tempo, in questa energia vitale o nervosa, proprietà elementari ben definite, dello stesso ordine di semplicità di quelle manifestatedalie altre forme di energia, dette fisico-chimiche1.
Senza certo potere dare per ora dei fenomeni della vita una vera e propria spiegazione, nel senso stretto della parola di permettere una previsione più estesa o più precisa, pure tale concezione ci sembra possa rappresentare un nuovo punto di vista, atto a guidare le ricerche in una direzione diversa e più promettente di quella semplicemente meccanica o fisico-chimica seguita fin qui. Ricerche, che, rivolte precisamente a determinare e a distinguere quelle proprietè elementari che l’energia vitale, o nervosa che dir si voglia, ha a comune colle altre forme di energia, e quelle per cui essa invece se ne differenzia, potrebbero un giorno venire appunto a comporre il dibattito secolare fra vitalisti e materialisti.
- Milano.
Eugenio Rignano
Note
- ↑ Vedi Eugenio Rignano, Sur la trasmissibilité des caractères acquis. - Paris, Alcan, 1906; ed. it., Bologna, Zanichelli, 1907; ultimo capitolo: «Il fenomeno mnemonico ed il fenomeno vitale».