Rime varie (Alfieri, 1912)/VIII. Alla Morte

VIII. Alla Morte

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VII. Invettiva contro Roma IX. Non cesserà mai di amare la Contessa

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VIII [xviii].1

Alla Morte.

Bieca, o Morte, minacci? e in atto orrenda,
L’adunca falce a me brandisci innante?
Vibrala, su: me non vedrai tremante
4Pregarti mai, che il gran colpo sospenda.
Nascer, sí, nascer chiamo aspra vicenda,
Non già il morire, ond’io d’angosce tante2
Scevro rimango; e un solo breve istante
8De’ miei servi natali il fallo ammenda.
Morte, a troncar l’obbrobrïosa vita,
Che in ceppi io traggo, io di servir non degno,
11Che indugj omai, se il tuo indugiar m’irrita?

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Sottrammi ai re, cui sol dà orgoglio, e regno,
Viltà dei piú, ch’a inferocir gl’invita,
14E a prevenir dei pochi il tardo sdegno.3


Note

  1. Il pensiero svolto in questo sonetto che fu composto il 17 gennaio 1778, ha relazione con le seguenti parole contenute nel cap. 4° del libro II della Tirannide, a cui appunto l’A. attendeva allora o che aveva da poco terminato: «Benché la piú verace gloria, cioè quella di farsi utile con alte imprese alla patria ed ai concittadini, non possa aver luogo in chi, nato nella tirannide, inoperoso per forza ci vive; nessuno tuttavia può contendere a chi ne avesse il nobile ed ardente desiderio, la gloria di morire da libero, abbenché pur nato servo».
  2. 5-6. Il Leopardi nel Canto notturno di un pastore dell’Asia:
    Forte in qual forma, in quale
    Stato che sia, dentro covile o cuna
    È funesto a chi nasce il dí natale.
  3. 12-14. Per viltà l’A. intende non già la paura, ma l’abbassarsi di fronte al tiranno e accattarne i favori (vegg. i capp. 3° e 4° del l. I della Tirannide).