Rime di Argia Sbolenfi/Libro secondo/Hunyadi János
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HUNYADI JÀNOS
Al Signore Buda-Pesth |
Non più anelanti a i pascoli latini
le barbare cavalle Attila caccia,
rivisse il fior de gl’itali giardini
4su la sua traccia.
Tacque indarno il deserto e crebbe l’erba
dove l’alta Aquilea fumando giacque;
da le fecondi ceneri superba
8Venezia nacque.
Il Danubio lavò le curve spade
grondanti di gentil sangue romano,
ma di quel sangue mai goccia non cade
12versata invano,
e con le stille che tingevan l’onde
de ’l pescoso Tibisco e de la Drava
di Roma il fato a fecondar le sponde
16barbare andava,
e di messi la steppa e di vitigni
rise, ed a ’l sol che civiltà conduce
i biechi de i mongòli occhi sanguigni
20vider la luce;
nè più l’Europa giudicò minaccia
ma baluardo de’ magiari il petto,
quando il Corvino alzò la spada in faccia
24a Maometto;
nè più imprecò il latino in val di Pado
a i varchi onde calò di Dio il flagello,
ma l’unno che morì sotto Belgrado
28disse fratello.
Oh, benedetto il suol che trepidava
sotto il galoppo de la santa schiera
se l’unnìade Giovanni alto levava
32la sua bandiera!
Oh, benedetto il suol che de la buona
ausonia civiltà reca le impronte
se de l’unnìade in nome a noi sprigiona
36salubre un fonte
a ’l cui salso licor cedon le avare
viscere umane il faticoso pondo,
cantando inni sonanti a ’l salutare
40flusso giocondo.
E poi che il fatto reo l’opera vieta
de le viscere tarde invan spremute,
a l’ungarica possa anch’io, poeta,
44chieggo salute.
Non il regal Tokay, ma l’acqua umile,
che Buda ci mandò mi fia sollievo.
Tendimi il nappo, Igea. Buda civile,
48a te lo bevo!