Rime (Veronica Franco)/Terze rime/XV
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XV
Della signora Veronica Franca
Si scusa con un amico per non essere andata a trovarlo: la partenza dell’amante cosí l’ha turbata e sconvolta, che non se n’è sentita la forza, benché n’avesse desiderio; ma, s’egli insiste, andrá da lui, che stima, pur non essendone innamorata.
Signor, ha molti giorni, ch’io non fui
(come doveva) a farvi riverenza:
di che biasmata son forse d’altrui;
4ma, se da far se n’ha giusta sentenza,
le mie ragioni ascoltar pria si denno
da me scritte, o formate a la presenza:
7che, quanto dritte ed accettabili enno,
non voglio ch’altri s’impedisca, e solo
giudicar lascerò dal vostro senno.
10Con questo in tanti mali mi consolo,
che non sète men savio che cortese,
e che pietá sentite del mio duolo;
13sí che, s’alcun di questo mi riprese,
ch’a voi d’alquanto tempo io non sia stata,
prodotte avrete voi le mie difese.
16Io so pur troppo che da la brigata
far mal giudizio de le cose s’usa,
senza aver la ragion prima ascoltata.
19Signor, non solo io son degna di scusa,
ma che ciascun, c’ha gentil cor, m’ascolti
di tristo pianto con la faccia infusa.
22Non posso non tener sempre rivolti
i sentimenti e l’animo e l’ingegno
ai gravosi martir dentro a me accolti,
25si ch’ora, ch’a scusarmi con voi vegno,
entra la lingua a dir del mio dolore,
e di lui ragionar sempre convegno;
28benché quest’è mia scusa, che l’amore,
ch’io porto ad uom gentile a maraviglia,
mi confonde la vita e toglie il core;
31anzi pur dal girar de le sue ciglia
la mia vita depende e la mia morte,
e quindi gioia e duol l’anima piglia.
34Permesso alfine ha la mia iniqua sorte
che ’n preda del suo amor m’abbandonassi,
di che fien l’ore del mio viver corte:
37ed ei, crudel, da me volgendo i passi,
quando piú bramo la sua compagnia,
fuor de la nostra comun patria vassi:
40senza curar de la miseria mia,
a far l’instanti ferie altrove è gito,
ma dSvantaggio andò sei giorni pria;
43di ch’è rimaso in me duolo infinito,
e ’l core e l’alma e ’l meglio di me tutto,
col mio amante, da me s’è dipartito.
46Corpo dal pianto e dal dolor distrutto,
ne l’allegrezza senza sentimento,
rimasta son del languir preda in tutto:
49quinci ’l passo impedito, e non pur lento,
ebbi a venir in quella vostra stanza,
secondo ’l mio devere e ’l mio talento,
52peroché i membri avea senza possanza,
priva d’alma; e, se in me di lei punto era,
dietro ’l mio ben n’andava per usanza.
55Cosi passava il di fino a la sera,
e le notti piú lunghe eran di quelle,
ch’ad Alcmena Giunon fe’ provar fiera:
58sovra le piume al mio posar rubelle,
non ritrovando requie nel martire,
d’Amor, di lui doleami, e de le stelle.
61Standomi senza lui volea morire:
spesso levai, e ricorsi agli inchiostri,
né confusa sapea che poi mi dire.
64Ben prego sempre Amor, che gli dimostri
le mie miserie e ’l suo gran fallo espresso,
oltre a tanti da me segni fuor mostri.
67Certo da un canto e lungamente e spesso
egli m’ha scritto in questa sua partita,
ed ancor piú di quel che m’ha promesso:
70col suo cortese scrivermi la vita
senza dubbio m’ha reso, ed io’l ringrazio
con un pensier ch’a sperar ben m’invita.
73Da l’altra parte intento a lo mio strazio,
poiché senza di sé mi lascia, io ’l veggo,
e ch’ei sta senza me si lungo spazio.
76Le sue lettre mandatemi ognor leggo,
e tenendole innanzi a lor rispondo,
e parte a la mia doglia in ciò proveggo.
79Alti sospir dal cor m’escon profondo,
nel legger le sue carte, e in far risposte
piene di quel languir, che in petto ascondo.
82In ciò fur tutte dispensate e poste
l’ore; e del mio signor basciava in loco
le sue grate e dolcissime proposte.
85Peggio che morta, in suon tremante e fioco
sempre chiamarlo lagrimando assente,
il mio sol rifugio era e ’l mio gioco:
88e, desiandol meco aver presente,
altrui noiosa, a me stessa molesta,
lassa languia del corpo e de la mente.
91Come doveva over potea, con questa
oppressa dal martir gravosa spoglia,
venir da voi, meschina, inferma e mesta,
94a crescer con la mia la vostra doglia
e, in cambio di parlar con buon discorso,
aver di pianger, piú che d’altro, voglia?
97In quel vostro si celebre concorso
d’uomini dotti e di giudicio eletto,
da cui vien ragionato e ben discorso,
100come, senza poter formar un detto,
dovev’io ne la scola circostante
uom tal visitar egro infermo in letto?
103Furono appresso le giornate sante,
ch’a questo officio m’impedir la via;
benché la cagion prima fu ’l mio amante,
106a cui sempre pensar mi convenia,
e legger, e risponder, in ciò tutta
spendendo la giá morta vita mia.
109Ed ora a stato tal io son ridutta,
che, s’ei doman non torna, com’io spero,
fia la mia carne in cenere distrutta.
112Di rivederlo ognor bramosa péro,
bench’ei tosto verrá, com’io son certa,
per quel ch’ei sempre m’ha narrato il vero:
115de la promessa fé di lui s’accerta
con altre esperienzie la mia spene,
né qual dianzi ha da me doglia è sofferta.
118Egli verrá, l’abbraccerò ’l mio bene:
stella benigna, ch’a me ’l guida, e ria
quella, ond’ei senza me star sol sostiene.
121Mi resta un poco di malenconia,
ch’egro è ’l mio colonello, ed io non posso
mancargli per amor e cortesia;
124sí che, gran parte d’altro affar rimosso,
attendo a governarlo in stato tale,
ch’ei fora senza me di vita scosso.
127Per troppo amarmi ei giura di star male,
convenendo da me dipartir tosto,
e verso Creta andar quasi con l’ale.
130Di ciò nel cor grand’affanno ei s’ha posto,
ed io non cesso ad ogni mio potere
di consolarlo a ciascun buon proposto.
133Vorreil dal suo mal libero vedere,
perché tanto da lui mi sento amata,
e perch’ei langue fuor d’ogni dovere;
136e, come donna in questa patria nata,
vorrei ch’ov’ha di lui bisogno andasse,
e ch’opra a lei prestasse utile e grata:
139le virtú del suo corpo afflitte e lasse,
per ch’ei ne gisse ov’altri in Creta il chiama,
grato mi fòra ch’ei ricuperasse.
142Del suo nobil valor la chiara fama
fa che quivi ciascun l’ama e ’l desia,
e come esperto in guerreggiar il brama.
145Dategli, venti, facile la via,
e, perché fuor d’ogni molestia ei vada,
la dea d’amor propizia in mar gli sia;
148sí che con l’onorata invitta spada
a la sua illustre immortai gloria ei faccia
con l’inimico sangue aperta strada.
151Ciò fia ch’ai mio voler ben sodisfaccia,
poi che, rimosso questo impedimento,
il mio amor sempre avrò ne le mie braccia.
154E, se costui perciò parte scontento,
ch’ad altro ho ’l core e l’anima donato,
rimediar non posso al suo tormento.
157E che poss’io? Che s’egli è innamorato,
io similmente il mio signor dolce amo,
e’l mio arbitrio di lui tutt’ho in man dato.
160A lui servir e compiacer sol bramo,
valoroso, gentil, modesto e buono;
e fortunata del suo amor mi chiamo.
163Lassa! che, mentre di lui sol ragiono,
né presente l’amato aspetto veggio,
da novo aspro martir oppressa sono;
166e pietra morta in viva pietra seggio
sopra del mio balcone, afflitta e smorta,
poi che ’l mio ben lontano esser m’aveggio.
169A questa, che da me scusa v’è pòrta,
di non esser venuta a visitarvi,
priva di vita senza la mia scorta,
172piacciavi, s’ella è buona, d’appigliarvi,
considerando ben voi questa parte,
senz’a quel ch’altri dice riportarvi.
175E, se le mie ragion confuse e sparte
senz’argomenti e senza stil v’ho addutto,
a dir la veritá non richiede arte.
178Bench’io non son senza un salvocondutto,
e senza da voi esserne invitata,
per tornar cosí presto a quel ridutto,
181basta che, quando vi sarò chiamata,
lascerò ogni altra cosa per venirvi;
né questo è poco a donna innamorata.
184E stimerò che sia vero obedirvi
star pronta a quel che mi comanderete,
non venendo non chiesta ad impedirvi.
187Se con vostro cugin ne parlerete,
son certa ch’egli mi dará ragione,
e voi medesmo ve n’accorgerete.
190Gli altri amici son poi buone persone,
e senza costo voglion de l’altrui,
s’altri con loro a traficar si pone.
193Forse che, quanto tarda a scriver fui,
tanto son lunga in questa mia scrittura,
senza pensar chi la manda ed a cui.
196Ma io son cosí larga di natura,
tal che tutta ricevo entro a me stessa
la virtú vostra e la viva figura:
199questa mi siede in mezzo l’alma impressa,
come di mio signor effigie degna,
ch’onorar il cor mio giamai non cessa.
202Cosi vostra mercé per sua mi tegna,
e per me inchini quella compagnia,
sin ch’a far questo a la presenzia io vegna;
205bene’ho mutato in parte fantasia,
e in ciò ch’io mi ritoglio, o ch’io mi dono,
non sará quel, che tal crede che sia.
2208Questo dico, perché dar in man buono,
venendo, non vorrei di chi perduta
mi tenne del suo amor, che non ne sono:
211cosi la sorte ora offende, ora aiuta.