Rime (Veronica Franco)/Terze rime/XIV
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XIV
Risposta d’incerto autore
L’amante sfidato si dichiara vinto senza contrastar con arme, e s’arrende alla bella inimica, al cui dominio offre volentieri il cuore.
Non piú guerra, ma pace: e gli odi, l’ire,
e quanto fu di disparer tra noi,
si venga in amor doppio a convertire.
4La mia causa io rimetto in tutto a voi,
con patto che, per fin de le contese,
amici piú che mai restiamo poi:
7non mi basta che Tarmi sian sospese,
ma, per stabilimento de la pace,
d’ogni parte si lievino Toffese.
10Che nascesse tra noi rissa, mi spiace;
ma se lo sdegno in amor s’augumenta,
che tra noi si sdegnassimo, mi piace:
13e, se pur ragion vuol ch’io mi risenta
e vendicata sia l’ingiuria mia,
de la qual foste ognor ministra intenta,
16voglio con Tarmi de la cortesia
invincibil durar tanto a la pugna,
che conosciuto alfin vincitor sia.
19Né questo da l’amor grande repugna,
anzi con queste e non mai con altre armi
ogni spirto magnanimo s’oppugna.
22O se voleste incontra armata starmi,
se voleste tentar, con forza tale,
se possibil vi sia di superarmi,
25fora ’l mio stato a quel di Giove eguale;
forse troppo è la speranza ardita,
che studia di volar non avendo ale.
28Somma felicitá de la mia vita
sarebbe, in questo stato, che teneste
da nuocermi la mente disunita;
31ma, s’a l’opere mie ben attendeste,
cosi precipitosa ne lo sdegno
a ciascun passo meco non sareste.
34L’ira è bensí de Tatfezzion segno,
ma che attende a introdur nel nostro petto,
quanto può, l’odio con acuto ingegno;
37cosi ’l languir, giacendo infermo in letto,
segno è di vita, perché Tuoni, ch’è morto,
cosa alcuna patir non può in effetto:
40ben per l’infermitá vien altri scorto
a morir, e, quant’è piú’l mal possente,
al fin s’affretta in termine piú corto.
43Del vostro sdegno subito ed ardente.
s’è in voi punto ver’ me d’amore, attendo
che siano tutte le reliquie spente.
46E per questo talvolta anch’io m’accendo,
e non per ira, ma per dolor molto
batto le man, vocifero e contendo:
49vedermi del mio amor il premio tolto,
né questo pur, ma in altretanta pena
vederlomi in su gli occhi (oimè!) rivolto,
52per disperazion questo mi mena
a quel che piú mi spiace; e pur l’eleggo,
poi che’l preciso danno assai s’affrena.
55Con la necessitá mi volgo e reggo,
dappoi che la ruina manifesta
de le speranze mie tutte preveggo;
58ma non perciò nel cor sempre mi resta
di piacervi talento e di servirvi,
anzi in me piú tal brama ognor si desta.
61La mia ragion verrei talvolta a dirvi,
ma, perché so che romor ne sarebbe,
col silenzio m’ingegno d’obedirvi.
64Non so, ma forse ch’a taluno increbbe
del viver nostro insieme; che ’l suo tosco,
nel nostro dolce a spargerlo, pronto ebbe.
67Insomma dal mio canto non conosco
d’avervi offeso, se ’l mio amor estremo
meritar pena non m’ha fatto vosco;
70ma seguite, crudeli questo mai scemo
non diverrá, ma nel mio cor profondo
vivo si serberá fino a l’estremo:
73vivrá di questo il mio pensier giocondo,
benché per tal cagion di pianto amaro,
di lamenti e sospiri e doglia abondo.
76Ecco che nel duello mi preparo,
con l’armi del mio mal, de le mie pene,
de l’innocenzia mia sotto’l riparo.
79Non so se ’l vostro orgoglio ne diviene
maggior, o se s’appiana, mentre mira
ch’io verso’l pianto da le luci piene:
82ben talor l’umiltá estingue l’ira,
ma poi talor l’accende, onde quest’alma
tra speranza e timor dubbia si gira.
85Ma, d’armi tali pur sotto aspra salma,
mi rendo in campo a voi, madonna, vinto,
e nuda porgo a voi la destra palma.
88Se non s’è l’odio nel cor vostro estinto,
mi sia da voi col preparato ferro
un mortai colpo in mezzo ’l petto spinto:
91pur troppo armata, e so ben ch’io non erro,
contra me sète; ed io del seno ignudo
l’adito ai vostri colpi ancor non serro.
94Quel dolce sguardo umanamente crudo
son l’armi, ond’ancidete il tristo core,
in cui viva, bench’empia, ognor vi chiudo:
97gli strali e ’l foco e ’l laccio son d’Amore
l’alte vostre bellezze, a me negate,
onde cresce ’l desio, la speme more.
100Queste in mio danno, aspra guerriera, usate;
e quanto piú di lor sète gagliarda,
tanto piú pronta a le ferite siate.
103Qual cosa dal ferirmi vi ritarda?
Forse vi giova che d’acerba fiamma,
senza morir, per voi languisca ed arda.
106Lasso, ch’io mi distruggo a dramma a dramma,
né de la mia nemica il mio gran foco
punto il gelido petto accende o infiamma:
109ella si prende i miei martiri in gioco,
misero me, ché pur a nòve piaghe
dentro ’l mio petto non si trova loco.
112Di quella fronte e de le luci vaghe,
e del dolce parlar fúr gli aspri colpi,
che ’n parte fér quell’empie voglie paghe.
115• Volete ch’io non pianga e non v’incolpi,
e di quanto in mio scempio avete fatto
di voi mi lodi, e non sol vi discolpi?
118L’armi prendete ad impiagarmi ratto,
e ’l mio duol disgombrando con la morte,
fate degno di voi magnanimo atto.
121A riconciliar Tirata sorte,
onde ’l ciel mi minaccia oltraggio e scorno,
pigliate in man la spada, ardita e forte.
124Ecco che disarmato a voi ritorno,
e, per finir il pianto a qualche strada,
ai vostri piedi umil mi volgo intorno:
127del vostro sdegno la tagliente spada,
s’altro non giova, omai prendete in mano,
e sopra me ferendo altèra cada.
130Ripetete pur via di mano in mano,
mentre dal segno alcun colpo non erra,
e che l’oggetto avete non lontano:
133breve fatica queste membra atterra,
lacere e tronche d’amorosa doglia,
non punto accinte a contrastar in guerra:
136e, s’ancor ben potessi, non n’ho voglia,
ma di morirvi inanzi eleggo, pria
ch’alcun riparo in mia difesa toglia.
139Potete, se vi piace, essermi ria;
e, quando usar l’asprezza non vi piaccia,
potete, se vi piace, essermi pia.
142Quanto a me, pur ch’a voi si sodisfaccia,
vi dono sopra me podestá franca,
legato piedi e mani e gambe e braccia;
145e vi mando per fede carta bianca,
ch’abbiate del mio cor dominio vero,
sí che veruna parte non vi manca.
148Del resto assai desio piú, che non spero,
né so se, in via di straziar, m’abbiate
fatto l’invito, o se pur da dovero.
151Aspetterò che voi me n’accertiate.