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i - terze rime 285

     97In quel vostro si celebre concorso
d’uomini dotti e di giudicio eletto,
da cui vien ragionato e ben discorso,
     100come, senza poter formar un detto,
dovev’io ne la scola circostante
uom tal visitar egro infermo in letto?
     103Furono appresso le giornate sante,
ch’a questo officio m’impedir la via;
benché la cagion prima fu ’l mio amante,
     106a cui sempre pensar mi convenia,
e legger, e risponder, in ciò tutta
spendendo la giá morta vita mia.
     109Ed ora a stato tal io son ridutta,
che, s’ei doman non torna, com’io spero,
fia la mia carne in cenere distrutta.
     112Di rivederlo ognor bramosa péro,
bench’ei tosto verrá, com’io son certa,
per quel ch’ei sempre m’ha narrato il vero:
     115de la promessa fé di lui s’accerta
con altre esperienzie la mia spene,
né qual dianzi ha da me doglia è sofferta.
     118Egli verrá, l’abbraccerò ’l mio bene:
stella benigna, ch’a me ’l guida, e ria
quella, ond’ei senza me star sol sostiene.
     121Mi resta un poco di malenconia,
ch’egro è ’l mio colonello, ed io non posso
mancargli per amor e cortesia;
     124sí che, gran parte d’altro affar rimosso,
attendo a governarlo in stato tale,
ch’ei fora senza me di vita scosso.
     127Per troppo amarmi ei giura di star male,
convenendo da me dipartir tosto,
e verso Creta andar quasi con l’ale.
     130Di ciò nel cor grand’affanno ei s’ha posto,
ed io non cesso ad ogni mio potere
di consolarlo a ciascun buon proposto.