Rime (Guittone d'Arezzo)/Gente noiosa e villana

Gente noiosa e villana

../Tutto 'l dolor, ch'eo mai portai, fu gioia ../Gentil mia donna, gioi sempre gioiosa IncludiIntestazione 12 gennaio 2010 100% Poesie

Guittone d'Arezzo - Rime (XIII secolo)
Gente noiosa e villana
Tutto 'l dolor, ch'eo mai portai, fu gioia Gentil mia donna, gioi sempre gioiosa


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XV

Perchè s’è partito dalla sua terra.


 
Gente noiosa e villana
e malvagia e vil signoria
e giùdici pien’ di falsia
e guerra perigliosa e strana
     5fanno me, lasso, la mia terra odiare
e l’altrui forte amare:
però me departut’ho
d’essa e qua venuto;
e a la fé, che ’l maggio spiacimento
     10che lo meo cor sostene
è quel, quando sovene
mene d’essa o de cosa
che ve faccia riposa:
tanto forte mi è contra talento.

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     15Certo che ben è ragione
io ne sia noios’e spiacente,
membrar ch’agiato e manente
li è ciascun vile e fellone,
     e mesagiato e povero lo bono;
20e sí como ciascono
deletta a despregiare
altrui, più ch’altro fare;
e como envilia e odio e mal talento
     ciascun ver’l’altro ei porta,
25e ch’amistà li è morta
e moneta è ’n suo loco;
e com’solazzo e gioco
lí è devetato, e preso pesamento.
     Membrar noia anche me fae
30como bon uso e ragione
n’è partuto e rea condizione
e torto e falsezza lí stae;
     e che scherani e ladroni e truianti
meglio che mercatanti
35li vede om volonteri;
e com’no li ha misteri
om ch’en altrui o ’n sé voglia ragione,
     ma chi è lausengeri
e sfacciato parlieri
40li ha loco assai, e quello
che mostrar se sa bello
ed è maestro malvagio e volpone.
     Donque può l’omo vedere,
se me dol tanto membrare,
45che lo vedere e ’l toccare
devia più troppo dolere;
     per ch’om non po biasmar lo me’ partire;
e s’altri vol me dire,
— Om día pena portare
50per sua parte aiutare,

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eo dico ch’è vertá; ma essa ragione
     ha me’ parte perdita,
ch’eo l’ho sempre servita
e, fomi a un sol ponto
55mestier, no m’aitò ponto,
ma fomi quasi onni om d’essa fellone.
     Parte servire ni amare
d[ev]ia, ni spezïale amico;
ché segnore ni cap’ho, dico,
60per cui dovesse restaurare;
     in ’n mia spezialitate a far li aveva,
ni la guerra voleva;
la casa e ’l poder ch’eo
li aveva era non meo,
65mai lo teneva dal comune in fio
     sí, che dal prence en Bare
lo pora a men trovare:
per ch’amo ch’el sia strutto
com’me struggeva al tutto,
70sí che nemico non avea più rio.
     Estròvi donque perdendo
onore, prode e plagire
e rater[r]òmi di gire
ad acquistare gaudendo?
     75No: stianvi quelli a cui la guerra piace
e prode e ben li face;
tutto che, se catono,
com’eo, potesse a bono
partir, picciolo fosse el remanente:
     80ma l’un perché non pòe
e l’altro perché a cioè
istar tornali frutto,
biasma el partire en tutto;
ma so che ’l lauda en cor lo conoscente.
     85Non creda om che paura
aggia me fatto partire,

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ch'è sicuro istare e gire
ha più vile ch’eo tra le mura —,
     m’è ciò ch’ho detto, con giusta cagione;
90E se pace e ragione
li tornasse a durare
sempre vorrai lá stare;
ma che ciò sia non veggio; enante creo
     languendo, megliorando
95e ’n guerigion sperando,
d’essa consommamento;
per che chi ’l partimento
più avaccio fa, men dann’ha ’l parer meo.
     Solo però la partenza
100fumi crudele e noiosa,
che la mia gioia gioiosa
vidila in grande spiagenza,
     ché disseme piangendo: — Amore meo,
mal vidi el giorno ch’eo
105foi de te pria vogliosa,
poi ch’en sí dolorosa
parte deggio de ciò, lasso, finire;
     ch’eo verrò forsennata,
tanto son ben mertata,
110s’eo non fior guardat’aggio
desnore ni dannaggio,
a met[t]erme del tutto in tuo piacere. —
     Ma, como lei dissi, bene
el meo può pensar gran corrotto,
115poi l’amoroso desdotto
de lei longiar mi convene;
     ma la ragion che detto aggio di sovra
e lo talento e l’ovra
ch’eo metto in agrandire
120me per lei più servire,
me fa ciò fare, e dia portar perdono:
     ché giá soleva stare

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per gran bene acquistare
lontan om lungiamente
125da sua donna piacente,
savendo lui, ed a‧llei, forte bono.
     Va, mia canzone, ad Arezzo, in Toscana
a lei ch’aucide e sana
lo meo core sovente,
130e di’ ch’ora parvente
será como val ben nostra smistate:
     ché castel ben fornito
e non guaire assallito
no è tener pregiato,
135ma quel ch’è asseggiato
e ha de ciò che vol gran necestate.
     Ed anco me di’ lei e a ciascuno
meo caro amico e bono
che non dia sofferire
140pena del meo partire;
ma de sua rimembranza aggio dolere:
     ch’a dannaggio ed a noia
è remesso e a croia
gente e fello paiese;
145m’eo son certo ’n cortese,
pregi’ acquistando e sollazzo ed avere.