Rime (Guittone d'Arezzo)/Gentil mia donna, gioi sempre gioiosa

Gentil mia donna, gioi sempre gioiosa

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Guittone d'Arezzo - Rime (XIII secolo)
Gentil mia donna, gioi sempre gioiosa
Gente noiosa e villana Altra gioi non m'è gente


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XVI

Celebra la pietá della sua donna


     Gentil mia donna, gioi sempre gioiosa,
vostro sovrapiacente orrato affare
compiuto di ben tutto, oltra pensare
di mortal cor magn’e mirabel cosa,
5sorprese l’alma mia de tutto amore;
e non giá meo valore

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me conquistò de voi la segnoria,
ma la gran cortesia
de vostro dolze e debonaire core;
10non giá guardando ciò, ched in bassezza
tornasse vostr’altezza,
ma solo de quetar lo meo follore.
     Gentil mia donna, amor, s’i’ per un cento
avesse magno cor, forz’o savere,
15operandol sol sempre in voi valere,
prendendovi final consomamento,
vostro compiuto don non mertaría;
ché la passione mia
fo de natura fellonesca tanto,
20non mai partia de pianto
senza tornar vostro onor grande a onta.
Voi lo tornaste, amore, e non v’adusse
cosa ch’a mala vista fusse,
ma solo l’alma d’ogne pietá ponta.
     25Gentil mia donna, dono è ch’al fattore
è magno e a chi ’l prende è quasi nente;
ma ’l vostro dono, amor, non fo parvente,
ch’eo presi vita e voi donaste onore.
Ma certo, amore meo, d’esta fallanza
30v’aduce perdonanza
lo bisogno o’ fui, grande oltra ch’eo dico;
ché non ho giá nemico
sí fero, ch’a pietá non fosse dato.
Ché non è vizio, ma virtú, pietate;
35ma vizio è crudeltate
e contra del pietoso esser spietato.
     Gentil mia donna, assai porea mostrare
ragion, che porterea ’n vostra defesa;
ma tuttavia vorrea morte aver presa
40e ciò ch’è stato fosse anco ad istare.
Ché poi che corse tra villana gente
alcun parlar nesciente,

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nulla scusa ostar mai l’omo ne pora.
Donqua men danno fora
45de la morte d’un om, sí com’io, basso,
ch’un sol punto d’onor foste fallita;
ch’onor val piú che vita,
per che pria morto esser vorria, lasso!
     Gentil mia donna, amor, non mi val voglia;
50ma, se valesse, giá parrebbe tanto,
che nel mondo no ha loco né canto,
no li portasse pietanza e doglia;
che giá fu me, gentil mia donna, noia
vostr’amorosa gioia,
55ver ch’ora mi serea destruggimento
d’onne crudel tormento,
potendo vo tornare in vostro stato:
ché dirittura vol che no schifare
deggi’om pena portare,
60unde possa mendar ciò ch’ha peccato.
     Gentil mia donna, non poss’a valere,
menderaggio a podere;
che com’eo vi servii de folle amore,
mai sempre a vostro onore
65vo serverò de quant’eo so valere,
remosso onne villano intendimento;
e per simil convento
piacciavi, amor, mia fedeltá tenere.