Rime (Andreini)/Egloga IV

Egloga IV

../Egloga III ../Egloga V IncludiIntestazione 2 marzo 2015 75% Sonetti

Egloga III Egloga V

[p. 247 modifica]

AMARANTA EGLOGA IIII.


Argomento.


Uranio Pastore innamorato d’Amaranta non potendo più sopportar l’estrema sua passione, procura disacerbarla parlando; e quasi fosse presente alla sua Ninfa le narra tutto quello, che può moverla ad amare; ma perche stima, che la ricchezza debba poter più in lei, che l’altre cose, particolarmente si fonda sù quella; e sapendo quanto la Donna per natura sia vaga delle pompe, e delle grandezze le offerisce l’habitar alla Città con quei maggior commodi, & honori, che sian possibili haversi.


Uranio Pastore.


S
Otto un frondoso alloro

Uranio volto al Ciel così dicèa
     Fatta la fronte sua fonte di pianto.
E forza pur dolce Amaranta, ch’io
     E ’l dolor, e l’affanno
     Essali fuor con queste
     Voci languide, e meste.
     Forse quest’aure amiche
     Del mio dolor messagge
     Ti porteran sù l’ali i miei lamenti;
     E se non se’ viè più, che ghiaccio fredda
     Forse qualche scintilla
     De la mia fiamma ardente
     Temprerà il ghiaccio, onde fai scudo al core.

[p. 248 modifica]

     Se tù leggiadra mia bella Amaranta
     Donar ti devi ad uno
     Per sangue al Mondo chiaro
     (Il ver dirò ne mi s’apponga à vanto )
     Non fia già, che di me ti rendi schiva.
     Ramo non vile io son del nobil ceppo
     De l’antico Damone,
     Damon noto à le selve
     Per virtute non men, che per ricchezza;
     E Licori pudica honor di quante
     Ninfe sien quì trà noi seco fù giunta
     Per legge maritale.
     Se per virtute poi,
     Più gloria già non se ne porta Aminta,
     Benche maestro accorto
     Si mostri nel pugnar col duro cesto,
     Ed agile nel salto, e ne la lotta,
     Veloce, e snello al corso
     Più che macchiato Pardo
     E sagittario esperto,
     Agricoltor perito,
     E dotto sia poi tanto
     A l’aurea cetra sua sposando il canto.
Se per ricchezza, i miei fecondi Armenti
     Occhio ben sano annoverar non puote,
     E cento, e cento fortunati campi
     Fendon gli aratri miei;
     Nè Cerere, ò Lièo mi mancan mai;
     Onde le mie capanne abondan sempre
     Di quanto altrui può dare il Ciel benigno.
Se per bellezza poi, vidi me stesso
     Nel liquido del Mare alhor, che’n pace

[p. 249 modifica]

     Taceano i venti, ed ei giacea senz’onda;
     E vidi pur, che di gentil aspetto
     (Bench’io mi strugga, e mi consumi in pianto)
     Non m’avanzan però gli altri Pastori.
     Ma di tal vanto altero
     Se n’ vada pur de le Donzelle il Coro.
     Vero amor, vera fede
     Sien le mie glorie, e i pregi.
     Questo ti vinca; e ’l vincitor sia poi
     De la sua bella vinta amante, e servo.
Lascia Amaranta mia, deh lascia homai
     I selvatici alberghi; e vieni à quello,
     Che sol te sola chiama.
     Lascia, lascia cor mio le selve, ed ama.
     E se piaga mi fosti
     Siami Dittamo ancora.
     Fuggi l’horror de’ boschi, e vieni al fine
     A colui, che t’adora; e tue sien tutte.
     Le mie capanne, il gregge, i boschi, e i campi,
     E ’n somma quanto à me concede il Cielo;
     Che ben sanno i Pastor, che tante, e tante
     Son le ricchezze mie;
     Che se vago d’honore
     Lasciar volessi un dì le selve, e i colli
     Habitar ben potrei le gran Cittadi;
     Facendo l’ampie loggie,
     E le piazze, e le strade
     Meravigliar anch’io,
     E sotto nobil tetto
     Starmi posando; e cento
     Haver servi d’intorno; e ben saprei
     Come sogliono i grandi à bel destriero

[p. 250 modifica]

     Premer il dorso, e di pregiate spoglie
     Ornarmi tutto, e di soavi odori
     Carco porger à gli Indi
     Invidia, ed à i Sabèi.
     A te farei vestir porpora, ed oro;
     E le tue bionde chiome
     Neglette ad arte havrien di fiori in vece
     Per ornamento bella schiera eletta
     Di ricchi fregi; ambe le orecchie poi
     De le conche orneria parto felice;
     E del bel collo à l’animata neve
     Risplenderia per molte gemme acceso
     Ricco monile; ond’altri staria in forse
     Qual fosse in lui maggior ricchezza, od arte.
     Fiammeggiante rubin la bella mano
     Ingemmeria; così pomposa altrui
     Sembraresti più bella, che beltade
     Cresce talhor per ornamento industre.
     Di bellissime ancelle humil corona
     A riverirti ogn’hor pronta vedresti;
     Nè brameresti invano
     E le pompe, e i diletti
     Onde ne le Città vanno superbe
     Le Donne illustri. musici stromenti,
     Voci canore, quando unite, e quando
     Disgiunte, quel piacer, che i grandi alletta
     Darianti; ed haveresti in somma quanto
     Ponno dar le Città più ricche in terra.
     Nè vergognar ti dei
     (Quando al mio ragionar l’animo pieghi)
     D’habitar la Cittade,
     Perche Pastor noi siamo; e qual è al Mondo

[p. 251 modifica]

     Re sì possente, che l’origin prima
     Da qualche servo, ò da Pastor non habbia?
     E qual è servo, ò Pastorel sì vile
     Che ’n qualche tempo anch’egli
     Del suo legnaggio antico
     Non possa raccontar corone, e scettri?
     Tutti siamo Amaranta
     Frondi d’una sol pianta,
     E tutti al fin cadiamo
     Nel general Autunno de la morte.
     Mentre ricchi saremo
     Stimati ancor sarem nobili, e degni.
O quanti sono, ò quanti
     In pregio sol per l’oro, à cui più tosto
     Si converria voltar i duri campi
     Col torto aratro, che vestir la seta.
     Ed huomini gentili esser chiamati.
     Hor poi, che tanto di ricchezze abondo
     Potrò ben frà più degni andar anch’io.
     Oltre che se virtù (quant’alcun dice)
     Fà l’huom nobile tanto,
     Per tal dote potrò da’ più prudenti
     Esser accolto ancora.
Vieni dunque ò mio Sole,
     E con amor gradisci
     Chi con amor la tua bellezza inchina.
     Di duo si faccia un core, e poi sia retto
     Da pari voglia. vieni,
     Vieni bella Amaranta,
     E fà meravigliar col tuo sembiante
     La Città non avezza
     A veder un bel volto
     Per natural beltade.

[p. 252 modifica]

     Vieni, e d’invidia fà, che muoian quelle
     A cui più che Natura è l’Arte amica;
     Però che dipingendo
     E le guancie, e la fronte,
     E la bocca, e le ciglia, e ’l collo, e ’l petto
     Occultano il difetto
     Di Natura, e del Tempo;
     E son bugiarde, e finte
     Nel sembiante, ne i detti, e più nel core.
     Gradisci le mie voglie,
     Nè render vane le speranze mie,
     Poiche ’n te sola spero.
     Eleggi qual più vuoi d’animo pronto
     Offerta vera; e per pietà sia questo
     Giorno in cui tutti i miei pender ti scopro
     O de la vita, ò de la doglia il fine.
     Ma più giusto saria,
     Ch’ei fosse lieto fin del mio martìre,
     E soàve principio al mio gioire.