Rime (Andreini)/Egloga III

Egloga III

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INCANTESIMO EGLOGA III.


Argomento.


Una Ninfa innamorata fieramente di Tirsi Pastore apparate alcune cose da maga Donna, per mezo di quelle si studia richiamarlo al suo primo amore, dal quale ei s’era tolto, e vedendole riuscir vane, le danna, risolvendosi di non creder mai più alle loro bugie.


H
Or che la Notte à la suprema altezza

Giunta del Ciel verso l’Hibero fugge;
     Hor, che sopite in un soàve oblìo
     Tien le fatiche de’ mortali il sonno;
     Hor che taccion le frondi
     Al tranquillo tacer de le mort’aure,
     Nè de la Terra il duro volto preme
     Col passo errante, ò fiera,
     Od huom, che tutto è dal silenzio oppresso;
     E quei dorme securo
     In grotta alpina, e questi
     In pagliaresco albergo
     Posando, i lumi chiude.
     Io fatta già da l’empio Amor tiranno
     Di Ninfa belva, à l’aria humida, e fosca
     M’accingo à richiamar Tirsi crudele
     Con magiche parole,
     E con herbe recise al Sol notturno:
     Tirsi crudel, ch’à l’amor mio s’è tolto.
     Spargi Clori il terren de l’acque, ch’io
     Tolsi da tre Fontane; e ’l novo Altare
     Fatto di terra, e d’herbe intorno cingi

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     Tre volte, e quattro con le molli bende;
     Poi la casta verbena, e ’l maschio incenso
     Accendi; e ’n bassa voce
     Dirai. così s’accenda
     Quel cor, ch’è per noi fatto un freddo gielo.
     Torni il mio Tirsi al primo nostro amore.
In varie, e strane forme
     Ben possono gli incanti
     Cangiar gli huomini, e ponno
     Fermar de’ fiumi il corso,
     Trar dal bosco le fiere,
     Gli angui dai fior, fuori del centro l’ombre,
     E la Luna dal Cielo.
     Torni il mio Tirsi al primo nostro amore.
Quel cor fatto di cera ò Clori prendi,
     Ed affigivi dentro,
     Questi aghi, e queste spine;
     E dì. sì punga il core
     Di lui strale d’Amore.
     Getta nel foco il crepitante alloro,
     E misto con quel core il farro, e ’l sale,
     Dona à le sacre fiamme,
     Acciòch’egli per me non men si strugga,
     Che la cera nel foco; e mal suo grado
     Mi segua, e ’n me sospiri;
     E più mi brami, che bramar non suole
     Vago augellin dopo la pioggia il Sole.
     Di tre veli diversi i nodi stringi,
     E tre volte dirai.
     Così stringer poss’io
     Tutti i pensier di quello,
     Che tutti i miei pensier chiude nel seno.
     Torni il mio Tirsi al primo nostro amore.

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Quì sopra questa foglia
     Scrivo di Tirsi il nome;
     Ma di Venere prima
     Il possente carattere io vi segno.
     Del suo bel corpo amato
     Le amate spoglie poi,
     Che per mesta memoria m’avanzaro
     De la sua fuga, io pongo
     Confuse quì con la segnata fronda;
     E perche meglio à voti miei risponda
     Il magico sussurro
     Questi capegli, ch’io
     Lievemente tagliai
     Da la sua bionda innannellata chioma
     Mentr’egli nel mio sen dolce dormìa
     Sacro devota à questa
     Soglia vedova, e mesta;
     Perch’ella a me ’l richiami,
     Ed amato pur m’ami.
     Torni il mio Tirsi al primo nostro amore.
Hor sopra ’l foco leggiermente io spargo
     Questo vino spumante.
     Strida come l’acceso
     Carbon, quell’empio, e rìo,
     Che di nostra sventura hor tanto gode.
     Questo liquor da le premute olive
     Tratto, nel seno io verso.
     Del foco già vicino
     A rimaner estinto;
     Ed ecco ei torna più che mai cocente;
     Così ritorni ardente
     Del mio bel Sol la fiamma

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     In cui già visse dolcemente ardendo.
     Torni il mio Tirsi al primo nostro amore.
Premi quell’herbe tal che fuor ne venga
     Il velenoso humore, à cui di Ponto
     Cede ogn’altro velen. così da Tirsi
     Esca la crudeltà velen del core,
     Che ’n lui si trova, e me dolente attosca.
     Torni il mio Tirsi al primo nostro amore.
Questo incantato ferro intorno io volgo
     Perche ’l mio Tirsì à me pur volga il piede
     Ardendo in me sicome avampo in lui.
     Torni il mio Tirsi al primo nostro amore.
Discinta, e scalza intorno al sacro Altare
     Tre volte io giro, e tre la chioma scuoto,
     Tre volte io bacio questa ignuda terra;
     E prego il Ciel s’invida Ninfa, ò Dèa
     Mi spoglia del mio ben, ch’ella in se stessa
     Provi del mio gran duol l’estremo oltraggio.
     Torni il mio Tirsi al primo nostro amore.
Prendi quelle, che al vento
     Lucertole seccai,
     E quelle in polve già serpi converse;
     E con quel cener freddo
     Confondi tutto, e mesci;
     Poi con ambe le man prendile; e come
     Gettaron l’ossa de la madre Antica
     Deucalione, e Pirra
     Gettale Clori tù nel vicin fiume;
     E dì con alta voce.
     Così ne porti l’onda
     De la compagna mia gli egri martìri.
     Torni il mio Tirsi al primo nostro amore.

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     Un Fonte è tal, che chi quell’acqua beve
     D’ardentissimo amor l’anima accende,
     Ne beva Tirsi, e ’n me sospiri, ed arda.
     Un Rege fù, la cui terrena spoglia
     In augello cangiar gli eterni Dei,
     E di sì varie; e vaghe penne è sparso,
     Che sembra ancor haver d’intorno il manto,
     E la corona hà pur dì penne; il nido
     Have di questo augel pietra sì rara,
     Che chiunque l’ottiene amato è sempre
     Da quella per cui porta il cor piagato;
     Deh porgi à me pietosa Luna questa
     Mirabil pietra; accioche Tirsi mio
     Non ricusi d’amar me, che l’adoro.
     Deh porgi ò Luna à nostri incanti aìta.
Tù pur in sogno à la famosa Elpina
     Dotta à l’indovinar con l’onda pura,
     E col foco, e col cribro
     Di Circe, e di Medea
     E l’herbe, e i sassi, e le parole, e i carmi
     Insegnasti cortese;
     Ed ella à noi poscia insegnolli. hor sieno
     Valide homai queste fatiche nostre.
     Deh porgi ò Luna à nostri incanti aìta.
Tù, ch’adorata se’ ne gli alti Monti
     Deh non mi riguardar con torvo ciglio.
     O de le stelle chiaro, e bel Pianeta,
     O splendor de la notte,
     O del Ciel maggior lume dopo quello
     Del tuo biondo fratello
     Il cor selvaggio, e crudo
     Vinci del crudo Tirsi; e s’unquà amasti

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     Pietà del dolor mio l’alma ti punga.
     Deh porgi ò Luna à’ nostri incanti aìta.
Prestami il tuo favor, fà, che l’ingrato
     Ritorni à farsi amante, e la sua parte
     Habbia anch’egli del foco, ond’io tutt’ardo.
     Sgombra da lui la natural fierezza,
     Fà, che benigno le pietose orecchie
     Porga a’ miei giusti preghi,
     E pietà non mi neghi.
     Deh porgi ò Luna à’ nostri incanti aìta.
Hor se ’l tuo volto eternamente scopra
     Gli argentati luci raggi, e de le nubi
     Rompano la caligine profonda,
     Onde con bianche, e pure corna il Cielo
     Tu vada ogn’hor rotando;
     Nè mai Pastor de’ baci tuoi se n’ vada
     Per gli alti monti altero,
     Concedi à me dolente,
     E sconsolata amante
     Quel, che pregando io chiedo.
     Deh porgi ò Luna à’ nostri incanti aìta.
Senti ò mia Clori, senti,
     Ch’abbaia il fido cane.
     Certo questo latrar è buon’augurio,
     O pur m’insegna amor crederlo tale;
     Amor, che di menzogne il mio cor pasce.
     Tirsi non veggio (ohime) non veggio il Sole,
     Che le tenebre mie sgombrar solèa.
     M’accorgo ben, che son gli incanti vani,
     E più vana è colei, che dà lor fede.
     Falso prodigio di verace doglia
     E ’l bugiardo latrar, ch’or mi dimostra.

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     Che ’l vero amor non con incanti, od herbe,
     Ma con beltà, ma con vertù s’acquista.