Rime (Andreini)/Canzonetta morale III
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Che Amore cagiona travagli, e spesso morte.
Canzonetta Morale III.
De la bella Ero, e del Garzon d’Abido
Narra tù Musa, e del gran caso il grido
Desti pietà ne i più selvaggi cori.
Dì come di Ciprigna il giorno festo
Lieto chiamò da le natìe contrade
Le Genti, e d’ogni sesso, e d’ogni etade
Ad honorar la bella Diva in Sesto.
I notturni Himenei, che varcar l’acque,
Le oscure nozze, che giamai l’Aurora
Non vide; il nuotator furtivo honora,
Ero, & Amor cui di dormir non piacque.
Era ministra la bellissima Ero
Del Tempio; hor mentre à le sant’opre intesa
Lodata passa; indi ne resta accesa
L’alma, che ferve entro viril pensiero.
Ma più d’ogn’altro arde à Leandro il petto;
Arde, e sol può de la Donzella altera
Scaldar il core, e con humil preghiera
Chiese, ed ottenne il marital suo letto.
Ritorna lieto al suo patrio soggiorno,
E come stabilito havean trà loro
Bramoso attende, che i be’ raggi d’oro
Nasconda Febo, e porti altrove il giorno.
Ecco la notte desiata viene,
Egli à la Torre il guardo fiso intende;
E la face d’Amor vede, che splende,
E gli arde il cor fin da le mute arene.
Pensoso alquanto da le amiche sponde
Ei guarda il mare, e teme de’ suo’ inganni,
Poi dice avvolti al biondo crine i panni,
Foco d’amor non dè temer de l’onde.
Di leggier salto al mobil flutto pieno
D’infedeltade egli se stesso fida;
E Nave à sè, vela, & Nocchier si guida
Pe i salsi campi a la sua Donna in seno.
Ella con rosea man l’asciuga, e terge,
Indi lo scorge à la secura stanza,
Vagheggia l’amatissima sembianza
Mentre d’odori il caro fianco asperge.
Sgombrata al fin da lui l’amara spuma
Parlò soàve. egli abbracciolla, e colse
Mille, e più baci, indi quel cinto sciolse,
Che bramò tanto, entro à la molle piuma.
Così godeansi Citherea furtiva;
Ma gli Himenei maritimi, e sonanti
Tanto durar tra gli infelici amanti
Quanto si vide la stagione estiva.
Giunto l’horrido Verno il coraggioso
Leandro nuota; ed ecco il crudo fiato
D’Austro porta al Ciel l’onda, e ’l lume usato
Spegne; ond’ei corre il pelago spumoso.
L’affaticate membra stanche, e rotte
Agita il mar, di cui l’humore acerbo
Ei beve in van, ch’al fin crudo, e superbo
Lo trahe dolente a l’ultima sua notte.
Poi che ’l bel corpo (ohime) di spirto casso
Vide il mattin la Donna, in preda al duolo
Dal balcon preso un disperato volo
Col capo in giù precipitossi al basso.
Durante hor saggio tù l’animo indura
D’Amor à i colpi; e questo humido essempio
Ti scopra homai, ch’egli tiranno, ed empio
Peste è del Mondo, e Mostro di Natura.
Ma tù medesmo col tuo nobil canto,
Canto felice, ond’ergi al Ciel le piume
Insegni altrui, che d’esto falso Nume
Brevissima è la gioia, eterno il pianto.