Ecco la notte desiata viene,
Egli à la Torre il guardo fiso intende;
E la face d’Amor vede, che splende,
E gli arde il cor fin da le mute arene.
Pensoso alquanto da le amiche sponde
Ei guarda il mare, e teme de’ suo’ inganni,
Poi dice avvolti al biondo crine i panni,
Foco d’amor non dè temer de l’onde.
Di leggier salto al mobil flutto pieno
D’infedeltade egli se stesso fida;
E Nave à sè, vela, & Nocchier si guida
Pe i salsi campi a la sua Donna in seno.
Ella con rosea man l’asciuga, e terge,
Indi lo scorge à la secura stanza,
Vagheggia l’amatissima sembianza
Mentre d’odori il caro fianco asperge.
Sgombrata al fin da lui l’amara spuma
Parlò soàve. egli abbracciolla, e colse
Mille, e più baci, indi quel cinto sciolse,
Che bramò tanto, entro à la molle piuma.
Così godeansi Citherea furtiva;
Ma gli Himenei maritimi, e sonanti
Tanto durar tra gli infelici amanti
Quanto si vide la stagione estiva.
Giunto l’horrido Verno il coraggioso
Leandro nuota; ed ecco il crudo fiato
D’Austro porta al Ciel l’onda, e ’l lume usato
Spegne; ond’ei corre il pelago spumoso.
L’affaticate membra stanche, e rotte
Agita il mar, di cui l’humore acerbo
Ei beve in van, ch’al fin crudo, e superbo
Lo trahe dolente a l’ultima sua notte.