Ragguagli di Parnaso (Laterza)/Centuria seconda/Ragguaglio V

Centuria seconda - Ragguaglio V

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RAGGUAGLIO V


Dopo l’esquisitissima diligenza usata da Apollo per aver nelle mani alcuno degl’idoli de’ prencipi, severamente procede contro uno capitato in poter de’ giudici.

Con dispiacer suo infinito essendo Apollo venuto in chiara cognizione de’ gravissimi disordini che, non meno negl’imperi grandi che negli Stati piccioli, cagiona la vergognosa cecitá di que’ prencipi che commettono il grandissimo eccesso di soggettarsi ad un loro vilissimo servidore; poiché né le continove esortazioni di Sua Maestá, né le spaventevoli calamitadi, che per gli stessi bruttissimi eccessi numero infinito di prencipi hanno sofferte, ha potuto rimoverli dal duro destino, dal quale violentemente paiono strascinati, di precipitar nel baratro di cosí atroci inconvenienti, per non abbandonar la protezione, tanto propria di Sua Maestá, de’ governatori del genere umano, alcuni mesi sono fece risoluzione di crudelmente perseguitar que’ servidori, che con la portentosa ambizion loro e con gli artifici affatto diabolici intraprendono l’impresa di dominare il padron loro; di maniera tale, che pochi anni sono contro questi tali pubblicò taglie grossissime e premi molto ricchi da darsi a quei che ai suoi giudici gli avessero palesati. E due settimane sono occorse, che uno di questi ribaldi, essendo stato denunziato al magistrato, poco appresso fu catturato; il quale, da molti chiari indizi trovandosi aggravato, fu posto ne’ tormenti, dove confessò gli artifici tutti sceleratissimi che usati aveva non solo per rendersi schiavo il suo padrone, ma fino per farsi adorar da lui. Apollo, veduto ch’ebbe il processo fabbricato contro quel manigoldo, in estremo rimase confuso che que’ prencipi medesimi, che tanto sono avidi della dominazione, che spesse volte degli stessi figliuoli, nonché degli stranieri, hanno gelosie gravissime, o per propria balordaggine o per la soverchia altrui fraude possano ridursi alla vergognosa infamia di farsi schiavi di un loro vigliacchissimo servidore; e cosa sopramodo portentosa gli parve che [p. 14 modifica] tal figliuolo, tal nipote di prencipe si trovasse, che, per giunger al termine di dominar il padre, di signoreggiar il zio, aveva mostrati spiriti pieni di ambizione, animo in estremo sitibondo di comandare, e che con misteriosissimi artifici aveva saputo giungere al fine de’ suoi desidèri, lo stesso poi potesse far la vergognosa metamorfosi di rinunziar la dominazione, con tanti magisteri acquistata sopra uno superior a lui, ad uno tanto a lui inferiore. Miracolo per certo grande, e del quale l’ingegno umano, come della occulta virtú della calamita, non sa render la vera cagione. Apollo, affinché dal castigo di quel tanto favorito cortigiano i prencipi cavassero util documento che dal commettere indignitá tali gli spaventasse, nella gran sala dell’udienza tre giorni sono fece assembrar i prencipi tutti residenti in questa corte; alla presenza de’ quali per maggior confusion loro con alta e intelligibil voce dal fiscal Bossio fece leggere il processo bruttissimo fabbricato contro quel scelerato: nel quale, allora ch’egli fu domandato quali artifici avea usati per giungere al fine di dominare il suo padrone, aveva riposto ch’il primo giorno ch’egli entrò in corte, con esattissima diligenza tutto si pose ad osservar il genio del prencipe; il quale avendo scoperto grandemente inclinato allelibidini, che con bellissime e molto artificiose maniere di tal maniera si pose a lodargli vizio tanto indegno di colui che in sua cura ha il governo di uno Stato, come se le lascivie fossero state virtudi egregie, e che ogni sua industria usò per divenir ministro di esse: il che avendo conseguito, con ogni possibil diligenza attese a prò vederlo di ogni piú osceno istrumento da sfogar le libidini. Che poi sotto diversi pretesti, come viziosi e aperti nemici del prencipe, alcuni con vergogna, altri sotto spezie di onore, a poco a poco aveva operato che di corte fossero levati tutti quegli onorati servidori del prencipe, ch’egli conosceva ch’averebbono potuto richiamarlo al viver virtuoso, e che in luogo loro aveva sostituiti soggetti suoi confidenti, anch’essi immersi nelle carnalitadi e ne’ vizi di ogni piú brutta lascivia; con l’aiuto de’ quali disse che ogni suo studio aveva posto perché il suo signore affatto rimanesse spogliato di alcune segnalate doti che dalla natura e dalla passata [p. 15 modifica] buona educazione aveva ricevute: che poi sotto colore di infedeli aveva operato che di corte fossero cacciati i vecchi ministri dello Stato, le giuste condoglienze de’ quali della rilassata vita del prencipe gli aveva rappresentate come sediziose maledicenze: e che gl’importanti carichi loro aveva operato che fossero conferiti a gente senza conseglio, senza prudenza, senza caritá verso gl’interessi del suo prencipe, solo avendo in essi ricercata la confidenza e una stretta aderenza alle cose sue proprie; e che con questi tali di modo aveva accerchiato il suo signore, che piú non fu possibile che alla sua notizia da bocca di amico alcuno del pubblico bene fosse potuta giungere quella veritá, che cosí perpetuamente dee star unita al prencipe come l’ombra al corpo. Che poi, affine di assolutamente dominar egli lo Stato, talmente al suo prencipe aveva persuaso l’ozio, che, tutto avendolo immerso nelle delizie de’ giardini, negli spassi della villa, ne’ piaceri delle cacce, a tal termine l’aveva ridotto, che come cose odiosissime aborriva l’udir ragionar de’ negozi e degl’interessi del suo Stato; che di piú l’aveva indotto a credere che la scelerata sedizione di averlo fatto inimicare con lo stesso suo figliuolo e con gli altri prencipi del suo sangue, era zelo di un intenso amore verso lui, caritá grande verso il pubblico bene del suo popolo; e che di modo con gli artifici suoi l’aveva reso stolido e affatto balordo, che la manifesta tirannide d’un suo servidore, da’ piú sciocchi uomini dello Stato conosciuta e aborrita, il misero e sfortunato prencipe chiamava vigilanza di fedel servigio, alleggerimento delle sue fatiche, caritá verso le cose pubbliche, e l’ozio, l’infingardaggine e la negligenza sua, onorato riposo. Che oltre ciò, affinché il prencipe non mai si svegliasse da sonno cosí vergognoso, e aprendo gli occhi non venisse in cognizione della propria sua balordaggine e dell’altrui scelerata ambizione, la casa tutta gli aveva empiuta di adulatori, i quali con le infami persuasioni loro sommo valore gli predicavano la sua inezia, sviscerato amore l’odio universale de’ popoli, lodi esaggerate i pubblici biasimi, ottimo governo la confusione, onorato servigio la tirannide d’uno scelerato, santa giustizia le estorsioni, virtuosa liberalitá la prodigalitá, onorate fatiche e diligente [p. 16 modifica] governo l’ozio e la vigliaccheria di affatto aver abbandonato il governo del suo Stato. Queste sceleratezze, confessate da quell’uomo perfido, talmente spaventarono i prencipi tutti che le udirono,, che ad alta voce gridarono che l’incrudelir contro quell’empio con le forche e con le mannaie era somma pietá; che però fosse pregato Perillo ad inventare un nuovo patibulo che dilaniasse e ammazzasse quel brutto mostro di natura senza farlo morire, tutto affinché mai piú si trovasse uomo che ardisse di commettere sceleratezze tali: e per la bruttezza di quel processo tanto si commossero i prencipi, che unanimemente supblicarono Sua Maestá ad usar rigori straordinari contra quei che da’ fraudolenti artifici de’ servidori loro si lasciano condur in istato tanto vergognoso. E percioché per questa virtuosa instanza, da que’ prencipi fatta ad Apollo, Sua Maestá talmente si compunse d’animo, che fu veduta lagrimare, stimarono gl’idioti che ’l tutto si fosse cagionato dal soverchio contento sentito da Apollo per aver veduto l’orror grande nel quale i prencipi avevano pigliato il vizio che Sua Maestá tanto desiderava che avessero fuggito. Ma i piú sagaci virtuosi che, si trovarono presenti a quell’atto, benissimo conobbero che Apollo pianse l’infelice cecitá de’ prencipi tanto inebriati, che, in altri aborrendo gli eccessi propri, instantemente chiedevano che con straordinaria severitá fossero puniti que’ vizi, ne’ quali senza avvedersene la maggior parte di essi erano immersi fino agli occhi: tanto ne’ prencipi il vergognoso vizio d’idolatrar mignoni è pernizioso, che esattamente scorgendosi e sommamente biasimandosi nel compagno, niente si vede e grandemente si loda in se stesso, solo quei cadendo in cosí vergognoso errore, che piú fanno ostentazione di esser gli Aristarchi del mondo.