Ragguagli di Parnaso (Laterza)/Centuria seconda/Ragguaglio IV

Centuria seconda - Ragguaglio IV

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RAGGUAGLIO IV


In un duello seguito tra un poeta italiano e un virtuoso spagnuolo, trovandosi lo spagnuolo ferito a morte, prima che spirasse fece azione tanto virtuosa, che Apollo col funerale censorio a spese pubbliche comandò che fosse portato alla sepoltura.

Per gelosia della dama grave disparere nacque li giorni passati tra un virtuoso spagnuolo e un poeta italiano, i quali, essendosi sfidati a singolar battaglia, in mezzo il fòro di Bellona vennero alle mani; e la quistione fatta senz’armi da difesa molto fu crudele, percioché, essendo armati solo di corti e pungentissimi terzetti, al primo assalto risolutamente vennero alle prese: e la quistione ebbe questo fine: che lo spagnuolo, trafitto da due mortalissime pugnalate, cadde in terra, e ad un suo caro amico, che subito corse per aiutarlo, disse queste parole: — Hermano, azeme plazer d’enterrarme, sin che ninguno me desnude; — e, questo detto, per la gran copia del sangue che sparse da quelle ferite, mori. L’instanza, che fece questo spagnuolo all’amico di non essere spogliato, essendosi sparsa per Parnaso, tanto maggior curiositá, come accade nelle cose vietate, mosse in ognuno di vederlo ignudo, quanto ella veniva fatta da un uomo di quella sagace nazione, che non solo non parla mai a caso, ma che di bocca non si lascia uscir parola che non abbia piú misteri, e tutti sensati. Onde anco in Apollo nacque curiositá grande di chiarirsi per qual cagione quel letterato nello stesso punto della morte con tanto affetto avesse chieduto di non essere spogliato; di modo che, avendo comandato che fosse nudato, fu trovato ch’egli, che tanto andava Hndo e attillato, che un collare portava di cosí nobil lavoro che piú valeva che il vestito che aveva indosso, era senza la camicia: di che Parnaso tutto fece risa molto grandi. Solo Apollo attonito e grandemente stupefatto rimase per quella novitá, e in infinito esagerò l’atto virtuoso di quel letterato, che anco nella stessa agonia della [p. 12 modifica] morte sopra ogni altra cosa talmente si fosse ricordato della sua riputazione, che avesse chiusi gli occhi col zelo del suo onore; per lo quale eccesso di virtú, che chiarissimo indizio era di animo sopramodo grande, comandò che del danaro pubblico con la pompa censoria li fossero fatte le esequie: il che con tanto concorso de’ letterati di tutte le nazioni fu eseguito, che nemmeno allo spettacolo de’ famosi trionfi romani giammai fu veduto concorrer numero di popolo maggiore. Flavio poi Quintiliano, nell’orazion funebre che ebbe in lode di quel virtuoso, molto esaggerò la felicitá della potente monarchia di Spagna, la grandezza della quale disse che non stava posta nelle fucine di oro e di argento del Perú, della Nuova Spagna, del Rio della Piata e della Castiglia dell’oro, nemmeno ne’ regni ch’ella possedeva senza numero, ma nella sola qualitá della sua onoratissima nazione; poiché chiaramente essendosi veduto che quel virtuoso spagnuolo in quella sua grandissima calamitá prima avea cercato di rimediare che danno alcuno non patisse la sua riputazione, che avesse fatto instanza che li fossero medicate le ferite, avea fatto conoscer ad ognuno, proprissimo della onorata nazion spagnuola esser posporre la cura della vita al zelo della reputazione, e che nelle loro azioni piú premevano gli spagnuoli nella cura di non commettere indignitá, che in vivere. E la sua orazione chiuse Quintiliano con una atroce invettiva contro i filosofi, i quali malamente non ammettono che in uno stesso soggetto si possano ritrovar due contrari, quando oculatamente negli spagnuoli si vede regnar la molta apparenza e l’infinita sostanza, la vanitá e la sodezza ne’ suoi maggiori estremi.