Racconti (Hoffmann)/Il vaso d'oro/Veglia XI

Veglia XI

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E. T. A. Hoffmann - Racconti fantastici (1814)
Traduzione dal tedesco di E. B. (1835)
Veglia XI
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VEGLIA XI

Mal umore del vicerettore — Paulmann per la pazzia che si è impadronita della sua famiglia. — Come il registratore Heerbrand divenisse Consigliere e passeggiasse nel più gran freddo in iscarpe e calze di seta. — Confessione di Veronica. — Sponsali presso alla zuppiera fumante.

Ma ditemi, se non vi dispiace, carissimo Registratore, come mai quel punch maledetto ha potuto andarci così alla testa e farci fare mille stravaganze?” Così parlava il vicerettore Paulmann, quando egli entrò la mattina seguente nella camera ancora seminata di vasi [p. 166 modifica]rotti, in mezzo ai quali la disgraziata perrucca, ridotta ai suoi elementi primitivi, nuotava disciolta in un oceano di punch.

Quando lo studente Anselmo fu uscito, il vicerettore Paulmann e il registratore Heerbrand corsero e barcollarono per tutta la camera urlando come dannati e urtandosi la testa insieme, fino a che Fanny condusse nel suo letto il Vicerettore ubbriaco, e il Registratore oppresso dalla fatica si fu gettato sul sofà che Veronica aveva abbandonato per fuggire nel suo appartamento. Il Registratore colla testa avviluppata nel suo fazzoletto turchino da saccoccia, e con faccia pallida e melanconica, sospirò queste parole: “Ahimè! onoratissimo Vicerettore, non è il punch preparato deliziosamente da madamigella Veronica, no, no, è quel maledetto studente che è la cagione di ogni disgrazia. Non avete voi dunque osservato ch’egli è da molto tempo mente captus? E non sapete voi che la pazzia è un male attaccaticcio? — Un pazzo ne fa cento; perdonate, questo è un vecchio proverbio, e principalmente quando si ha bevuto un bicchierino, si [p. 167 modifica]cade facilmente nella follìa e si eseguisce senza volerlo ogni sorta di fazioni e di esercizi a talento del suo stravagante capo di fila. Ma credereste voi, Vicerettore, che la testa mi gira ancora quando penso al pappagallo grigio?” — “E come? rispose il Vicerettore, tutto ciò è una pazzia! era il piccolo vecchietto Famulus dell’Archivista che aveva un mantello grigio e che cercava dello studente Anselmo.” — “Ciò può essere, riprese il registratore Heerbrand, ma bisogna convenire che sono affatto miserabile di corpo e di spirito; perchè tutta la notte io non ho udito che fischiare e sonar l’organo intorno a me, in una maniera affatto disaggradevole.” — “Era io, rispose il Vicerettore, poichè io russo a tutta gola.” — “Sia pure, io vi consento, continuò il registratore Heerbrand, ma Vicerettore, Vicerettore, — non era senza motivo ch’io aveva cercato jeri di procurarmi qualche momento piacevole, — ma Anselmo mi ha guastato tutto. — Voi non sapete, o Vicerettore., Vicerettore!” Il registratore Heerbrand si alzò vivamente, strappò dalla sua testa il suo fazzoletto turchino, si gettò tra le brac[p. 168 modifica]cia del suo amico, gli strinse caldamente la mano, e gridò un’altra volta con voce lamentevole: “Oh Vicerettore! Vicerettore!” poi prendendoci suo bastone e il suo cappello, fuggì a tutte gambe.

“Quest’Anselmo non metterà più piede in casa mia, disse il vicerettore Paulmann; poichè vedo bene che colla sua pazzia ostinata egli priverà della ragione la miglior gente del mondo; il Registratore comincia già.” — “Fin adesso io me la sono cavata bene ma il diavolo che ha battuto ieri sera alla mia porta, potrebbe bene entrare per forza, e fare con me la sua commedia. — Così dunque, Apage Satanas! — fuori di qua quell’Anselmo!”

Veronica era diventata seria, non parlava mai, sorrideva qualche volta in un modo singolare, e preferiva a tutto la solitudine. “Eccone un’altra stregata da Anselmo,” disse il Vicerettore maliziosamente, “ma son contento che non si lascia vedere; io so ch’egli ha paura di me, il signor Anselmo, ecco perchè egli non viene più.” — Il Vicerettore disse queste parole ad alta voce davanti a Veronica; abbondanti lagrime [p. 169 modifica]scorsero dagli occhi della povera fanciulla che disse sospirando: Ahimè! Come mai Anselmo potrebbe venire? Egli è rinserrato da molto tempo nell’ampolla di vetro!” — “Chi? Come?” — gridò il vicerettore Paulmann. “Ah! mio Dio — mio Dio! essa oramai delira come il Registratore: presto, essa pure sarà compiutamente pazza. — Ah! maledetto, abbominevole Anselmo!”

Egli corse subito a trovare il dottore Eckstein che sorrise, e disse: “Eh! eh!” — ma egli non ordinò niente, e al poco che avea detto aggiunse partendo: “Spasimi, — affezione nervosa; — passerà da sè, — Condurla all’aria aperta, — passeggiare in vettura, — distrarla, — spettacolo, — Il Visionario, — Le Sorelle di Praga,1 — passerà da sè!” — “Il dottore è stato raramente così chiacchierone,” pensò il vicerettore Paulmann, “è una vera intemperanza di lingua.”

Dei giorni, delle settimane, dei mesi erano scorsi: Anselmo era scomparso, ed anche il registratore Heerbrand non [p. 170 modifica]si faceva vedere. Infine il 4 Febbrajo, egli entrò con un vestito del panno più fino e tagliato all’ultima moda, in iscarpe e calze di seta a malgrado del rigore della stagione, e con un gran mazzo di fiori naturali in mano; egli entrò, come ho detto, a mezzo giorno preciso nel gabinetto del vicerettore Paulmann, che fu molto sorpreso al vedere il suo amico in tanta gala. Il registratore Heerbrand si avanzò con un’aria solenne verso il Vicerettore, l’abbracciò da uomo che sa il fatto suo e gli disse: Oggi, giorno della festa della vostra cara ed onorata figlia madamigella Veronica, io vi confesserò francamente ciò che da lungo tempo mi pesava sul cuore! Una certa sera, di fatale memoria, ch’io aveva portato nella mia saccoccia tutti gl’ingredienti necessari per preparare quel maledetto punch che ha cagionato tanto male, aveva l’intenzione di comunicarvi una fausta notizia e di celebrare con voi quel giorno di felicità; mi era stato detto in quel momento ch’io era nominato consigliere aulico, oggi io ho in saccoccia il mio brevetto, cum nomine et sigillo principis. “— Ah! Ah! signor registrat... signor [p. 171 modifica]consigliere Heerbrand, voleva dire,” balbettò il Vicerettore. — “Ma voi, onoratissimo Vicerettore,” riprese il nostro amico Heerbrand, adesso consigliere, “voi solo potete colmare la mia felicità: da molto tempo io amava in silenzio madamigella Veronica, e posso vantarmi d’aver ottenuto da essa molti sguardi d’amicizia che mi hanno provato chiaramente che ella non mi è affatto sfavorevole. In una parola, rispettabile Vicerettore, io, il consiglier aulico Heerbrand, vi prego di concedermi la mano della vostra amabile figlia Veronica, che mi propongo di sposare al più presto, se voi lo permettete.”

Il vicerettore Paulmann, al colmo dello stupore, alzò le sue braccia sopra alla testa e gridò. “Ah! — ah! — ah! — signor registr.... signor consigliere, io voleva dire, chi lo avrebbe mai pensato! — Ebbene! se Veronica vi ama davvero, per parte mia non vi faccio nessuna difficoltà; forse anche la sua attuale melanconìa non proviene che dal secreto amore ch’ella nutre per voi; ora si conoscono, grazie a Dio, tutte le sue mascherate.” [p. 172 modifica]

In quel momento Veronica entrò pallida ed in disordine, come lo era da qualche tempo. Il consigliere Heerbrand andò ad incontrarla, ed in un galantissimo discorso disse qualche parola del giorno della sua festa, e le presentò oltre all’odorifero mazzo di fiori un pacchettino, essa lo aperse ed un pajo di brillanti orecchini si offrì ai suoi occhi; un pronto e passeggiero rossore colorò le sue guancie, i suoi occhi gettarono un lume più vivo, ed essa gridò: “Ah! mio Dio! Ecco gli stessi orecchini, ch’io portava, qualche settimana fa, e che mi cagionarono un sì gran piacere!” — “Come potrebb’essere” disse con istupore il consigliere Heerbrand la cui suscettibilità si trovava leggermente ferita “come potrebbe essere? è un ora al più, che li ho comperati nella strada del Castello, per un poco di spregevole danaro.” — Ma Veronica non l’ascoltava più, essa era già davanti allo specchio ad osservare l’effetto prodotto dai giojelli ch’essa avea subito messi nelle sue amabili orecchie.

11 vicerettore Paulmann, assumendo un tuono grave e serio, le raccontò l’a[p. 173 modifica]vanzamento del suo amico Heerbrand, e la domanda ch’egli faceva della sua mano. Veronica fissò sul consigliere uno sguardo penetrante, e disse: “Io sapeva, da molto tempo che voi volevate sposarmi — Sia pure! io vi acconsento. — Io vi prometto il mio cuore e la mia mano; ma devo,, dichiararvi subito — a tutti due, voi padre mio, e voi mio fidanzato, una cosa che mi tormenta e mi opprime da molto tempo, — ma subito, dovesse pure raffreddarsi la zuppa che Fanny porta in tavola in questo momento.”

Senza aspettare la risposta del Vicerettore e del Consigliere, senza considerare che essi stavano visibilmente per parlare, Veronica continuò: Voi potete credermi, mio eccellente padre, ch’io amai Anselmo con tutto il mio cuore; e quando il registratore Heerbrand, dappoi diventato esso pure consigliere, assicurava che Anselmo potrebbe col tempo diventare qualche cosa di simile, io risolvetti di non aver altro sposo che lui; ma allora delle potenze nemiche vollero strapparmelo, ed io ricorsi alla vecchia Lisa, che fu altre [p. 174 modifica]volte la mia aja, e che ora è una donna saggia, e di più, una gran maga.

Ella promise di ajutarmi, e di dare Anselmo tra le mie mani. Noi andammo nella notte dell’equinozio, a dodici ore sopra, un crocicchio; essa evocò gli Spiriti infernali, e, coll’ajuto d’un gatto nero, noi fabbricammo un piccolo specchio di metallo, ed io non aveva che da guardarvi dentro e pensare ad Anselmo per governarlo intieramente a mia volontà. — Ma io mi pento sinceramente di aver fatte tutte queste cose, io rinuncio a tutti gli artifici di Satanasso. Il salamandro ha vinta la vecchia, ho udito le sue grida angosciose, ma non vi era nessun mezzo di soccorrerla; nel momento in cui, sotto la forma d’una barbabietola, essa fu divorata dal pappagallo, il mio specchietto di metallo si spezzò con un rumore acuto.” Veronica cavò dalla sua scatola i due frammenti dello specchio spezzato ed un riccio di capelli, e presentando questi due oggetti al consigliere Heerbrand, essa continuò: “Prendete, caro Consigliere, i pezzi dello specchio, e questa sera a mezzanotte gettateli dalla cima del ponte [p. 175 modifica]dell’Elba dal luogo stesso ove è piantata la croce nel fiume; è il solo luogo che non sia coperto di ghiaccio; ma conservate il riccio, e portatelo fedelmente sul vostro cuore. Io rinuncio un’altra volta a tutti gli artifici di Satanasso, e quanto ad Anselmo io gli desidero volontieri tutte le felicità, poichè egli è maritato adesso colla colubra verde, che è molto più bella e più ricca di me. In quanto a voi, mio caro Consigliere, io vi amerò e vi onorerò, come lo deve una donna dabbene” — “Dio dei cielo!” gridò il vicerettore Paulmann oppresso dal dolore, “ella è pazza; ella è pazza! — essa non potrà più essere la signora consigliera, — ella è pazza, ella è pazza!” — “Permettete,” disse interrompendolo il consigliere Heerbrand “io so bene che madamigella Veronica nutriva nel cuor suo qualche inclinazione per quel cervello guasto di Anselmo, e può essere che in un momento di riscaldo essa si sia indirizzata a quella saggia donna, che non è altro in fondo, lo vedo bene, che la cavatrice di carte e la venditrice di caffè della porta d’Elba, — in una parola, la vecchia Rauer. Non si può ne[p. 176 modifica]gare che non vi siano infatti delle scienze occulte che esercitano troppo. spesso la loro influenza nemica sugli uomini; già gli autori antichi ne parlano; ma ciò che madamigella Veronica ha detto non può essere che un’allegoria, un poema, nel quale essa, ha cantato i suoi addii allo studente. “— Prendetelo per quello che volete, caro Consigliere! per esempio, per un sogno molto ridicolo,” aggiunse Veronica. — “Niente affatto,” riprese il consigliere Heerbrand, “poichè io so che Anselmo è ora in potere di potenze misteriose, che lo spingono ad ogni sorta di stravaganze e si burlano di lui.”

Il vicerettore Paulmann non potè ritenersi di più; egli gridò: Fermatevi, in nome del cielo, fermatevi! abbiamo noi forse bevuto ancora un po’ troppo di punch o la pazzia d’Anselmo agisce sopra di noi? Signor, Consigliere, signor Consigliere, delirate? — io voglio credere, per adesso, che sia l’amore che turba il cervello d’ambidue, ma il matrimonio vi rimedierà presto, senza questo io temerei di vedervi colpito da pazzia, degnissimo e stimabilissimo Consigliere, [p. 177 modifica]e temerci anche molto che la vostra posterità non ereditasse il male dei suoi parenti. — Andiamo, io vi do la mia benedizione paterna, e vi permetto di abbracciarvi come futuri coniugi. “Ciò fu fatto, e avanti che la zuppa si fosse raffreddata, l’unione progettata era conclusa.

Poche settimane dopo, madama la consigliera Heerbrand era seduta in fatti, come avea sognato altrevolte, nella torricella d’una bella casa sul mercato nuovo, e guardava sorridendo i galanti che passavano per la strada, e che dirigendo i loro occhialetti verso la sua finestra dicevano: “Bisogna confessarlo, madama la consigliera Heerbrand è una donna amabile.


Note

  1. Antiche Opere tedesche.