Quel che vidi e quel che intesi/Capitolo XXIX

Capitolo XXIX

Il «Savonarola» di Bastianini

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XXIX.

IL «SAVONAROLA» DI BASTIANINI.


Qualche mese dopo il mio ritorno a Firenze dal viaggio a Parigi ed a Londra, una mattina alle sei, inatteso, Cristiano Banti, pittore del gruppo del Caffè Michelangelo di cui ho detto di sopra, batteva alla mia porta. E non appena alla mia presenza, tutto eccitato, mi diceva:

— Vieni subito con me a vedere un’opera d’arte straordinaria. È un busto del Savonarola, una magnifica terracotta del più puro Quattrocento che si trova nelle mani di un carbonaro. Vieni, bisogna assolutamente impedire che una cosa tanto bella sia portata via da Firenze. C’è un inglese che sta a Fiesole, un certo Spence, il quale va dietro a questo busto. Se non facciamo presto lo comprerà e se lo porterà al suo paese...

Cristiano Banti era assai buono quanto appassionato conoscitore di cose d’arte; perciò subito, senza esitare andai con — lui. Ed, in una umile bottega di carbonaro in Borgo Ognissanti, trovammo questo busto in terracotta colorata.

[p. 150 modifica]Subito alla prima mi sembrò trattarsi di un’opera di qualcuno dei grandi artisti fiorentini derivati da Donatello. Ciò che era a noi confermato da un minuto ed attento esame che ne facemmo. E sul tamburo, Banti ed io, per sottrarre un’opera di tanta importanza all’accaparramento straniero ed impedirne l’esodo dall’Italia, decidemmo di comprarla noi e l’ottenemmo per diecimila lire che pagammo metà per ciascuno.

Portato il busto allo studio di Banti, destò l’ammirazione di quanti artisti e conoscitori d’arte accorsero a vederlo. Giovanni Duprè, che era allora considerato come il maggiore degli scultori italiani, ne fu entusiasta; lo giudicò un capolavoro del quindicesimo secolo che poteva essere opera giovanile di Michelangelo, od anche e più probabilmente, di Luca Della Robbia, che quello stesso in tal genere d’arte sorpassava. E chiese di condurre la figlia, distinta scultrice essa pure, ad ammirare questa stupenda opera d’arte. Federigo Leighton, tornato in quei giorni per una breve dimora in Firenze, di questa ammiratissimo, non ristava di parlarne a tutti gli artisti ed amici con entusiasmo e li invogliava ad andare a vederla.

Il ritrovamento di una scultura di tanto valore fece chiasso nella città. Si sa poi come sia stata sempre — come ai tempi di Cimabue — simpaticissima caratteristica dei Fiorentini, anche dei più umili popolani, di appassionarsi alle cose dell’Arte. E questo si vide bene, alcuni anni or sono, allorquando si trattò di decidere se il coronamento della facciata di Santa Maria del Fiore avesse ad essere tricuspidale o basilicale; quistione artistica che appassionò vivamente tutto intero il popolo fiorentino, che si divise, come al tempo dei Bianchi e dei Neri, in due campi l’uno all’altro accanitamente avversi. Così tutti vollero vedere questo busto del Savonarola; ed allo studio di Banti era un continuo andirivieni di cittadini di ogni classe; ciò che avea finito per dar molto disturbo e fastidio all’amico mio. E, non accennando a cessare la quotidiana processione, si finì per decidere di esporre il busto al pubblico. Ciò che venne fatto in una sala di Palazzo Riccardi, facendo pagare [p. 151 modifica]una modica tassa di entrata, la quale fruttò una discreta sommetta che noi destinammo a beneficenza.

L’affluenza di pubblico a tale esposizione fu molta. Tra i visitatori vi fu la Granduchessa Maria di Russia che tornò più volte ad ammirarla; ed andava dicendo che era cosa tanto bella che meritava si costruisse un tempietto per collocarvela. La quale idea non era nuova; perchè un gran signore inglese avea pochi anni prima innalzato in un suo parco, appunto, un tempietto per custodirvi una delle pochissime pitture che si abbiano di Andrea del Verrocchio.

La Granduchessa Maria avrebbe voluto comprare l’insigne opera d’arte; ed altri ancora, stranieri ed italiani, ne offrivano egregie somme. Ma noi non l’avevamo comprata per farne commercio, sibbene al fine di assicurarla per sempre all’Italia, cedendola al Governo od al Municipio. A quest’effetto ne scrivemmo alla Direzione delle Gallerie, e della cosa si interessarono influenti personalità, tra le quali Pasquale Villari. Noi non intendevamo affatto di fare un guadagno ed il busto offrimmo di cedere per la stessa somma di lire diecimila che noi avevamo sborsata. Ma ci venne detto che bisognava andar molto cauti nel ritenere autentiche le terracotte del Rinascimento; chè di queste ne erano circolate eccellenti falsificazioni. Infatti cominciò a correr voce che il nostro Savonarola fosse opera dello stesso ignoto artista il quale avea fatto il busto del Benivieni; che, acquistato dalla Galleria del Louvre per autentico, era stato riconosciuto essere, invece, una abilissima falsificazione. Io sentivo tutto questo, ma non vi davo troppa attenzione. L’arte mia e, più tardi, una ripresa della mia attività politica mi assorbivano tutto. La terracotta del Savonarola che, anche non antica, era sempre cosa di valore, rimase sempre comproprietà di Banti e mia.


Molto più tardi, nel 1867 al mio ritorno a Firenze dopo Mentana, mentre nel pubblico era cessato ogni interesse per questo busto, casualmente venni a conoscere il nome di colui [p. 152 modifica]che mi veniva segnalato come modellatore dell’opera che avea suscitato così grande ammirazione. Avea nome Bastianini ed era di Fiesole. Volli rintracciarlo e vi riuscii. Lo interrogai eccitandolo ad essermi sincero. Egli mi rispose:

— Sì, il busto del Savonarola l’ho fatto io; son molto dispiacente se ne ha avuto danno.

— Son dispiacente io per lei, — io replicai, — che, avendo tanto talento e capacità l’adopra a compier delle falsificazioni.

Bastianini, allora, con tristezza mi disse:

— Viviamo in epoca assai ingrata; i tempi son duri per chi ha da vivere del proprio lavoro....

E, quindi, egli non mi tacque alcuna circostanza relativa al busto di cui ero da anni comproprietario.

Mi disse che, di modello per questo, egli s’era servito di un tal ciabattino, che stava per portinaio alla Fabbrica dei Tabacchi; e che il busto era stato cotto in un forno della Fabbrica di Ceramica del Cantagalli. E mi mise al giorno di altre circostanze che lo aveano condotto a diventar falsificatore di arte antica.


Venuto in chiaro, così, in modo indubbio, circa l’autenticità di questo ormai famoso busto, volli che tutto fosse noto al pubblico che se ne era interessato. Perciò dichiarai su i giornali che quella che era stata creduta opera pregiata del 400 si era conosciuto essere, invece, lavoro di Bastianini di Fiesole.

Il quale era un eccellente artista costretto a lavorare ignoto da uno dei trafficanti di arte antica di Firenze che ne sfruttava la capacità; e facevo sapere, anche, di conoscere personalmente l’autore del Savonarola e di altri consimili lavori. Questo non fu gradito ai trafficanti; e molta sospettosa sfiducia generò nel commercio degli antiquari.

Il busto venne, in seguito, depositato da Banti e da me nel Museo di San Marco, a Firenze, come opera del Bastianini. E quivi rimase fino al 1883. Nel qual anno il Direttore ed il Comitato dei Musei Fiorentini ci fecero sapere che non era nelle [p. I 35 modifica]George Howard, Conte di Carlisle. [p. I 36 modifica]Rosalind Stanley Howard, Contessa di Carlisle [p. 153 modifica]loro intenzioni di comprarlo. Ed allora decidemmo di riprendercelo. In tale occasione io, da Siena ove mi trovavo a lavorare, scrissi a Banti su la faccenda una lettera piuttosto forte nel biasimare il dispregio nel quale era, dai funzionari governativi delle Belle Arti, tenuta un’opera di così straordinario valore artistico, solo perchè era di un artista vivente. Questa lettera Banti comunicò al Direttore dei Musei Comm. Donati; e questi credette di dirigermi una lettera con la quale pregava che mutassimo la nostra decisione e lasciassimo la bella opera d’arte nel Museo di San Marco. A questa lettera io replicai con altra mia con la quale, in forma cortese ma cruda, ricordavo tutto il gran valore artistico dell’opera del Bastianini, il giudizio che ne aveva dato Giovanni Duprè, il riconoscimento che della eccellenza di questa avea fatto il fine gusto di un popolo artista quale il fiorentino. E protestavo che coloro che, nel nostro paese, sopraintendevano alle cose dell’Arte non si sentissero in dovere di riconoscere e di incoraggiare un nobile e fine artista quale il Bastianini che per vivere avea dovuto avvilirsi fino a lavorare anonimo, lasciandosi sfruttare da disonesti trafficatori. Mentre alle stesse autorità non difettava la volontà nè i mezzi per sovvenire quanti pretesi innovatori dell’Arte che, sotto nome di naturalisti, impressionisti, realisti, ecc. funestavano con i loro orrori l’Arte in Italia.


La sorte di questo Bastianini, ed in Italia non era il solo artista di valore che si lasciava languire, veramente mi stava a cuore. Bastianini era un artista straordinario; il quale accoppiava un intenso amor del vero con un finissimo studio dell’arte antica, ciò che lo metteva in grado di produrre opere sue originali da uguagliar i capolavori degli antichi maestri.

Bastianini aveva davvero un temperamento artistico di primo ordine e assai singolare. Perchè era uomo nato fuor del tempo suo; ed era cresciuto fuori dell’atmosfera necessaria a compiere opera di sentimento moderno. Egli usciva dal più umile strato del popolo; sua madre vendeva castagne per la [p. 154 modifica]strada. Del popolo toscano egli avea la naturale vivezza d’ingegno e l’innato senso d’arte. Però il suo spirito artistico era quello di un uomo del Quattrocento; egli vedeva e sentiva la forma e il colore con gli occhi e con l’animo di un artista di quest’epoca. Eppur egli non era nè un copiatore nè un imitatore come tanti altri; bensì produceva opere sue originali ma vedute, concepite e sentite attraverso il quindicesimo secolo. Io conoscevo un inglese, il quale avea una testa quattrocentesca ed assai ci teneva. Per aiutar Bastianini — come cercai sempre di fare finchè egli visse — ottenni che si facesse fare un busto da questo. Ed egli accondiscese; ma lo fece fare essendo pettinato e vestito all’ultima moda. Bastianini incominciò questo lavoro, ma gli riuscì assai deficiente.

I miei rapporti col povero Bastianini non durarono per molto tempo, dopo che lo avevo scoperto. Morì nel suo studio, fra le sue opere, di una brevissima malattia di due o tre giorni.


Il busto di Savonarola tornò dal Museo di San Marco allo studio di Cristiano Banti, dove era rimasto tanti anni e molti anni ancora vi rimase proprietà nostra comune. Finchè ci decidemmo ad accettare le rinnovate offerte del Museo di South Kensington di Londra, al quale lo cedemmo per le diecimila lire che c’era costato. E, beninteso, in quel museo figura e vi è ammirato quale opera del povero Bastianini.


Molti anni più tardi conobbi un perugino, che, pure, viveva, sfruttato dai soliti disonesti trafficatori di falsificazioni dell’antico, che questi retribuivano anche assai scarsamente. Egli non era certo all’altezza di Bastianini, ed i suoi lavori erano di arte decorativa e mobili del Quattrocento. Anche questo distinto artista, procurandogli buone commissioni da amici inglesi, io ebbi la fortuna di riuscire a strappare ai suoi vampiri; ed a farlo lavorare sotto il suo nome, ritraendone onore e larga rimunerazione.