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una modica tassa di entrata, la quale fruttò una discreta sommetta che noi destinammo a beneficenza.

L’affluenza di pubblico a tale esposizione fu molta. Tra i visitatori vi fu la Granduchessa Maria di Russia che tornò più volte ad ammirarla; ed andava dicendo che era cosa tanto bella che meritava si costruisse un tempietto per collocarvela. La quale idea non era nuova; perchè un gran signore inglese avea pochi anni prima innalzato in un suo parco, appunto, un tempietto per custodirvi una delle pochissime pitture che si abbiano di Andrea del Verrocchio.

La Granduchessa Maria avrebbe voluto comprare l’insigne opera d’arte; ed altri ancora, stranieri ed italiani, ne offrivano egregie somme. Ma noi non l’avevamo comprata per farne commercio, sibbene al fine di assicurarla per sempre all’Italia, cedendola al Governo od al Municipio. A quest’effetto ne scrivemmo alla Direzione delle Gallerie, e della cosa si interessarono influenti personalità, tra le quali Pasquale Villari. Noi non intendevamo affatto di fare un guadagno ed il busto offrimmo di cedere per la stessa somma di lire diecimila che noi avevamo sborsata. Ma ci venne detto che bisognava andar molto cauti nel ritenere autentiche le terracotte del Rinascimento; chè di queste ne erano circolate eccellenti falsificazioni. Infatti cominciò a correr voce che il nostro Savonarola fosse opera dello stesso ignoto artista il quale avea fatto il busto del Benivieni; che, acquistato dalla Galleria del Louvre per autentico, era stato riconosciuto essere, invece, una abilissima falsificazione. Io sentivo tutto questo, ma non vi davo troppa attenzione. L’arte mia e, più tardi, una ripresa della mia attività politica mi assorbivano tutto. La terracotta del Savonarola che, anche non antica, era sempre cosa di valore, rimase sempre comproprietà di Banti e mia.


Molto più tardi, nel 1867 al mio ritorno a Firenze dopo Mentana, mentre nel pubblico era cessato ogni interesse per questo busto, casualmente venni a conoscere il nome di colui