Quel che vidi e quel che intesi/Appendici
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APPENDICI.
I.
NINO COSTA A FIRENZE TRA GLI ARTISTI.
LETTERA DI GIOVANNI FATTORI.
- Carissimo Guerrazzi,
Grazie dell’onore che mi fa di chiamarmi Maestro e grazie dell’affezione e dell’amicizia che mi conserva.
La perdita del povero amico mio Nino mi è stata dolorosa, e a quella si sono unite tante care memorie che non tornano più; bisogna rassegnarsi, è un triste tramonto e di quella legione non restiamo qui a Firenze che due: io e Borrani; e bisogna dirlo francamente il nuovo movimento di arte qui in Toscana fu portato da noi e capitanato dal povero Nino.... Tempi belli di entusiasmo e di allegra miseria.
Ho cercato nella mia memoria tutto quello che potevo frugare e l’ho scritto e Lei lo consegnerà alla Sig.a Rossetti Agresti la quale ringrazierà per l’onore che mi ha fatto di avere pensato a me.
Le ritorno i saluti miei e della mia signora alla sua signora e signora Tonina e figlia e le dica che io e mia moglie le conserviamo, come pure a Lei ed alla sua gentile signora.
Suo sempre amico aff.mo
Giov. Fattori.DALLO STUDIO BIOGRAFICO: «GIOVANNI FATTORI»
DI ANNA FRANCHI (Firenze, F.lli Alinari, 1910).
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Nel ’59 già Egli [Giovanni Fattori] erasi staccato dall’Accademia ed aveva rinnegato i quadri fatti fino allora: le Marie Stuarde e i Trovatori; e forse quella voglia insoddisfatta di battersi, di dare qualche goccia di sangue per la patria lo entusiasmò pei soggetti militari e vi si dedicò con quella foga di artista giovane che non lo ha mai abbandonato. Il governo della Toscana, con Ricasoli, aveva bandito un concorso per illustrare vari fatti d’arme, alcuni episodii delle guerre italiane.
Il Fattori aveva avuto occasione di studiare le truppe francesi di passaggio da Firenze e accampate sui pratoni delle Cascine, ed ebbe voglia di concorrere con una Battaglia di Magenta.
Ma il dubbio era in lui. Quel passaggio da una visione d’arte ad un’altra, la guerra che gli facevano, l’incertezza della riuscita e i sagrifici e i debiti necessari per poter mettere su la tela l’idea, lo tormentavano.
— Non sapevo più a che santo votarmi; mi pareva d’essere un rinnegato! —
Fu allora che conobbe Giovanni Costa, capitato al caffè, e fu lui che lo incoraggiò e che gli aprì gli occhi ad una decisa visione d’arte. Fu il suo unico e vero maestro. — T’imbroiano, Fattori! — gli diceva quando Egli accampava qualche critica udita o qualche consiglio datogli; e riuscendo a dargli una coscienza esatta del proprio valore lo mise sulla retta via, in fondo alla quale può essere la miseria ma certo è la verità e la gloria. E la miseria è rimasta, ma la gloria è venuta.
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II.
MISSIONE POLITICA DI NINO COSTA IN ROMA NEL 1864.
Lettere di Giuseppe Checchetelli.
Torino, 14 giugno 1864.
- Carissimi amici.
E ben dico carissimi perchè mi vi rende il sagrificio che voi fate alla Patria della tranquillità vostra. Ho ricevuto pochissime righe da Mario nelle quali non v’ha che un rimprovero, del non aver noi risposto pur con una lettera alle vostre moltissime. Quanto a me giova che s’intendiamo bene: io non ho ricevuta altra lettera vostra da quella indicatavi di sopra; nè quella, per verità mi dava molto argomento a rispondere. Ho, egli è vero, ricevuto una lettera di Fl., ed un’altra ne ricevo ora in cui pur esso l’assoluta mancanza delle nostre lettere. Anche a Fl. rispondo oggi. Quanto a voi ora non mi terrete più il broncio perchè non abbia risposto a lettere che non ho ricevuto. E non le ho ricevute perchè non essendo io in Torino, Mario non potè comunicarmele. Del resto so che Mario vi ha già scritto spiegandovi il nostro silenzio. Quind’innanzi, quanto a me, mi atterrò al consiglio di Fl. scrivendovi ora per una via ed ora per un’altra.
Comincio col rallegrarmi per la bella riuscita della festa nazionale; e tanto più me ne rallegro che, secondo scrive Fl., niuno dei nostri sia caduto nelle unghie del Collemassi. Intendo dei nostri che fecero parte attiva di quella. Ciò produce due effetti che convengono al fine di aggiungere forza al centro direttivo: incoraggia gli operanti infondendo in loro la sicurezza di scampare al pericolo anche nel momento che agiscono e sdegna più che mai contro la Polizia Papale coloro che furono maltrattati per un fatto di cui non erano responsabili. Egli è questo il mettervi più che mai in credito al di fuori, facendo tacere quegli speculatori di politica che per timore di essere dimenticati hanno paura di non dimostrarsi mai liberali abbastanza, e gridano e ciarlano, e non tenendo conto della situazione vi accusano di non far nulla. Lessi con piacere il vostro manifesto degnissimo dell’argomento e di voi. Se non vi spiaccia io colgo questa occasione per consigliarvi che in ogni vostro atto appaia ben chiaro il concetto che noi non ne vogliamo ai Francesi perchè proteggono il Pontefice, ma perchè ci impongono un principe che è la negazione della civiltà, perchè violano il nostro diritto di provvedere a governarci secondo i nostri bisogni ed i nostri interessi.
Il Ministro Billault nella seduta del 12 marzo ’62 pronunciava, rispondendo a Favre, queste parole negando all’Italia il diritto di reclamare Roma dalla Francia: — «Le seul droit qui, envers nous, pourrait être invoqué ce serait le droit des populations romaines.... Le principe de la souveraineté du peuple est la base de notre droit public; ce droit personnel, si je puis m’exprimer ainsi, ne saurait appartenir à d’autres qu’aux populations elles-mèmes. Quant au droit des Romains je reconnais qu’il est suspendu et que nous méconnaissons chez eux le principe qui nous régit en France; mais il est [sic] malheureusement des circonstances exceptionnelles ou des intérêts d’un ordre supérieur commandent ces sacrifices momentanés de la liberté populaire; je sais bien que les théories s’y refusent.... mais cette liberté des populations la France ne l’oublie pas» etc. etc.
Non vi pare che giovi fondarsi su questa confessione del ministro francese e talora ricordarla loro? E siccome le circostanze di ordine superiore citate da lui nel caso concreto sono l’interesse che ha la Francia di tutelare l’indipendenza del Pontefice, ossia questo è il pretesto col quale cerca sempre di giustificare l’occupazione di Roma, così giova pure ripeterle a sazietà che niuno attenta all’indipendenza del Pontefice quando dichiara decaduto il principe: quando il diritto del popolo sia rispettato, questo pel rispetto stesso dei suoi diritti trova la ragione e il dovere di rispettare gli altrui, specialmente quelli del capo della religione ch’esso professa.
Non vi preoccupi gran fatta il triumvirato. La forza di questo si riduce ad una unità colla quale ho parlato a lungo ed è venuto nelle idee nostre, poichè l’ho indotto a confessare che la coscienza delle loro forze era fittizia. Siamo d’accordo con Fl. II e gli altri amici che, appressandosi momenti solenni, ci giovi sia pienamente chiaro che noi siamo tutt’altro che esclusivi, che anzi noi stessi promoviamo e chiediamo il concorso di tutti gli onesti. Con questo sistema si riducono al silenzio i ciarloni, coloro che cercano di nascondere la loro infingardaggine o la propria paura coll’accusare di esser stati accusati o respinti.
Verrà in Roma Nino Costa fratello di Paolo, se già non vi è. Egli è nostro antico, di sanissimi principii, di carattere energico e per sè e per le relazioni di famiglia utilissimo. Voleva andare a Parigi, io l’ho indotto a recarsi a Roma dove vi ha d’uopo di cuori senza macchia e senza paura. Io vi prego ad accoglierlo nel vostro seno o per dir meglio a far di tutto perchè vi aiuti a portare il peso che portate. Non si ricuserà, ne sono certo. Se può un mio consiglio cercatelo subito, fategli francamente la proposta ed egli accetterà, non solo ma potrà suggerirvi anche altri coi quali rafforzarvi. S’avvicinano tempi in cui a voi è serbata la gloria di piantare la vera pietra angolare della liberazione di Roma. Non già con moti avventati ma con atti serii e destri. Quindi mi par necessario che voi chiamate nella responsabilità delle cose quanti più onesti possiate; onesti non basta, ma capaci di aiutarvi nell’azione e quegli è tale.
Col 426 si è concertato tutto il da fare; non è al di sopra delle nostre forze. Non ve lo scrivo oggi perchè devesi cifrar tutto e domani FI. II farà questo lavoro. Saprete anche ciò che 426 farà di palese in coincidenza dell’azione vostra e credo vi soddisfarà. — Quanto alla domanda da voi fatta a Mario voi vedrete da una domanda che io sono autorizzato a farvi, e vi farò nella stessa che vi recherà il concertato con 426, che si era già pensato a quella partita importante riguardo a quella circostanza. Quanto poi ad altre necessità bisognerebbe pur sapere se cosa voi pensiate di fare ossia se qual è il vostro programma preciso di azione donde possano scaturire quelle necessità; poichè per avventura potrebbe accadere che le cose da cui quelle necessità potessero sorgere non fossero utili quanto alla questione generale e forse neppure alla particolare, la quale oggi non si può scinder da quella. La quistione romana è complicata con l’italiana, nè ciò che non riuscissse opportuno per questa sarebbe utile per l’altra. Io spero che voi comprenderete la ragione di queste riflessioni.
Non mi meraviglia punto la durezza francese. La Francia è rientrata oggi nelle trattative con l’Italia; è questa una ragione perchè i suoi agenti a Roma non abbiano istruzioni da far trapelar dai Preti e che volgano quelle trattative prima del momento opportuno. In tal caso l’azione più o meno dura dal modo di giudicare dei suoi agenti, dalle loro convinzioni politiche. Voi sapete quali sono quelle del sig. di Sartiges.
Chiudo per oggi pregandovi di due cose, anzi di tre.
La prima è di informarvi se e in qual prigione si trovi costì certo Zani o Zanzi lombardo, arrestato qualche mese indietro: è un archeologo ed un antico italiano: si recò in Roma per istudiare, dicesi, nelle antichità. Si fan vive premure per conoscere il motivo del suo arresto e lo stato di sua salute. Se vi fosse possibile di fargli giungere qualche esibizione amichevole ed ottenere una risposta ciò varrebbe ad aumentare il vostro credito presso alcuni vecchi liberali di Lombardia.
La seconda di eccitarvi ad estendere le vostre relazioni nella classe alta della società. 400 174762 299689 è costì, vedetelo e abbiatelo con voi: è gentile e buono e utile per le notizie dell’ammiraglio e per far parlare se occorre al generale francese. Se non avete altri mezzi dove nol conosciate, valetevi di Monsignore. Urge altresì siate in rapporti diretti con lo scultore. Se vi occorrono lettere per tutti e tre scrivetemene. Aggiungo a questo il benemerito gobbo. I tempi che sì approssimano, l’azione che vi è riserbata vi fanno una vera necessità di queste relazioni. Un partito tanto più si fa valere al di fuori, quanto più tien le mani in tutte le classi della società.
La terza finalmente è questa. V’ha bisogno, assoluto bisogno di avere quando a quando una esposizione, più chiara e precisa che si possa, della situazione politica ed economica di Roma. Cosa si fa dai Cardinali nella previsione del Conclave. Si manifestano scissure o sono essi concordi? Cosa si pensa in Corte? Quale è la situazione delle truppe papali? Quali potrebbero guadagnarsi di esse? Ve ne hanno di guadagnate? II bollettino di Eva è troppo secco; non basta a dare un’idea un po’ distinta della situazione del paese e le corrispondenze de’ giornali, se togliete quelle de «La Nazione», che resta in Toscana, non trattano in genere che di fatti di Polizia.
Voi non mi darete del presuntuoso perchè vi dò questi consigli, nè d’importuno se vi fo queste preghiere. Vi son mosso dall’affetto che porto al paese ed a chi lo rappresenta, non che dal sapere cosa i Veneti fanno e dalla necessità che qui si sente di essere istruiti delle nostre cose. Amate
il vostro Flavio I°
Torino, 16 giugno ’64.
- Mio caro amico,
Grazie della tua graziosa lettera. Scrivo oggi stesso ai comuni amici e prego a far sì che prendano in buona parte quanto loro suggerisco, specialmente riguardo a Nino Costa. Io sono lietissimo che tu continui dietro le scene il tuo lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
(Le surriferite lettere, assieme ad altre nove dello stesso Giuseppe Checchetelli, di cui quattro da Livorno mentre le altre sette sono datate da Torino, si trovano alla Biblioteca Centrale del Risorgimento in Roma, Incarto R. 4. 1. I nomi sono in cifra, ma taluno, come quel di Costa decifrato sull'apocrifi, a penna ed a matita.)
Frèderick Leighton. Ritratto di Nino Costa. Nino Costa al lavoro (San Giovanni 1901).