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DALLO STUDIO BIOGRAFICO: «GIOVANNI FATTORI»
DI ANNA FRANCHI (Firenze, F.lli Alinari, 1910).
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Nel ’59 già Egli [Giovanni Fattori] erasi staccato dall’Accademia ed aveva rinnegato i quadri fatti fino allora: le Marie Stuarde e i Trovatori; e forse quella voglia insoddisfatta di battersi, di dare qualche goccia di sangue per la patria lo entusiasmò pei soggetti militari e vi si dedicò con quella foga di artista giovane che non lo ha mai abbandonato. Il governo della Toscana, con Ricasoli, aveva bandito un concorso per illustrare vari fatti d’arme, alcuni episodii delle guerre italiane.
Il Fattori aveva avuto occasione di studiare le truppe francesi di passaggio da Firenze e accampate sui pratoni delle Cascine, ed ebbe voglia di concorrere con una Battaglia di Magenta.
Ma il dubbio era in lui. Quel passaggio da una visione d’arte ad un’altra, la guerra che gli facevano, l’incertezza della riuscita e i sagrifici e i debiti necessari per poter mettere su la tela l’idea, lo tormentavano.
— Non sapevo più a che santo votarmi; mi pareva d’essere un rinnegato! —
Fu allora che conobbe Giovanni Costa, capitato al caffè, e fu lui che lo incoraggiò e che gli aprì gli occhi ad una decisa visione d’arte. Fu il suo unico e vero maestro. — T’imbroiano, Fattori! — gli diceva quando Egli accampava qualche critica udita o qualche consiglio datogli; e riuscendo a dargli una coscienza esatta del proprio valore lo mise sulla retta via, in fondo alla quale può essere la miseria ma certo è la verità e la gloria. E la miseria è rimasta, ma la gloria è venuta.
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