Prose campestri/Optima quaeque dies

 

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Hoc erat in votis Templa serena
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Optima quæque dies miseris mortalibus ævi
Prima fugit.


Non formano certamente la delizia de’ miei passeggi nè i bruni zendadi di Venezia, nè i cappellini di Londra, nè le piume delle Tuilerie o del Luxemburgo. Dirò più presto, se usar posso tal espressione, gli ornamenti e le piume della natura; l’erbe ed i fiori, gli arbusti e gli alberi. Anche su questi enti può un’anima spander sè stessa: può con tutto il sistema della natura immedesimarsi. Dirò più presto quelle considerazioni, per le quali non abbiamo il comodo stesso nel Mondo, ove le faccende, le passioni, i giudizj torti, e il costume, che spesso sembra ragione, rende più difficile un certo esame. Dirò anche quelle fantasie e que’ sogni, a cui [p. 14 modifica]m’abbandono sì volentieri, e quegli enti miei, che non sono chimerici affatto, sussistendo per me, che li creo. Ma sopra tutto le più care memorie della scorsa mia vita, che il senso mi addolciscono della presente. L’anima nostra, che rade volte del presente si appaga, volentieri o verso l’avvenire s’innoltra col desiderio, o sovra il passato ritorna con la reminiscenza. Il primo non curasi di far più, quando in uno stato si trova di disinganno: perchè come desiderar con impazienza un avvenire, nel quale nulla veggiamo di maraviglioso e di grande? Più volentieri risale al tempo passato, e riproducendo in qualche maniera le cose, che più a lei furono grate, queste in qualche maniera gusta di nuovo, e rivive, per dir così, la migliore sua vita. Con piacer grande ricorro sempre ai giorni della prima mia giovinezza. Per molti riguardi felicissima è quell’età, ma [p. 15 modifica]tale la rende principalmente il prospetto degli anni avvenire, prospetto tutto pieno di colori falsi e di luce bugiarda, ma perciò appunto bellissimo e scintillante. La nostra vita è come un gran monte, in cima del quale un palagio risplende di tal bellezza, che fatto sembra per ordine delle Fate; ma secondo che andiam salendo, sempre più dileguando si va quell’edifizio incantato, finchè, giunti sopra, nulla si trova: allora si comincia a discendere; ma nulla fermando i nostri occhi, rivolgiamo spesso la testa, e a traverso al monte, ch’è trasparente, riveder ci giova l’opposta strada, che da noi fu salita nella giovinezza. Ed allora si vive

Di memoria assai più, che di speranza.

Ma tra le cose, che negli anni più freschi ci dilettano il più, son da considerarsi principalmente quelle prime impressioni, che lo studio delle belle arti, o la contemplazione della natura produce sul nostro spirito ancor tenero e giovinetto. [p. 16 modifica]È verissimo che a porporzione, che altri penetra addentro le ragioni d’un’arte, quelle bellezze giunge a scoprire, che prima non vide; ma il piacere da queste recondite bellezze causato, comechè grande, quanto nondimeno è men vivo di quello dalle prime osservazioni allora prodotto, che l’arte stessa ci venne su i sensi e su l’animo ancor tutta nuova! Dicasi lo stesso di quelle prime occhiate nei secreti della natura, e di quel primo sapere d’un nuovo Mondo, all’intelletto sì bello, sotto la corteccia del Mondo esteriore sì bello agli occhi: una scienza maggiore lusingherà più l’amor proprio, ma quella prima ci commuove, ci agita, ci trasporta.

Nel tempo stesso che lo spirito discuopre un nuovo Mondo fisico, il cuore, tanto più facile a risentirsi quanto è ancora più intatto, discuopre un nuovo Mondo morale in que’ suoi primi risalti sconosciuti ancora, in quelle sue vibrazioni generali per anche e indeterminate, ma che ci [p. 17 modifica]annunziano una futura felicità, confusamente, sì, ma non però tanto, che tale annunzio non ci riempia subito con anticipazione cortese d’una straordinaria dolcezza. I piaceri di queste sensazioni, che furono allora sì grati, grati non poco seguono ad essere a chi ruminandoli, per così dire, nella memoria, giunge in qualche modo a risuscitarli, e a dar loro una nuova esistenza.

Quindi accade assai facilmente che i moti del nostro cuore s’indirizzino verso un particolare oggetto: e a non parlar che dell’amicizia; che tempi quelli non sono, quando tra per que’ primi bisogni d’un cuor vergine, e pien di vigore e di vita, e per l’inesperienza degli uomini, e la consolante fiducia, che ne risulta, tu t’abbandoni subito a’ tuoi sentimenti, e lasci correre l’anima tua, e ad un’anima conforme e sorella, o creduta tale, stringersi ed abbracciarsi? La ricordazion de’ quai sentimenti non si può dire quanto piacevole [p. 18 modifica]ci riesca, come tale pur ci riesce quella di altri più teneri e più squisiti, ove da rimorsi accompagnata non sia; ricordazione piena d’una dolce melanconia, di leucocolia, ch’è come dire d’una bianca tristezza.

Ah! sì, viene un tempo, nel quale più che il sentir nuovi affetti, giova contentarsi della rimembranza di quelli, che abbiam sentito. Ragionamenti, letture, espansioni di cuore, rimproveri dolci, innocenti scherzi, piaceri dell’anima, momenti felici e rapidi, no, io non v’ho interamente perduto. Voi nascete di nuovo nella mia memoria, nascete scompagnati da tutto ciò, che in parte allora potea turbarvi, e meco restando quanto a me piace, se la vivezza del diletto è minore, maggior n’è la schiettezza e stabilità.

Così pur giova riguardo ai piaceri dello spirito, cioè alla meditazione e allo studio, contentarsi di quel bene, che un certo disinganno anche in tal punto ci lascia gustare. Voglio dire, che non si dee far [p. 19 modifica]conto grande dell’umana gloriuzza, e di quella lode, di cui nulla v’ha di più vano, di più incerto, di più ciecamente o ingiustamente distribuito; ed anche temperar la sete del sapere, considerando che, sebben non poche verità si lascino da noi vedere, i filosofi tuttavia non mantengon sempre le lor belle promesse, e che, malgrado de’ lodevoli loro sforzi, siamo ancor dopo tanti secoli a viver costretti di probabilità e verisimiglianza. Ma restan con tutto ciò ragioni bastevoli per coltivar gli studj in tutta la vita, cioè il desiderio di migliorare noi stessi, una curiosità discreta e tranquilla, e quel piacere che risulta sempre o dalla contemplazione d’un vero, o dal sentimento del bello.