Poesie varie (Pascoli)/Dal 1896/Antìclo
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L’alta città divampava in un vortice rosso di fiamme,
sotto la pendula nebbia d’un gran plenilunïo d’oro.
Erano morti gli eroi: da le torri gli Achei ne le fiamme
or ne gettavano i figli e portavano al mare le donne:
5e ne la notte serena, passando con ululi lunghi,
d’Ilio con quelle al Sigèo rotolavano i carri da guerra.
Ma non il Dolope Antìclo giungeva a le Porte Sinistre
dalla città: nel cavallo d’Epèo v’era entrato nel giorno:
ora l’auriga attendeva il suo prómaco, il carro la preda
10sotto del faggio; ma il carro era vuoto, l’auriga era solo,
ed i cavalli legati con le abili redini al tronco,
sangue odorando più là, sobbalzando al guizzar de le fiamme,
spesso nitrivano al vento, e scavavano il campo con l’unghia.
Ma non Antìclo tornò; che ferito dal frassino grave
15presso la casa giacca di Deifobo. Dentro la casa
orrido fremere d’uomini e strepere chiaro di ferro;
chè ne la casa gli eroi già venuti coi mille vascelli,
Locri, Aspledonii, Focei, Cefalleni, Mirmidoni, Abanti,
i domatori Troiani e gli Achei corazzati di bronzo,
20si percotevano ancora con l’aste, per Elena Argiva.
Ma non Antìclo: ei giacea nel suo sangue, vicino a la soglia,
cupido ancor de la voce che l’anima già gli sommosse
dentro il cavallo d’Epèo, dove stavano i principi d’Argo,
l’uno de l’altro sentendo l’anelito breve ne l’ombra.
25Ecco, allorquando il brusìo de la turba vanì, che nel giorno
era durato a l’intorno con pallidi cori di donne,
simili a canti che loro giungessero ombrati dal sonno;
quando gli Achei palpitavano già d’ogni piccola pesta,
ecco che a tutti una voce, la voce più dolce che niuna,
30come a ciascuno sol una, arrivò de la donna lontana.
Era la donna lontana, che dolce chiamava per nome,
l’un dopo l’altro, gli eroi, sommovendone l’anima stanca.
Ed in un palpito ognuno, in un émpito ognuno si mosse
o per uscir da l’agguato o rispondere alate parole;
35quando Odisèo li frenò; ma Antìclo la bocca ad un grido
subito aprì, che morì sotto il grave calcar de la mano
del glorïoso Odisèo che gli disse, anelando, a l’orecchio:
“ Pargolo! è Elena questa, è Elena Argiva, la Morte! „
Elena tacque e partì; ma Antìclo restò con la voce
40della sua donna lontana nel mezzo a la rete del cuore.
Quando coi principi uscì, nereggiante di collera il cuore,
arse, distrusse, scannò; giù, nelle fumanti rovine
egli avventò, con gl’infanti, i lebeti ed i tripodi in atti,
spinse tra candidi seni di vergini, immemore, il ferro,
45chè tra le grida e i singulti ed i rantoli e il fragor d’armi,
desiderava una voce, la voce più dolce che niuna.
Ora sentendo la vita fuggir con lo squallido sangue,
nell’angiporto di Troia, pensava a la ricca sua casa,
dove la donna filava una soffice spuma di lana,
50oltre molt’onda di mare, di là da molt’ombra di monti.
Ecco, e la casa avvampò, di Deifobo. Vide il guerriero
al balenar de le fiamme un eroe da la testa chiomata;
e lo chiamava per nome, e gli disse le alate parole:
“ Odi, Elefénore! va dal potente ne l’urlo di guerra
55figlio d’Atrèo: va, digli che fugge ad Antìclo la vita
rapida, simile a vino che fugga da rotto cratere.
Digli che muoio per lui; che nel cuore mi sta la mia donna,
ch’oltre molt’onda di mare, di là da molt’ombra di monti,
fila nell’alta mia casa una soffice spuma di lana.
60Che la sua voce n’intenda, una voce, per l’ultima volta!
Mandi, se muoio per lui, la divina Tindaride, e faccia
ch’anco mi suoni a l’orecchio la voce più dolce che niuna! „
Disse, ed il Calcodontiade Elefénore entrò ne la casa
che come fiaccola ardeva, e trovò l’incolpabile Atride,
65e lo chiamava per nome e gli disse le alate parole:
“ Figlio d’Atrèo, mi ti manda un guerriero cui fugge la vita
rapida, simile a vino che fugga da rotto cratere.
Sappi che muore per te; che nel cuore gli sta la sua donna
ch’oltre molt’onda di mare, di là da molt’ombra di monti,
70fila ne l’alta sua casa una soffice spuma di lana,
che la sua voce ne intenda, una voce, per l’ultima volta!
Manda, se muore per te, la divina Tindaride, e faccia
ch’anco gli suoni a l’orecchio la voce più dolce che niuna! „
Disse: assentiva l’Atride, il potente ne l’urlo di guerra.
75Ecco ed Antìclo morìa ne l’oscuro angiporto di Troia,
ecco e veniva ver lui con un tacito passo di sogno
Elena. Intorno le ardeva in un vortice rosso di fiamme
Pergamo, sotto la nebbia d’un gran plenilunïo d’oro.
Al suo passaggio sereno scrosciavano gli ultimi muri,
80s’irrigidivano i vinti con l’ultimo loro singulto.
Stette sul capo a l’eroe: già le labbra ell’apriva a parlare,
dolce, la voce di lei ch’egli amava; quand’egli, morendo:
“ No, non parlare; che immemore io muoia, ch’io muoia felice
or che ti vidi: ch’io muoia con Elena sola nel cuore! „
1899.
Note
- ↑ [p. 234 modifica]questo poema in esametri fu stampato in Flegrea nell’aprile 1899. In seguito l’autore lo ridusse in versi sciolti e lo mise in Poemi conviviali.