Poesie varie (Angelo Mazza)/Inni e odi/VII. Impero universale della musica
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VII
IMPERO UNIVERSALE DELLA MUSICA
dal pope.
Scendete, olimpiche muse, e cantate:
e agli strumenti vario-spirabili
la vario-armonica voce accordate.
Spirto di musica penetri e morda
in dilettevole tuon di letizia
l’oboe patetico, l’arguta corda.
Giá le del tempio vòlte festive
impazienti son di ribattere
le rotte in vortici aure giulive.
Ecco in gravisone note allungate
«lo maestoso organo soffia»:
scendete, olimpiche muse, e cantate.
Quai molli limpide voci soavi
la tesa obliqua conca salutano,
or la percuotono acute e gravi.
E, come increspasi l’aria in tremori,
ricresce e ferve l’ardita musica,
ratto de l’anima, gioia de’ cuori.
Or fugge tremula, liscia e scolpisce
le piú minute grazie melodiche;
poi scema, spargesi, illanguidisce.
Per te s’ammodano l’umane menti,
bella Armonia: tu sei che moderi
affetti indocili d’umane genti.
E, quando smodano di spanta gioia,
gli ammorzi; e avvivi co’ tuoi be’ numeri
quando gli agghiaccia l’ingrata noia.
Per te serenasi Melanconia,
le braccia pigre dispiega Morfeo,
30suo tosco Invidia versare oblia;
e, se di patria levasi a l’armi
offeso dritto, ne’ petti accendesi
lo spirto bellico col suon de l’armi.
Testimon l’argivo abete,
35che sfidò l’intatto mar,
quando vide l’inquiete
pelie querce accompagnar
il cantor trace, che, assiso
su la poppa, musicò,
40e gli eroi d’un improvviso
marzial foco infiammò.
A le note vigorose
de la cetra, al suon de’ carmi,
rupi e mare e ciel rispose:
45— Greci, numi, a l’armi a l’armi!
Al canto memorando
que’ figli de la gloria,
l’un l’altro incoraggiando,
agognâro le colchiche contrade;
50e le destre, animate alla vittoria,
correano al fianco ad isnudar le spade.
Ma, quando dentro le tartaree soglie
che l’affocato Flegetonte accerchia,
invittissimo Amor, traesti il vate
55al tristo regno de le squallid’ombre,
quali mai voci s’udîro
risuonar l’inferne grotte?
quali mai viste apparîrò
ne le case della notte?
60Facelle orribili
rompon le tenebre
scuro-visibili:
spirti che gemono,
smaniosi accenti,
65sordi lamenti.
Udite! Ei tocca la dorata cetera:
gli si fan presso le smilze fantasime,
e agli spirti scempiati il duolo alleviasi;
su la rota in fuggir s’arresta Issione;
70Sisifo, lo tuo gran sasso sta immobile;
il drappel degli spettri in danza vagola;
su giacigli di ferro si prostendono
l’aspre Eumenidi nitrici:
sol ritte intorno a le lor teste pendono
75le serpi ascoltatrici.
— Pe’ ruscei che garrendo s’aggirano;
per l’aurette odorose che spirano
su le rose, regine de’ fior;
per gli eroi che gioiosi passeggiano
80dove elisii asfodilli gialleggiano
olezzanti balsamico odor;
torni al vedovo consorte,
Euridice a me rendete;
o nel regno de la morte
85me con essa rattenete. —
Ei cantò. Pluto concesse
a l’armonica preghiera;
e Persefone gli cesse
rediviva la mogliera.
90Preda difficile, ma gloriosa:
per ciò che nove volte l’attornia
l’irremeabile Stige odiosa.
Che non può musica? Che non può amore?
s’ambo forzâro la legge ferrea,
95e impietosirono di Pluto il core?
Perché tropp’avido l’incaute ciglia
l’amator volge? Ella dileguasi.
Qual insanabile furor lo piglia?
Lá dove i monti
100precipitevoli
spingon le fronti
piú disagevoli,
dove rimormora
labirinteo
105il freddo Tanai,
dolente Orfeo
disfoga ai venti
i suoi lamenti,
chiamando, oh Dio,
110la cara ombra di lei che giá sparío.
Da le furie circondato,
disperato,
lungo il Rodope nevoso
va tremante,
115palpitante,
per l’ardor c’ha in cor nascoso.
Morí al fin; ma, sul momento
che l’oppresse il negro fato,
d’Euridice il nome amato
120su le labbra gli tremò.
«Euridice» allor col vento
ripetè la valle e il monte:
«Euridice» il bosco, il fonte
d’ogni intorno replicò.
125Cosí la music’arte
dentro gli umani petti
a suo poter conturba e ricompone
i domevoli affetti.
D’affanno atre tempeste
130essa tranquilla, e molce
l’ire del fato infeste.
Gioie novelle spuntano
ov’ella canti o suoni:
felicitá coronasi
135de’ suoi celesti doni.
Questa ben l’alma vergine,
ch’oggi va lieta di votivo onore,
arte divina intese,
e tutta consacrolla al suo Fattore.
140Ella da canne argentee
sacri modi traea;
e il pien concento armonico,
calda d’Iddio, reggea.
L’essenze focosissime immortali
145da le stellanti porte s’affacciâro,
e, librate su l’ali,
la melodia dolcissima ascoltâro:
e umane alme, rapite
da le possenti note,
150s’alzar lievi e spedite
a le celesti rote;
e quivi il ver cercarono
a niun altro secondo,
cupide, e in sen volarono
155del correttor del mondo.
Dunque d’Orfeo sia muto
chi sciorrá in avvenire ascrea favella.
A Cecilia è tributo
quel che «tesoro d’armonia» s’appella.
160Al suono grazioso
quei trasse un’ombra dal mentito eliso,
questa l’anime innalza al paradiso.