Poesie milanesi/Proemio
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PROEMIO
La Società del Giardino (1783-1921) con giusto orgoglio annovera fra i suoi antichi più illustri soci Carlo Porta, che vi appartenne dal 1808 al 1821. Volendo l’ultrasecolare sodalizio, com’era doveroso, commemorare degnamente il grande poeta milanese nell’anno centenario della sua morte, prescelse, fra le varie forme di onoranze, la pubblicazione delle sue opere.
Le poesie di Carlo Porta, dopo un secolo, non hanno perduto il fascino primitivo della bonaria arguzia paesana, tanto cara ai nostri avi. Una nuova loro pubblicazione se, come forma d’omaggio, parve la manifestazione più elevata e dignitosa, posteriori avvenimenti mostrarono che fu anche la più opportuna.
Per il centenario portiano il nostro mondo letterario era nella più viva attesa dell’edizione critica e storica delle opere complete del Porta, promossa da Carlo Salvioni, il valente professore di storia comparata delle lingue classiche e neolatine, condotta con intenti sistematici e scientifici, e con metodi innovatori. Una morte prematura troncò il poderoso lavoro. Ora si attende chi possa raccogliere la preziosa eredità, e colla dovuta preparazione, assolvere l’arduo compito.
Per questa inattesa perdita, il centenario ci sorprese colle edizioni delle opere portiane intieramente esaurite. Di fronte a questa grave lacuna, la Società del Giardino vieppiù incoraggiata dalle circostanze, e sorretta anche dal Voto di egregi e benemeriti cittadini, si accinse a pubblicare questa nuova edizione, la quale se non pretende di avere gli intenti scientifici della desiderata edizione Salvioni, può tuttavia rispondere alle giuste esigenze degli ammiratori del poeta.
Esclusa l’idea di compilare un’Antologia, prevalse il concetto di ristampare integralmente quelle poesie, che l’autore stesso vivente riconobbe migliori, affidandone la pubblicazione al Cherubini (Milano, Pirotta, 1817), e le altre postume, che Tommaso Grossi, amico, collaboratore ed erede spirituale del Porta, divulgò nell’edizione del 1821. La specifica competenza filologica di Francesco Cherubini, e il gusto squisito del Grossi, giustificano la preferenza data al testo da loro adottato.
Siccome però la riproduzione fedele delle due prime edizioni avrebbe privato i lettori della conoscenza di altre composizioni, indubbiamente autentiche, ed in parte già note attraverso le postume edizioni, nelle quali la censura austriaca era stata meno severa, così fu ritenuta opportuna anche la loro ristampa, comprendendovi alcuni lavori d’occasione, che il Porta scrisse per la ristretta cerchia dei suoi amici della Società del Giardino, lavori che necessariamente non dovevano mancare in questo volume.
Nella presente edizione per la prima volta è indicata la data cronologica di ciascuna poesia, dedotta dallo studio postumo del Salvioni, edito l’anno 1920 nell’Archivio storico lombardo, sul quale richiamiamo l’attenzione di quanti volessero maggiori schiarimenti in proposito.
L’illustrazione del testo venne con illimitata fiducia affidata alle intelligenti cure di persone competenti, quali il Prof. Carlo Reale e il Dott. Ettore Verga, direttore dell’Archivio storico civico, esimii interpreti del pensiero portiano, coadiuvati dall’amico Dott. Marco Magistretti, già storiografo della Società del Giardino, quale altro studioso e diligente indagatore di memorie cittadine.
La sobrietà delle loro note, senza scapito della chiarezza, come mette ogni lettore in condizioni di afferrare i sali e il senso delle voci usate dal poeta vernacolo, così illustra date, fatti e indicazioni topografiche, senza le quali sarebbe impossibile penetrare lo spirito delle allusioni, note ai contemporanei, ma inesplicabili dopo un secolo.
Non ultimo pregio della nuova edizione è il glossario posto in fine del volume; questo, che può rappresentare un’appendice ai vocabolari del dialetto milanese, indicando le note ove le singole voci furono spiegate, offre il vantaggio di facilitare al lettore l’intelligenza del testo, senza moltiplicare inutilmente le note illustrative, e aumentare la mole del volume.
Al testo facciamo precedere uno speciale studio storico, nel quale un nostro socio, l’avvocato Pietro Madini, senza pretese letterarie, illustra i rapporti del poeta colla Società del giardino, e, interprete dell’animo del Sodalizio, reca nella trattazione dell’interessante argomento tutta la devozione di tardi amici e di convinti ammiratori.
Segue il magistrale lavoro "Milano ai tempi di Carlo Porta" dovuto alla facile penna di E. Verga, che ci offre una pittoresca visione dell’ambiente, in cui visse il poeta, e dove la sua ardente fantasia spaziò, per creare i suoi capolavori immortali.
E poi il testo. Questa edizione quindi non avrà l’usata prefazione, e cioè quel compendio biografico, analitico, didattico, oggi tanto più importante, quanto più si sono diffusi coll’amore agli studi, la ricerca e l’esame diretto dei documenti, lo spirito polemico degli scrittori, e lo spirito critico dei lettori.
A chi ci chiedesse la ragione di questa voluta ammissione rispondiamo che, in causa certo della difficile ora presente, non può essere sfuggito all’attenzione del pubblico che nell’attuale ricorrenza la memoria di Carlo Porta è stata onorata più cogli scritti, che coi fatti e con l’opere.
Ci fu, è vero, il coro delle buone laudi, ma non tacquero voci autorevoli, che pur non negando al Porta di aver toccato nella poesia dialettale il fastigio, vollero sommessamente riaccendere antiche accuse al poeta ed all’uomo, non perdonandogli in un suo genere d’arte in cui eccelse, la satira, il suo malevolo scetticismo, la grossolana indifferenza, l’ostile irreligiosità, che lo mettono al livello di un enciclopedista di seconda mano. E di deduzione in deduzione si arrivò al dubbio che la religiosa pietà del suo fedele amico, con benevola menzogna, gli abbia attribuito, dopo la sua morte, versi non suoi per coreggerne la figura morale, e rabberciarne la fama!
In tema di verismo e pornografìa, si riprese a discutere se il turpe e l’osceno, quando siano scritti a scopo satirico e con intento correttivo, possano o no essere accolti in arte. Nè mancarono polemiche sulla figura politica del poeta, sulla sua sincerità e coerenza.
Esaminare e discutere questi gravi problemi, sarebbe un’ardua impresa per i compilatori di un libro, che non ha carattere scientifico o polemico, e intende rimanere spassionato e obbiettivo. Alcuni argomenti d’altronde, che potrebbero costituire la prefazione, entrano già occasionalmente nel primo dei ricordati studi dei nostri collaboratori. Nulla quindi si toglie al pregio intrinseco dell’opera, se non aumentiamo la mole delle dissertazioni su questioni abusate, che riteniamo in gran parte giudicate e risolte.
Carlo Porta non è del resto di quelle figure terribili e complesse, di cui la storia ci offre a grandi intervalli l’esempio. Se c’è un uomo, la cui figura morale e politica e la cui opera letteraria possono essere accettate così come sono, questi è Carlo Porta.
Come uomo, s’egli fu buon amico, buon padre di famiglia, buon cittadino, buon amministratore del pubblico denaro, poco ci dobbiamo curare se non fu anche un eroe. Un altro grande scrittore non fu più eroico dì lui, e a questi nulla fu tolto o menomato della sua fama. E mentre la severa censura costringeva e dosava all’epigrafe del Porta lodi e dizione, all’epigrafe dell’altro concedeva di fregiarsi del monito dantesco "Onorate le ceneri dell’altissimo poeta" 1).
Più che diversità di valori, diversità di fortuna, che il tempo, buon giustiziere, viene a poco a poco mitigando e correggendo.
Come poeta, certo è che il Porta, quale irriducibile nemico delle irrealtà del classicismo, fu un tipico personificatore di un’arte, eminentemente realistica e rappresentativa. Come tale, ebbe tutti i difetti delle sue qualità, difetti però ch’egli mai non si curò ne di moderare nè di nascondere. Modesto com’era, e vivendo in un’epoca, in cui il verseggiare in vernacolo milanese era comunissimo a buoni letterati ed artisti, quanto a poetastri, almanacchisti o barbieri, non è a meravigliare se il Porta non avesse creduto mai seriamente alla grandezza e all’immortalità della sua fama. E i fatti, a cominciare dalla dispersione delle sue ossa, nella città che fu sua, parvero fino a un certo punto dargli ragione.
Incurante così degli obblighi che derivano dalla gloria, egli forse nulla fece per imporsi freni, pose, atteggiamenti. Egli scriveva dictante Deo, per creare, e pel bisogno di esprimere il vero. E siccome il vero ha confini più vasti del lecito, si può facilmente comprendere come nel raggiungerlo, egli abbia potuto varcare talora i mal certi confini, segnati dagli usi e dalla morale.
Se talune di queste divagazioni, che non erano fine a sè stesse, com’egli confessa nell’umile sua lettera al figlio, possono essere riprovate ed escluse, in compenso però quanti tesori di verità, di sincerità, di efficacia, quanta forza creativa egli seppe trarre dallo studio diretto e immediato del vero, e anche, aggiungeremo, quanta forza morale! Il Porta nella pittura dei vizi e difetti di certe classi fu un grande, un eccezionale castigatore di costumi, perchè il giudizio e la condanna scaturivano naturalmente dalla stessa potenza rappresentativa della realtà.
Nello smisurato campo dell’arte possono entrare tutte le tendenze, le più diverse, le più opposte. Ed è perciò che noi, rinunciando a discussioni e confronti, accettiamo l’opera di Carlo Porta così com’è, allo stesso modo che in pittura si può ammirare l’arte grandiosa e composta di Antonio Van Dyck, nelle sue composizioni storiche e religiose, senza ripudiare il mirabile verismo di David Teniers, coi suoi angiporti, stamberghe, fiere, taverne, botteghe, baccanali e mercati.
Liberi tutti di preferire un genere d’arte ad un altro. Ma quando la Fama ha consacrato i capolavori, noi, entrando in quei santuari dell’arte, che sono chiese o musei, dobbiamo chinarci collo stesso rispetto davanti al Cristo schernito o ai ritratti Spinola di Van Dyck, come davanti alle Kermesses di Teniers, anche se in taluna di queste sorprendiamo figure nelle schiette attitudini di chi faccia "d’ogni libito licito".
Per la grande gioia degli spiriti umani la natura ha variamente distribuito i suoi doni. Il nostro patrimonio intellettuale si arricchisce per questa provvidenziale diversità di attitudini. È necessario che i grandi ingegni seguano e si abbandonino alle loro naturali inclinazioni. Guai se Carlo Porta si fosse proposto di scrivere inni sacri e Alessandro Manzoni poesie giocose!
Per il Consiglio direttivo della Società del Giardino IL PRESIDENTE Giuseppe De Capitani d’Arzago Deputato al Parlamento. |
- Milano. 15 Aprile 1921.