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dell’altro concedeva di fregiarsi del monito dantesco "Onorate le ceneri dell’altissimo poeta" 1).
Più che diversità di valori, diversità di fortuna, che il tempo, buon giustiziere, viene a poco a poco mitigando e correggendo.
Come poeta, certo è che il Porta, quale irriducibile nemico delle irrealtà del classicismo, fu un tipico personificatore di un’arte, eminentemente realistica e rappresentativa. Come tale, ebbe tutti i difetti delle sue qualità, difetti però ch’egli mai non si curò ne di moderare nè di nascondere. Modesto com’era, e vivendo in un’epoca, in cui il verseggiare in vernacolo milanese era comunissimo a buoni letterati ed artisti, quanto a poetastri, almanacchisti o barbieri, non è a meravigliare se il Porta non avesse creduto mai seriamente alla grandezza e all’immortalità della sua fama. E i fatti, a cominciare dalla dispersione delle sue ossa, nella città che fu sua, parvero fino a un certo punto dargli ragione.
Incurante così degli obblighi che derivano dalla gloria, egli forse nulla fece per imporsi freni, pose, atteggiamenti. Egli scriveva dictante Deo, per creare, e pel bisogno di esprimere il vero. E siccome il vero ha confini più vasti del lecito, si può facilmente comprendere come nel raggiungerlo, egli abbia potuto varcare talora i mal certi confini, segnati dagli usi e dalla morale.
Se talune di queste divagazioni, che non erano fine a sè stesse, com’egli confessa nell’umile sua lettera al figlio, possono essere riprovate ed escluse, in compenso però quanti tesori di verità, di sincerità, di efficacia, quanta forza creativa egli seppe trarre dallo studio diretto e immediato del vero, e anche, aggiungeremo, quanta forza morale! Il Porta nella pittura dei vizi e difetti di certe classi fu un grande, un eccezionale castigatore