Poesie edite ed inedite/Al Dottore Pietro Carpanelli
Questo testo è completo. |
◄ | Al Lettore | Memoria sulla vita e sugli scritti di Lorenzo Mascheroni | ► |
AL DOTTORE
PIETRO CARPANELLI
Professore di Umane Lettere
Ecco di nuovi fregi ornato io v’offro
Il bel monil delle preziose perle
Che Lorenzo cogliea lungo le rive
Dell’Italo Ippocrene — Egli pietose
Lagrime sparse sulle caste zolle
Che le quete coprian ceneri sante
Dell’Elvetico Titiro, e la Najade
Della fonte gentil ove s’udìa
Di Dafni il nome, ne facea tesoro
Nell’argentea conchiglia. Egli dal cielo
Momo richiese a sparger lieto riso
Sul finto volto onde Talìa fa velo
Al pudor fra le celie, e ove altri solo
Credeva scarso umor, ei grata sparse
A palati più schivi e larga vena.
Guidata aveva ai talamo desiato
Vaga donzella Imen: splendea festante
La nuzial conca, battean lieti i vanni
Spargendo alme fragranze e scelti fiori
Le Grazie e il Riso, e si sciogliea soave
De’ Vati il cauto. Amor volle per gioco
Turbar la gioja: un fìer mastino spinse,
Quasi cruda Leena in su l’agnella?
A disbramar la furibonda rabbia?
Sul grazïoso cagnolin che fido
Al teatro alle feste al corso all’ara
Seguìa la madre della Sposa, e ognora
Invidiato compenso, ne coglieva
Ampia messe di baci. Esterrefatta
E da subito brivido compresa
Balzò la dama a tanto orror: pietoso
Il suo bel core inorridì vedendo
Spicciar l’amato sangue: invan tre volte
Diè un alto grido, invan chiamò furente
Cavalieri e donzelli, invan si pose
Ardita fra la mischia, e farsi scudo,
Quasi romana madre, osò al gentile
Alunno del suo amor. Lacero il fianco
E palpitante, omai vicino a morte
Era il misero, e un gomito mettea,
Un ulular dalla cruenta gola
Che ricercava il cuor. Su lui fur sparsi
Gli assensi invano e le anelanti cure
Di quegli che talor blandendo umili
Il vago cagnoliu, qualche pietoso
Sguardo ottenevan dalla dama. Ei volse
Su lei gli amati lumi, e in sua favella
Parve saperle cortesìa: ma ahi! fosca
Tenebria li coprì, diè un grido e rese
Fra le braccia pietose il flato estremo.
Tocco a tanta sciagura, che travolse
In pianti e sdegni d’Imeneo la gioja,
Fu pure il Vate, e molli fiori sparse
Del caro estinto sulla mesta tomba.
Questi leggiadri versi che sdegnosi
Certo giacean perchè lor si togliesse
La luce alma del dì, che miglior fato
Concedeva a’ fratelli, e a me la cura
Dell’amicizia offriva, or lieti invìo
Pellegrini novelli in su le rive
Del bel mondo, col carme in cui le Grazie
Pinsero a Lesbia l’inclito Ateneo
Vanto d’Italia un dì, sicchè il Tesino
Non più la sponda memore d’impero
Umile iva lambendo, ma alternava
Di se maggiore al mormorìo dell’onde
La melodìa di que’ soavi accenti.
Io insiem gl’invio bramati al lieto carme
Che leggi indice al pio, che insinua e muove
Religion santa negli umani petti:
Al flebil canto che sul muto avello
Sciolse Ei di Borda, sicchè fu commosso
Il cener freddo al suon di sue parole,
E l’alma innamorata a lungo stette
Dimentica del cielo: al dolce verso
Che la sacra de’ Vati infula onora,
E nobil serto intesse al nostro Guidi,
Cui nulla pose ancor la patria ingrata
Monumento o parola; eppure ei solo
Fe’ all’Italia sentir Tebani accenti.
Formano queste perle il bel monile
Che lieto io v’offro. A cui meglio conviensi
Il bel dono che a Voi, cui tutti schiusi
Son del bello gli arcani e le sue leggi,
Che a me dettaste e di cui largo or siete
“Ai dolci figli della patria cara1.
A Voi lo offria perchè gli affetti ascosi
V’accenni del mio cuor, per quelle dolci
Tenere cure onde l’incerto piede
Mi guidaste nel Tempio a Palla sacro,
A Voi mio sol maestro e sol mio duca.
Tutti colsi i laureti, i prati ameni,
E le fiorite rive onde va altero
L’Italo Pindo e fra i perigli ascosi
Dell’incantevol labirinto, scorta
M’ebbi il vostro conforto; se pur spesso
Io traviai, fu perchè ruppe il filo
Che mi reggea, la giovami baldanza.
Nè privo or fia che Voi lasciar vogliate
Me di consiglio. Ancor bollenti affetti
Siedono nel mio cuor: misero ognora
Pel suo troppo sentir, nè calma spera
Dall’età, che già il quinto lustro il mento
Da due Soli m’adombra invano. Il freno
Deh gl’imponete sicchè pace ottenga,
Se pur tant’oltre ei può sperar: il freno
Reggete Voi de’ miei pensieri, e il volo
Sciolga da Voi; sicchè fugga i perigli
“La farfalletta dell’ingegno mio.
E ne miei focolari a Voi fian sacri
Un’ara e un simulacro, ed offrirovvi
De’ miei affetti la primizia, e in core
Il Vostro nome appo color fia segga,
Che questa in me destar diva scintilla
Di vita, che m’è sol per Voi men grave.
Defendente Sacchi.
- ↑ Considerazioni intorno al bello nelle lettere con un discorso sul IV. dell’Eneide — prezioso opuscolo or or pubblicato dal Dottor Carpanelli.