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viii

     Vanto d’Italia un dì, sicchè il Tesino
     Non più la sponda memore d’impero
     Umile iva lambendo, ma alternava
     Di se maggiore al mormorìo dell’onde
     La melodìa di que’ soavi accenti.
     Io insiem gl’invio bramati al lieto carme
     Che leggi indice al pio, che insinua e muove
     Religion santa negli umani petti:
     Al flebil canto che sul muto avello
     Sciolse Ei di Borda, sicchè fu commosso
     Il cener freddo al suon di sue parole,
     E l’alma innamorata a lungo stette
     Dimentica del cielo: al dolce verso
     Che la sacra de’ Vati infula onora,
     E nobil serto intesse al nostro Guidi,
     Cui nulla pose ancor la patria ingrata
     Monumento o parola; eppure ei solo
     Fe’ all’Italia sentir Tebani accenti.

Formano queste perle il bel monile
     Che lieto io v’offro. A cui meglio conviensi
     Il bel dono che a Voi, cui tutti schiusi
     Son del bello gli arcani e le sue leggi,
     Che a me dettaste e di cui largo or siete