Vanto d’Italia un dì, sicchè il Tesino
Non più la sponda memore d’impero
Umile iva lambendo, ma alternava
Di se maggiore al mormorìo dell’onde
La melodìa di que’ soavi accenti.
Io insiem gl’invio bramati al lieto carme
Che leggi indice al pio, che insinua e muove
Religion santa negli umani petti:
Al flebil canto che sul muto avello
Sciolse Ei di Borda, sicchè fu commosso
Il cener freddo al suon di sue parole,
E l’alma innamorata a lungo stette
Dimentica del cielo: al dolce verso
Che la sacra de’ Vati infula onora,
E nobil serto intesse al nostro Guidi,
Cui nulla pose ancor la patria ingrata
Monumento o parola; eppure ei solo
Fe’ all’Italia sentir Tebani accenti.
Formano queste perle il bel monile
Che lieto io v’offro. A cui meglio conviensi
Il bel dono che a Voi, cui tutti schiusi
Son del bello gli arcani e le sue leggi,
Che a me dettaste e di cui largo or siete