Era il misero, e un gomito mettea,
Un ulular dalla cruenta gola
Che ricercava il cuor. Su lui fur sparsi
Gli assensi invano e le anelanti cure
Di quegli che talor blandendo umili
Il vago cagnoliu, qualche pietoso
Sguardo ottenevan dalla dama. Ei volse
Su lei gli amati lumi, e in sua favella
Parve saperle cortesìa: ma ahi! fosca
Tenebria li coprì, diè un grido e rese
Fra le braccia pietose il flato estremo.
Tocco a tanta sciagura, che travolse
In pianti e sdegni d’Imeneo la gioja,
Fu pure il Vate, e molli fiori sparse
Del caro estinto sulla mesta tomba.
Questi leggiadri versi che sdegnosi
Certo giacean perchè lor si togliesse
La luce alma del dì, che miglior fato
Concedeva a’ fratelli, e a me la cura
Dell’amicizia offriva, or lieti invìo
Pellegrini novelli in su le rive
Del bel mondo, col carme in cui le Grazie
Pinsero a Lesbia l’inclito Ateneo