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vii

     Era il misero, e un gomito mettea,
     Un ulular dalla cruenta gola
     Che ricercava il cuor. Su lui fur sparsi
     Gli assensi invano e le anelanti cure
     Di quegli che talor blandendo umili
     Il vago cagnoliu, qualche pietoso
     Sguardo ottenevan dalla dama. Ei volse
     Su lei gli amati lumi, e in sua favella
     Parve saperle cortesìa: ma ahi! fosca
     Tenebria li coprì, diè un grido e rese
     Fra le braccia pietose il flato estremo.
     Tocco a tanta sciagura, che travolse
     In pianti e sdegni d’Imeneo la gioja,
     Fu pure il Vate, e molli fiori sparse
     Del caro estinto sulla mesta tomba.

Questi leggiadri versi che sdegnosi
     Certo giacean perchè lor si togliesse
     La luce alma del dì, che miglior fato
     Concedeva a’ fratelli, e a me la cura
     Dell’amicizia offriva, or lieti invìo
     Pellegrini novelli in su le rive
     Del bel mondo, col carme in cui le Grazie
     Pinsero a Lesbia l’inclito Ateneo