Poesie (Fantoni)/Scherzi/IV. A Palmiro Cidonio
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IV
A Palmiro Cidonio
(1778)
Nunzio omai di primavera,
fa ritorno april rosato:
giá di fior si veste il prato
e di frondi l’arboscel;
e a quel mirto, che circonda
l’ara sacra a Fille e al giorno
in cui nacque, aleggia intorno
tepidetto venticel.
Giá Mirtillo di ginestre
croceo serto mi prepara,
e, scherzando intorno all’ara,
lieto aspetta il quinto dì,
che superbo riconduce,
dal tremante Oceano fuora,
la felice amica Aurora,
che le ciglia a Fille aprì.
D’edra intorta inghirlandato,
dotto premio della fronte,
vieni, tosco Anacreonte,
fra le tazze a delirar.
Teco sia Partenio il biondo,
dai languenti azzurri lumi,
i cui placidi costumi
fêro Egina innamorar.
25Di quei lauri, che rapìo
alla fama anglico vate,
l’alte tempie incoronale
e il negletto aurato crin;
e il vivace Mainero
30sia pur teco, emulatore
delle grazie e del colore
del romano Lorenzin;
teco Balbi, e lo scherzoso
mio Capozza ei guidi a lato,
35e di Rolli il delicato
dotto Fasce imitator,
e Mazzucco, dalla greca
fantasia, di sciolti fabbro,
grave il petto e pieno il labbro
40di poetico furor.
In quel dì le cure oblia
e del fòro e del senato,
ché geloso veglia il fato
al ligustico destin:
45a lui veglia Fornellino
e, alla patria ancora ignoti,
nel mio cor vegliano i voti
d’un novello cittadin.
Teme, è ver, diviso il mondo
50da guerrieri acerbi sdegni,
che la sorte di piú regni
sia vicina a vacillar.
Dei tiranni il giogo scuote
lo sprezzato Americano,
55cui apprese il Pensilvano,
nuovo Bruto, a trionfar.
Crolla invano Anglia sdegnata
l’ardua fronte minacciosa,
e per l’onda procellosa
60contro legni urtando va.
Franco genio le fraterne
desiate pugne affretta,
e nasconde la vendetta
sotto il vel dell’amistá.
65Giovin duce, a cui la fama
le materne schiere affida,
Cesar regge e in campo guida
la cerulea gioventú.
Dagli allori, ove riposa,
70sorge il prusso Federico,
e rispetta del nemico
la prudenza e la virtú.
Il robusto abitatore
del gelato Boristene
75fa ritorno a queste arene
per il nordico oceán.
Freme il Tartaro diviso,
incapace di riposo,
mentre in ozio vergognoso
80langue il barbaro Ottomán.
Scuote Aletto anguicrinita
la sanguigna oscura face;
ma riposa Italia in pace
ed il sardo regnator,
85né turbarla a suo profitto
può il pastore incoronato.
Tu dal sen, Palmiro amato,
scaccia il pallido timor.
Chiusa Giano ha quella porta.
90che d’Italia il varco aprío,
e su l’Alpi al cieco dio
sacro eresse amico altar,
dove vengono frequenti
franchi ed itali devoti
95per la patria al nume i voti,
per la pace a tributar.
Se il fatale turbo errante
delle guerre transalpine
dal sabaudico confine
100minacciando scenderá,
me vedrai, novello Alceo,
non temer guerrieri affanni
e difender dai tiranni
la tremante libertá.
105Fra quei candidi ligustri,
che l’amor a me comparte,
i temuti allòr di Marte
alle chiome intreccerò.
Con le corde della cetra
110curvo, teso un arco armeno,
io, temprate di veleno,
le saette vibrerò.
Sará meta ai colpi miei
qual fra i duci all’oste impera;
115e, morendo, la straniera
lieta terra morderá.
Anelando alla vendetta,
vinto il monte mal sicuro,
il nemico su del muro
120contrastato salirá;
ma, respinto dai tonanti
spessi fulmini improvvisi,
scenderá sui corpi uccisi,
vergognoso assalitor,
125e, cedendo a ignoto nume,
che l’incalza e lo minaccia,
fuggirá dove lo caccia
lo spavento vincitor.
A me intorno cento spose
130canteranno odi votive,
che le squadre fuggitive
disdegnose ascolteran;
e, rapito il verde alloro,
che trionfa sul mio crine,
135di giacinti e porporine,
fresche rose il cingeran.
D’altre corde la mia lira
armerò temprando i carmi,
ed al tempio appese l’armi,
140fervid’inno scioglierò;
e l’errante accolta turba,
mormorando impaziente,
tenderá l’orecchie intente
sugli eroi che canterò.
145L’ire sue satolli allora,
con la destra falciatrice,
la severa esecutrice
delle leggi dell’etá:
bagnerá Liguria amica
150il mio cenere di pianto,
e di Doria all’urna accanto
il mio nome inciderá.