Poemi italici/Rossini/Canto primo
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CANTO PRIMO
I.
E si levò la Parvoletta in pianto.
Piangea, la povera anima, e mirava
3il suo fratello rauco gramo franto...
«Se tu crescesti, se qual ero, io resto,
piccola, perchè farne la tua schiava,
6di me che nacqui, tu lo sai, più presto?»
Piangea la semplice anima fanciulla:
«Sono più grande! Quando tu, smarrito
9del mondo immenso, pigolavi in culla,
io era là, tra l’ombre mute e sole,
fui io che il tenero umido tuo dito
12guidai ver’ gli occhi di tua madre e il sole!
Fui io che prima, per un tuo gran male,
ti dissi, St! ascolta!... Una soave
15nenia sonava presso il tuo guanciale.
E tu la udisti, e ti chetavi, attento
attento, di sulla tua lieve nave
18che uguale uguale dondolava al vento...
Io, che così, con una piuma, il viso
ti vellicai, che tu torcesti alquanto
21le labbra, e nacque il primo tuo sorriso!
Io, che picchiando sulla sponda un giglio,
battevo il tempo, e tu movesti al canto
24la bocca, e nacque il tuo primo bisbiglio!
Io, che girai, per darti gioia il talco
d’una stellina, che agitai gli squilli
27d’un sistro, onde stridivi come un falco
di nido; e quando, solo, in mano a Dio,
restavi, a sera, in casa, coi gingilli
30tuoi, bono bono, era che c’ero anch’io!»
II.
Lagrime salse le piovean dagli occhi.
Piangea la povera anima, una mano
3sul tenue seno e l’altra sui ginocchi.
«Oh! la tua buona Parvola, che chiudi
sola, laggiù, nel carcere lontano,
6pieno di spettri e di fantasmi nudi!
E mi spaura, chiusa in fondo anch’ella
come son chiusa io così pura e saggia,
9fragrante ancora dell’odor di stella,
la Bestia, ahimè! che mangia e ringhia e freme
sopra il presepe, e scalpita selvaggia
12tutta la notte! Noi vegliamo insieme,
la Bestia e io! così che i dolci modi
che ti cantai, che andavi zingarello
15di fiera in fiera, ora non più tu li odi.
Allor, sul carro, io ti mutava in note
d’una vïola e d’un vïoloncello
18lo strido assiduo delle trite rote.
A cui, crescendo, s’aggiungean fanfare
di trombe e corni, ed, ecco, un infinito
21coro di voci alte nel cielo e chiare.
Giungeva sempre più canoro il nembo
sopra il tuo capo pendulo, sopito,
24ch’allor tua madre s’accostava al grembo.
Passava il nembo, lontanava l’inno
con le grandi ali tremole e sonore,
27lasciando alfine un sol, di sè, tintinno,
piano, più piano... era dell’arpa mia...
e tu la udivi con l’orecchio al cuore
30della tua madre, per la lunga via...»
III.
Poi disse: «Pensa al giorno, così lento,
quand’eri messo a lavorare il ferro.
3Movevi tu da striduli otri il vento.
E quattro fabbri mezzo neri e nudi
traeano il masso dal carbon di cerro
6e lo battean sull’echeggiante incudine.
Ero con te. Battevo lieve l’ale
assecondando quell’ansar concorde
9e quello squillo de’ martelli uguale.
Toccavo un poco l’arpa tra il lavoro
sonante, e il suono tu delle mie corde
12udivi sotto il muto gesto loro.
Io nel gran bosco ch’urla al nembo ignoto,
fo che tu senta il canto d’un uccello
15che gonfia il collo ed apre il becco a vuoto.
Io fo che in mezzo ad un crosciar di frane
e di valanghe, là, d’un paesello
18soavi e piane oda le tre campane.
Io per te colgo il suono d’ogni cosa.
Su tutte io picchio le mie tenui dita,
21stelle del cielo o petali di rosa.
Di tutte io sento il dolce flutto occulto,
il cadenzato palpito di vita,
24la gioia e il pianto, il riso ed il singulto.
E tu mi scacci! E chiudi me che volo!
che senza me, per te sarebbe il mondo
27tutto silenzio! un grande fragor solo!
Ma, non so come, tutto quel fragore
interminabile, io te lo nascondo
30dietro il ronzio d’un’ape attorno un fiore».
Parlava; e l’altro udiva in sogno; anch’esso,
32il clavicembalo; e fremea sommesso.