Poemi (Esiodo)/Prefazione/Le opere frammentarie

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Esiodo - I poemi (Antichità)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1929)
Prefazione - Le opere frammentarie
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LE OPERE FRAMMENTARIE


Non credo che in questa sede giovi far troppo lungo discorso intorno ai frammenti degli altri poemetti attribuiti ad Esiodo. Utili per ampliare in qualche modo la visione della poesia esiodea, non offrono elementi specifici per determinarne meglio il carattere; e d’altronde son troppo brevi per offrire argomento ad una vera trattazione, se non di particolari e di controversie.

D’altra parte, è sempre vivo il problema, che tutti li riguarda, e di presunto carattere pregiudiziale, della loro paternità.

Secondo la piú diffusa opinione degli antichi, appartennero tutti ad Esiodo. Però anche allora non mancarono dubbii. E figuriamoci la critica moderna1.

[p. ci modifica]Offrire una soluzione obiettiva ed incontrovertibile, non è possibile: soprattutto, non è possibile precisare particolari. Ma attenendoci al buon senso e ad alcuni principii inoppugnabili di logica, non è impossibile avvicinarsi ad una verità d’indole generale, che è poi l’unica che importi in questi ordini di ricerche.

E prima di tutto, richiamandoci alle considerazioni già svolte intorno al carattere e agli uffici della poesia al tempo di Esiodo, dobbiamo sgombrare le nostre menti dal concetto che noi moderni ci facciamo del poeta.

Per noi, un poeta, degno di tanto nome, non scrive se non quello che gli detta l’anima: dunque non tratta se non argomenti di predilezione.

Ma quando invece la poesia era uno strumento necessario, allora il poeta, quello che possedeva il magisterio delle parole, poteva, senza abbassarsi, trattare argomenti anche non favoriti. Gli chiedevano di esporre fatti, nozioni, precetti di cui tutti avevan bisogno, esposti nella forma che meglio li imprimesse nella memoria, e della quale egli possedeva il segreto. C’era dunque una precisa richiesta, alla quale non era facile sottrarsi.

Ed Esiodo, la voce d’oro della Beozia, si trovò spesso in tale condizione. Nella penultima parte de Le Opere e i giorni, lo confessa esplicitamente:

t’insegnerò che modi tener con l’ondísono mare,
sebbene esperienza non ho di viaggi e di navi.


Ora appunto questo presupposto professionale ci irretisce quando vogliamo tentare su questo o quel brano attribuito ad Esiodo un giudizio d’arte. In linea strettamente tecnica, non esistono fra i versi de Le Opere e i giorni, e quelli della Teogonia, dello Scudo d’Ercole ed anche degli altri [p. cii modifica]frammenti, tali disequilibri che ci consentano attribuzioni o esclusioni assolute. Tutti corrono, su per giú, con la medesima scioltezza, tutti se parliamo in senso puramente acustico, presentano la medesima armonia.

Ma si capisce bene che armonia e tecnica intese in significato cosí ristretto non significano molto. Esse sono la materia plastica mediante la quale si estrinsecano le immagini del poeta. Che può essere preziosa quanto si vuole; ma finché non vi spira l’alito della ispirazione, rimane fredda e inerte, senza l’ebbrezza e il fascino della vita.

Cosí riesce spiegata la differenza grande che intercede fra le parti sentite e le meno o affatto, de Le Opere e i giorni: cosí, e tanto piú, riesce spiegata la distanza di tòno artistico che separa nel complesso il poemetto principale dai frammenti dei secondarii. Che cosa sono, in genere, questi frammenti? Brani che i grammatici riferivano a illustrazione di leggende, di fatti metrici o grammaticali: mai o quasi mai a scopo artistico. Quindi non erano certo il fiore delle opere spogliate. E il solo confronto legittimo è fra essi e i luoghi piú stanchi delle Opere e della Teogonia. Istituitelo, e vedrete che i frammenti non ci scàpitano troppo.

Bisognerebbe conoscerne qualcuno nella sua integrità, di questi poemetti. A buon conto, nelle Eoe (a cui, del resto, i migliori critici dell’antichità non contesero la paternità esiodea) il frammentino che descrive la sterilità piombata sulla terra, non sfigurerebbe ne Le Opere e i giorni.

Ciò posto, mi sembra che non emerga la necessità assoluta di contendere ad Esiodo la paternità di tutti i poemetti minori.

Poeta ufficiale della Beozia, nei suoi versi, che i suoi compaesani ascoltavano piú volentieri di quelli d’ogni altro poeta, egli trattava tutta la materia che poteva a quelli [p. ciii modifica]interessare, e che qualche volta, chi sa, potrebbe anche essergli stata suggerita.

E allora, certi argomenti lo interessavano poco, come, forse, le Eoe, certi di piú, come la Teogonia, certi coincidevano con la sua vera profonda sensibilità artistica, come Le Opere e i giorni. E qui il vento dell’ispirazione armonizzava i suoi versi, imprimeva in essi l’arcana virtú onde riuscirono ad attraversare i secoli. Negli altri illanguidiva via via con lo scemare dell’interesse. Onde la mancanza di fàscino, che riuscirebbe cosí spiegata senza ricorrere alla ipotesi della diversa paternità. Se non ci fosse la documentazione, chi mai, leggendo certi racconti o certe commediole del Cervantes, potrebbe crederle del medesimo poeta che ideò e scrisse il Don Chisciotte?

A parte la questione della paternità, tutti questi poemetti presentano alcuni tratti comuni — quasi tutti esemplificati in ciascuno di essi, in parte anche nei frammenti, che imprimono a tutti un’aria di parentela, e, dunque, caratterizzano l’antica poesia della Beozia. E sono, riassumendo:

A) Nel lato negativo:

Disinteresse per la massa dei miti achei, che si rivela nella omissione o nella stanchezza della trattazione.

Disinteresse per gli splendori della vita achea dipinta nei poemi d’Omero.

Disinteresse per le belle fantasie, e non eccessivo interesse per la bellezza in genere.

B) Nel lato positivo:

Visibile interesse per un gruppo di miti che sembrerebbero gravitare intorno ad una famosa dinastia — dei Giapètidi — , e per altri miti in parte uniti alla leggenda dei Giapètidi, ma [p. civ modifica]in origine, secondo ogni verisimiglianza, indipendenti, come quello di Pandora, o della beffa dell’ossa del bove, e in parte, assolutamente indipendenti, come quello delle cinque età del mondo. Miti di sapore contadinesco, democratico, satirico, quali potevano convenire appunto ad un popolo di agricoltori, come il Beota.

Interesse per la realtà, massime per l’umile realtà, e per la vita contadinesca, popolare, borghese.

Passione per l’orrido, che talvolta diviene addirittura amore pel brutto.

Interesse per un tipo di religione assai differente dall’omerico, e che dové esser il tipo originario pelasgico.

Sentimento profondissimo della campagna e della vita agreste.

Fortissima tendenza gnomica.

Tendenza ad introdurre elementi soggettivi e personali.

Elementi magici.

Or tutti questi elementi positivi formano un carattere di poesia che risulta, punto per punto, antinòmico a quello di Omero. È, possiamo dirlo quasi con certezza, la poesia dell’antico popolo pelasgo. Germinata, come presso ogni altro popolo, insieme coi primi fulgori della civiltà, essa rimane a lungo allo stato nebuloso o condensata qua e là in forme primordiali: e séguita a vivere tenacemente, sulle labbra e nel cuore del popolo, anche durante il periodo della invasione achea. Soffocata e nascosta sotto il gran fiume riscintillante della poesia omerica, mantiene però vivi i suoi semi. E quando il fiume è trascorso, rigermogliano, e verdeggia ai nuovi soli la breve fitta selva della poesia esiodea.

E l’influsso omerico è ognor presente: e se ne possono scoprire, anzi misurare precisamente le tracce (ed è stato fatto). Ma non la materia importa, bensí lo spirito. E quanto allo [p. cv modifica]spirito, possiamo dire che dovunque si fa sentire questo influsso, qui sono le parti languide, vizze, caduche. E nelle pari, rigogliose e vitali quell’influsso manca, e si afferma libero e immune lo spirito originario beota.


Note

  1. Una trattazione un po’ antiquata, ma assai diligente e precisa e ragionata, è quella di Giovanni Canna nel suo studio Le Opere e i giorni d’Esiodo (in «Scritti Letterarî», Casale Monferrato, 1919, pag. 17 sg.). Utile anche per vedere come il risultato di tante e tante controversie impostate su problemi inutili o male proposti, si riduca a un pugno di mosche.