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civ ESIODO

in origine, secondo ogni verisimiglianza, indipendenti, come quello di Pandora, o della beffa dell’ossa del bove, e in parte, assolutamente indipendenti, come quello delle cinque età del mondo. Miti di sapore contadinesco, democratico, satirico, quali potevano convenire appunto ad un popolo di agricoltori, come il Beota.

Interesse per la realtà, massime per l’umile realtà, e per la vita contadinesca, popolare, borghese.

Passione per l’orrido, che talvolta diviene addirittura amore pel brutto.

Interesse per un tipo di religione assai differente dall’omerico, e che dové esser il tipo originario pelasgico.

Sentimento profondissimo della campagna e della vita agreste.

Fortissima tendenza gnomica.

Tendenza ad introdurre elementi soggettivi e personali.

Elementi magici.

Or tutti questi elementi positivi formano un carattere di poesia che risulta, punto per punto, antinòmico a quello di Omero. È, possiamo dirlo quasi con certezza, la poesia dell’antico popolo pelasgo. Germinata, come presso ogni altro popolo, insieme coi primi fulgori della civiltà, essa rimane a lungo allo stato nebuloso o condensata qua e là in forme primordiali: e séguita a vivere tenacemente, sulle labbra e nel cuore del popolo, anche durante il periodo della invasione achea. Soffocata e nascosta sotto il gran fiume riscintillante della poesia omerica, mantiene però vivi i suoi semi. E quando il fiume è trascorso, rigermogliano, e verdeggia ai nuovi soli la breve fitta selva della poesia esiodea.

E l’influsso omerico è ognor presente: e se ne possono scoprire, anzi misurare precisamente le tracce (ed è stato fatto). Ma non la materia importa, bensí lo spirito. E quanto allo