Poemi (Esiodo)/Prefazione/L'arte in Beozia

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Esiodo - I poemi (Antichità)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1929)
Prefazione - L'arte in Beozia
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L’ARTE IN BEOZIA


Un esame dello svolgimento delle arti figurate in Beozia, quale si delinea dagli scavi e dalle recenti ricerche, offre un interessante parallelo con queste conclusioni.

Già da piú d’uno fu osservato che un vivo amore, un profondo sentimento della campagna si rivelano nei vasi di Gamèdes, ove scene campestri sono trattate con uno spirito realistico e con un gusto dell’agricoltura assai raro nei ceramisti greci1.

Ed altre arcaiche figurazioni ceramiche della Beozia, massime un vaso di Tanagra a forma di tripode, offrono suggestivi paralleli coi demonietti, i mostri, le belve dipinte da Esiodo, e massime con le scene dello scudo di Ercole2.

Ed anche piú significativo è il gruppo di statue arcaiche di Apollo, trovate fra le rovine del tempio di Apollo Ptoo negli scavi di Perdicovrysi, presso il villaggio di Karditza, (l’antica Acrefia, ad est della palude Copaide).

Quanti hanno qualche familiarità con l’arte greca [p. cvii modifica]antichissima, sanno che in tutte le regioni dell’Ellade son diffuse una quantità di arcaicissime statue che, pure essendo sculte in marmo, ricordano gl’idoli primitivi intagliati nel tronco d’un albero. È assai verisimile che siano tutte quante repliche d’un prototipo unico, d’un famoso Apollo scolpito dagli artisti cretesi, Diponois e Skillis, che lavoravano nel Peloponneso verso la fine del secolo VII. Ma il tipo unico prende varia impronta nei varii paesi. E siccome quasi tutte queste statue sono di gran mole, e dunque difficilmente se ne può supporre la provenienza straniera, esse valgono come sicuri indici di attitudini, di tendenze, di artistica sensibilità locale.

E le impronte d’un’arte indigena sono visibili piú che altrove in questo gruppo del tempio d’Apollo Ptoo.

E udiamo senz’altro le parole di Holleux, lo scopritore: parole che hanno singolare importanza, perché immuni d’ogni tendenza dimostrativa, e scritte in tempi in cui le idee da noi esposte intorno alle origini greche, erano ancora oscure ed incerte. «I primitivi scultori della Beozia, — dice Holleux3 — hanno piú sentimento che talento: poca perizia, ma molta scioltezza: le loro opere rimangono assai lontane dalla perfezione plastica, ma sono assai vicine alla natura: essi ignorano quello che si può imparare, ma posseggono istintivamente alcune qualità che non si acquistano».

E a proposito d’una testa di pietra trovata il 1885, il Diehl, ponendola a confronto con l’Apollo d’Orcòmeno, anch’esso, forse, di mano beota, ma piú pedissequo all’originale, dice che «la sua energia brutale e la singolare espressione segnano già una vera originalità. Certo — soggiunge — l’opera è piena di difetti; ma anche d’intenzioni e di promesse. Sotto la mano ancora inesperta si sente un desiderio d’osservare, d’imitar la natura, una sincerità coscienziosa ignota alle [p. cviii modifica]sculture d’Orcòmeno. - Specialmente notevole la sincerità del lavoro, che, senza partito preso, senza sistema, senza traccia di manierismo, persegue, piú per istinto naturale che con lo studio, la ricerca della verità plastica»4. Proprio cosí. È tanta l’espressione vitale di quelle figure, che un acuto investigatore delle origini greche5 ha creduto di poterne indurre il tipo etnico dell’antico Beota autoctono. «Non bisognerà riconoscere un contadino d’Acrafia, in questo Apollo6, fratello di quello d’Orcòmeno, col suo viso quadrato, la larga fenditura della bocca, la gagliarda presenza, le cosce grosse, la robusta ossatura? O piuttosto in quest’altro, col viso pieno, le guance grosse e rotonde, le labbra fini e atteggiate a lieve sorriso, fisionomia beata d’un campagnolo che non sdegna la ribotta, e si compiace fra sé e sé all’idea d’un abbondante raccolto?».

È proprio cosí. Di fronte allo spirito dell’arte quale sin da questo periodo arcaico si determina in quasi tutte le altre province della Grecia, e che mira a stilizzare, a cercare cànoni e formule e prototipi ideali da condurre lentamente alla perfezione, senza badar troppo alla realtà analitica, qui abbiamo gl’indici d’una osservazione dal vero amorosa e paziente.

Non vediamo che questa tendenza dia frutti nel gran periodo classico, nel quale altri indirizzi prevalgono, portando l’arte greca ai suoi culmini prodigiosi; ma poi, ad un tratto, ecco la graziosissima e copiosissima fioritura delle figurine di Tanagra.

Ebbe luogo, a quanto pare, nel sec. IV a. Cr., quando in Grecia tutta l’arte accenna ad emanciparsi dalla tirannia della tradizione, della solennità religiosa e della tendenza [p. cix modifica]idealizzatrice, che la faceva sboccare in un carattere generico, e fosse pur sublime, per osservare la vita, ed esprimere il vero individuale. Ma mentre tutte le forme si avvicinano a questo nuovo ideale per gradi congiunti, le figurine di Tanagra lo realizzano di colpo, ed esclusivamente. Il genio della stirpe, dopo una lenta germinazione, le cui fasi sono per noi ignote, e forse, oramai distrutte, riprende il suo cammino sopra il solco nativo. E questa tarda fioritura conferma così il carattere che sembra si possa attribuire alle antichissime manifestazioni dell’arte beota.

E un altr’ordine di monunenti credo si possa ricordare a proposito della poesia esiodea: e cioè le figurazioni ceramiche trovate a Tebe nel tempio di Diòniso Cabirio7. Pare che appartengano anch’esse al principio del sec. IV (io le crederei anche un po’ anteriori, ma è una impressione). E se nella tecnica presentano la medesima scioltezza e il medesimo senso della realtà rilevate nelle statue del tempio di Apollo Ptoo, dimostrano poi un senso straordinario di grosso umorismo contadinesco, che investe cosí la vita quotidiana (danze, banchetti, cacce, processioni) quanto, e piú, la vita eroica e la vita dei Numi.

Gli stessi caratteri, su per giú, che improntano la superstite poesia esiodea.


Note

  1. Daremberg et Saglio all’articolo Vasa.
  2. Archäologische Zeitung, 1881, tav. 3-4.
  3. Bull. de corr. hellénique, XI, 360.
  4. Diehl, Excursions archéologiques en Grèce, p. 195-96.
  5. A. Jardé, La formation du peuple grec, (1923). p. 119.
  6. Bull, de corr. hellénique, 1886, tav. IV.
  7. Pubblicate nelle Athenische Mitteilungen, 1887, p. 269, e 1888, pag. 81, 87, 412 sg.