Piccoli eroi/Ultimi giorni
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ULTIMI GIORNI.
Maria si sentiva stringere il cuore al pensiero di lasciare quel casolare di campagna dove avea passato due mesi deliziosi e dove s’era trovata tanto bene: ai ragazzi pareva addirittura di andare in prigione ed erano tutti imbronciati all’idea di lasciare quella vita all’aria aperta, allegra e spensierata per riprendere la via della scuola ed essere obbligati a stare delle lunghe ore immersi nello studio.
Maria avea detto che anche le cose migliori devono finire, che quella vita era bella perchè diversa da quella di tutti i giorni, ma che bisognava decidersi a ritornare in città.
Incominciò ad occuparsi con ardore dei preparativi della partenza, tanto per stordirsi e sentir meno il distacco da quei luoghi piacevoli e da tante persone simpatiche, alle quali avea posto affezione.
Era verso l’ora del tramonto dell’ultima giornata di villeggiatura e un’ombra di tristezza passava sulla fronte serena della fanciulla all’idea delle lotte quotidiane che l’aspettavano in città per far studiare i suoi fratelli e tener disciplinata quella schiera irrequieta.
Quando vennero don Vincenzo e il professor Damiati per passare quelle ultime ore nella sua compagnia, erano dispiacenti anch’essi di dover interrompere la piacevole consuetudine di vedersi tutti i giorni, e di veder partire i loro amici.
La sera era bella e piena di profumi, e stettero fuori per un po’ di tempo, girando per il giardino e contemplando la luna che sorgeva sull’orizzonte come un disco infocato.
I ragazzi presero in mezzo a loro don Vincenzo, e gli fecero raccontare un episodio del quarant’otto.
Maria e il professore passeggiavano lentamente rimpiangendo i bei giorni passati, e formando progetti per l’anno venturo, quando si sarebbero ritrovati insieme, in mezzo a quelle colline.
— Verrà a vederci qualche volta anche in città? — disse Maria. — Se sapesse il bene che mi ha fatto coi suoi consigli e il suo aiuto! — soggiunse. — Anche Carlo dopo le sue lezioni è un altro ragazzo, ha preso amore allo studio, e credo che passerà l’esame; non so in qual modo esprimerle la mia riconoscenza, per quello che ha fatto per noi.
— Non mi faccia andare in collera, — rispose il professore. — Che cosa dovrei dire io, che dopo averla conosciuta, dopo essere stato ammesso come amico nella sua famiglia, mi sono riconciliato col mondo? Vede, avevo avuto dei dispiaceri, ero disilluso; certe virtù credevo che non esistessero che nei romanzi, e lei mi ha fatto ricredere; poi sa, che la storia dei suoi piccoli eroi m’ha interessato molto? sa, che ha una grande facilità di raccontare e tener desta l’attenzione cogli scritti, e mi sorprende come non abbia mai pensato di pubblicare i suoi racconti, che mi piacerebbero tanto?
— Senta, professore, — disse la fanciulla, — è poco tempo che ci conosciamo, ma mi pare di parlare ad un vecchio amico, e voglio aprirle intero il mio cuore. Quando viveva la mamma, ed io ero una ragazza spensierata, non avendo altre occupazioni che i miei studi e i miei giuochi, avevo fatto anch’io un bel sogno; ed era di poter un giorno mettere sulla carta tutte le fantasie che mi passavano pel cervello, i sentimenti che traboccavano dal mio cuore, e poi di poter spargere quelle fantasie per il mondo, in modo che capitassero nelle mani di altre fanciulle, a portar loro qualche ora di distrazione o d’obblio, e così, avere in qualche angolo del mio paese delle amiche sconosciute che mi volessero bene, e che pensassero a me con simpatia, oppure aver la speranza di confortare un dolore, di far vibrare un cuore assopito, e dopo morta, lasciar ancora qualche cosa di me, e forse la parte migliore del mio pensiero. — Ero troppo orgogliosa, e sono stata punita, — soggiunse con un sospiro. — Non è stato che un bel sogno.
— Che potrebbe però realizzarsi, — disse il professore.
— I sogni rimangono sogni, e forse è meglio così, — rispose Maria. — Ed ecco la realtà, — soggiunse, accennando ai fratelli, che s’avvicinavano, per rientrare in casa. — Ora, — riprese avviandosi dietro a loro, — tutti i miei sforzi devono mirare soltanto al loro benessere, ogni individuo è un mondo da studiare, ogni mente un campo da coltivare, e quando si hanno i figliuoli, dobbiamo dedicarci interamente a loro, nè è possibile che ci sia tempo da pensare ad altro.
— E a sè non penserà mai? nemmeno se un giorno un onest’uomo che le piacesse, la supplicasse d’essergli compagna per tutta la vita; se le balenasse la prospettiva d’avere i suoi proprii figli da educare, rifiuterebbe l’amore e la felicità?
— Certo, finchè i miei fratelli avranno bisogno di me.
— Cioè, finchè le sue sorelle avranno trovato marito, e i suoi fratelli una occupazione.
— Naturalmente.
— Ma sarà vecchia allora?
— Pazienza, sarò contenta d’aver compiuta la mia missione.
— Lei è una santa che vorrei adorare in ginocchio, — disse il professore.
Intanto erano tutti rientrati, e quando furono seduti intorno alla tavola, la conversazione si fece generale.
I ragazzi volevano che Maria raccontasse la storia d’un altro piccolo eroe, ma le era impossibile: non ne avea voglia; poi la sua collezione era esaurita.
Allora il professore disse ch’egli sapeva la storia d’un eroe che valeva più di tutti quelli di Maria.
— Ce la racconti, — disse Giannina.
— Andiamo, incominci, ch’io farò le illustrazioni, — saltò su Mario.
— La storia del mio eroe, o meglio della mia eroina, si racconta in poche parole, — disse il Damiati.
— Si tratta d’una fanciulla, che godeva la vita spensieratamente come voi, aveva un bel sogno che la riempiva di gioia, dei pensieri che le illuminavano la fantasia e che un giorno spontaneamente rinunciò alle aspirazioni di gloria, ai sogni di felicità, ai suoi piaceri, alla sua giovinezza, per dedicarsi interamente a dei fanciulli che non erano suoi, e così condusse una vita di sacrificio e d’abnegazione, sempre serena, sempre sorridente, senza lagnarsi mai, contenta della sua sorte.
Eppure ne aveva delle noie per la sua giovane età! pensate: un ragazzo non voleva studiare, una ragazza egoista e vanerella, un terzo studioso, ma disordinato, poi una bimba da educare, un birichino da dover frenare, e le toccò questa fatica, mentre era ancora nel fior degli anni. Forse col tempo quei ragazzi comprenderanno il suo immenso sacrificio e l’apprezzeranno, e forse invece la ricompenseranno coll’ingratitudine.
— Questo no! — proruppe Vittorio avvicinandosi a Maria, e saltandole al collo per abbracciarla.
— Cattivo professore! — esclamò Giannina, seguendo l’esempio del fratello.
— È la storia di Maria, — dissero Carlo ed Elisa, raggruppandosi tutti intorno alla sorella.
— Ha ragione, signor professore, è una vera eroina.
— Vediamo come la pensa Mario, — disse Damiati, strappandogli la carta che stava scarabocchiando.
— Bravo Mario! — esclamò mostrando il disegno. — È la prima volta che ha fatto qualche cosa di buono.
Non era una delle solite caricature, ma il disegno rappresentava Maria colla sua faccia dolce da madonnina, ed un’aureola intorno al capo come una santa, e ai suoi piedi i suoi fratelli in atto di adorarla, promettendo d’esser buoni per far contenta la loro mammina.
— Bravo! — gridarono tutti in coro.
— Benissimo, — disse don Vincenzo, — Mario diventerà un buon artista, perchè ha del cuore, — e rivoltosi a Maria, soggiunse: — Se poi con una sorella come voi, non facessero tutti il loro dovere, sarebbero davvero ingrati.
Maria era confusa, non trovava parole per rispondere, e sentiva una dolcezza che le veniva dal cuore, e le faceva venir le lagrime agli occhi; teneva la testa bassa, baciando Mario e Giannina per non far vedere la propria commozione, e balbettava:
— È un tradimento, è un vero tradimento.
Ma quando più tardi salutò il professore e don Vincenzo, si sentì prendere da una malinconia dolce e tranquilla, e le pareva che il suo cómpito fosse più facile, dopo che aveva avuto l’approvazione dei suoi amici, e quella prova di affetto dai fratelli, e si sentiva d’essere più agguerrita nel rientrare in città a ricominciare la vita di tutti i giorni; e salutandoli disse loro con un sorriso:
— Non compiangetemi, sono tanto felice!
Fine.