Piccoli eroi/La fiera
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LA FIERA.
La mattina, mentre Maria colle sorelle ed Angiolina attendevano alle faccende domestiche, i ragazzi solevano fare una passeggiata fino al villaggio.
Un giorno ritornarono tutti animati, allegri, raccontando che nei giorni seguenti ci doveva essere la fiera del villaggio: avevano letti gli avvisi che promettevano feste, fuochi e luminarie: poi in piazza incominciavano già a piantar banchi, baracche, per mostrare fenomeni viventi, un teatro di burattini, una giostra e tante altre cose; doveva proprio essere una vera baldoria, ed essi erano contenti pensando di approfittare di tutti quei divertimenti.
Maria disse chiaro e tondo che non li avrebbe lasciati andare a divertirsi se prima non avessero dedicato qualche ora allo studio, perchè ci doveva esser tempo per tutto e che non pensassero di starsene in piazza tutto il giorno.
Carlo ed Elisa non volevano intendere quelle ragioni, e replicarono che durante la fiera volevano far festa, come tutti quelli del villaggio, e facevano progetti di divertirsi, d’assistere a quegli spettacoli, e già, prima del tempo, cominciavano a distogliere la mente dallo studio. Maria con quei due ragazzi pigri ed insubordinati si sentiva scoraggiata e avvilita nella sua impotenza di renderli ubbidienti.
Guai se gli altri non l’avessero compensata delle sue fatiche colla loro dolcezza di carattere e colla loro ubbidienza! Specialmente Giannina la rendeva contenta cercando d’imitare l’Angiolina, la quale era una perfetta massaia e una ragazza ben educata e piena di cuore.
Maria era sempre più contenta d’aver invitata l’Angiolina, perchè colla sua operosità dava il buon esempio alle altre. Essa la mattina si alzava prima di tutti, e dopo aver dato aria alla camera ed essersi lavata e pettinata, rifaceva il suo letto ed anche quello di Elisa, la quale non finiva mai di star allo specchio a ravviarsi i capelli, e non le parea vero d’avere un’amica che facesse anche la sua parte di lavoro.
— Come sei buona! — le diceva, — ma che non sappia Maria che sei tu quella che metti in ordine la camera, altrimenti mi sgrida.
— Mi piace tanto, mi fa tanto bene questo moto, diceva l’Angiola; e intanto andava di qua e di là a spolverare i mobili, e quando aveva finito scendeva per dare una mano a Maria e alla donna di servizio.
Poi si mettevano tutte a lavorare, e quel giorno appunto dovevano terminare di orlare delle lenzuola, e ci si misero tutte e tre con molta assiduità per restare libere pei giorni di fiera. Angiolina rimpiangeva la macchina da cucire della sua mamma, ma la Maria diceva che aveva piacere che le sorelle s’avvezzassero a cucire a mano; esercitavano così la pazienza, stavano tranquille e potevano chiacchierare.
— Le macchine, — disse, — vanno bene quando c’è fretta, ma forse sono una delle ragioni per cui le donne al giorno d’oggi sono tanto nervose, non dico per te, Angiolina che sei un’eccezione; ma mi pare più sano raccogliersi intorno al tavolino e stare assieme a discorrere. Guardate come sta bene Giannina, orlando il suo fazzoletto. — Infatti quella bimba lavorava con una grazia che faceva venir voglia di baciarla.
Mario si annoiava quando le ragazze lavoravano, e andava a tirar loro le trecce e non le lasciava un momento in pace.
— Bada che domani non ti conduco alla fiera, — disse Maria, — se non stai tranquillo.
— M’annoio, — disse Mario.
— Fa qualche cosa.
— La vostra caricatura, allora.
— Quello che vuoi, basta che ci lasci quiete.
Ma mentre le ragazze facevano andar l’ago sulla tela colla massima rapidità, i ragazzi erano distratti e continuavano a parlare dei divertimenti che avrebbero goduto il giorno appresso.
Mario tutt’a un tratto nel temperare la matita si tagliò un dito, e andò da Maria pallido per lo spavento.
— Non è nulla, — disse la fanciulla, e legò con un fazzoletto il dito tagliato. Andò poi a prendere nell’armadio la cassetta della farmacia, ne tolse cotone e pezzuole fenicate, e con queste, legò stretto il dito del fratello raccomandandogli di star tranquillo e di star più attento un’altra volta.
L’Angiolina le chiese perchè adoperasse quelle pezzuole che puzzavano, invece di un semplice pezzo di tela. Allora Maria spiegò come è sempre più prudente di fasciare una ferita con roba disinfettata.
— Vedi, — disse, — noi siamo circondati da microbi, cioè da animali invisibili che se penetrano nell’organismo ci possono avvelenare il sangue e farci molto male. Quando la pelle è tagliata, è come se ci fosse una porta aperta per lasciarli entrare; sicchè è sempre meglio adoperare sostanze che riescono loro nocive.
Angiolina stava ad ascoltarla a bocca aperta; poi dopo aver pensato un momento, disse:
— Ma quella volta che la mamma si ferì la mano colla macchina da cucire, se io l’avessi fasciata come il dito di Mario, non le sarebbe venuta la risipola?
— Probabilmente no, — rispose Maria, — perchè quello è un male che viene spesso da infezione del sangue.
— Pensare che s’io avessi saputo queste cose la mamma non avrebbe sofferto tanto! Ma m’insegnerà, non è vero, tutto quello che sa di medicina? — disse rivolgendosi a Maria.
— Volentieri. Prenderai degli appunti, come ho fatto io stessa, e come desidero che facciano anche le mie sorelle; nella vita non si sa mai quello che può accadere, ed è una grande soddisfazione prevenire i mali che possono venire ad una persona di famiglia e saperli curar bene.
— Ma dimmi, una volta non c’erano questi microbi? — chiese Giannina.
— C’erano, — rispose Maria, — ma nessuno lo sapeva, perchè non si potevano vedere; fu l’invenzione dei microscopii potenti, che fece scoprire tutto un mondo invisibile, e fu l’ingegno di grandi scienziati che a furia di studii e d’esperienze riuscì qualche volta a trovar il modo di combattere questi nemici. Un tempo quando uno era ferito gravemente, gli si faceva un’operazione chirurgica, e la morte era molto probabile: ora invece coi nuovi sistemi questo pericolo è molto diminuito.
Angiolina stava attenta a quei discorsi come se si trattasse di un racconto fantastico.
— Come è bella la scienza e quanto mi piacerebbe studiarla! Ma mi dica, se non si hanno alla mano dei disinfettanti, come si fa?
— Si può sempre lavar la ferita coll’acqua bollita, perchè ad un certo grado di calore tutti i microbi muoiono e l’acqua bollita è già disinfettata.
Mario, che era pauroso e sentiva dolore nella ferita, era tutto pallido e temeva di aver qualche microbo; la sorella lo rassicurò, ma volle cambiare discorso, promettendo ad Angioina di darle una lezione di medicina domestica in seguito, tranquillamente, dopo finito il chiasso della fiera.