Piccoli eroi/Il procaccia
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IL PROCACCIA.
Angiolina era andata a prendere il manoscritto e l’avea posto davanti a Maria, mentre tutti gli altri stavano intorno alla tavola attenti ad ascoltarla.
— Quest’oggi — disse Maria — è una storia molto semplice, e forse dopo i fatti eroici di ieri sera non riuscirà ad interessarvi; procurerò di esser breve. — E preso il manoscritto incominciò:
Siamo in un tugurio sopra una montagna; intorno, delle praterie, verdi l’estate, e l’inverno coperte di neve, delle cime aguzze di monti con boschi di abeti neri e di tratto in tratto qualche capanna, qualche casolare, in mezzo a quella solitudine
In una camera povera, affumicata e quasi spoglia, se ne sta rannicchiata accanto al fuoco una donna dall’aspetto macilento e tremante dal freddo.
Un ragazzo entra portando un fascio di legna.
— Ecco, mamma, della legna per riscaldarci.
— Se bastasse! — disse la Maddalena con un sospiro, — ma bisogna mangiare,
— Abbiamo ancora della farina, — rispose il ragazzo che si chiamava Antonio, — poi Francesco m’ha lasciato i suoi quattrini prima di partire.
La donna diede in un sospiro più forte sentendo nominare l’altro figliuolo e disse:
— Se almeno me lo avessero lasciato, non si correrebbe il pericolo di morire di fame, oppure se mi sentissi bene, qualche cosa potrei fare, ma invece me lo mandano soldato ora che avevo più bisogno di lui.
— Ci sono io, — disse Antonio.
— Che cosa vuoi fare tu che sei ancora bambino?
— Ho dodici anni e sono forte, cercherò del lavoro e l’ho promesso anche a Francesco.
— A proposito, che cosa ti ha detto prima di partire? — chiese la donna.
— Nulla! che cercassi del lavoro, anzi scendo al villaggio per vedere se trovo da fare qualche cosa.
Così dicendo uscì, e mentre scendeva la montagna erta e sdrucciolevole per la neve caduta, andava pensando a quello che gli avea detto appunto Francesco prima di partire pel reggimento.
Egli era vissuto fino a quel giorno senza crucci, andando alla scuola, e i giorni di vacanza giocando cogli amici. Avea spesso fatto qualche piccolo servizio al fratello o alla mamma, e all’ora consueta trovava in casa un boccone da mangiare, che, per quanto fosse semplice, gli facea l’effetto di un cibo squisito, ed era vissuto tranquillo e felice come un uccellino.
Ma quella mattina, dopo il discorso fattogli dal fratello, si sentiva trasformato, i suoi pensieri non erano più tanto allegri e gli pareva d’esser già un uomo col peso d’una grande responsabilità.
— Senti, — gli avea detto Francesco, — se non mi chiamavano soldato, non t’avrei parlato di nulla, e non avrei turbato con delle inquietudini la tua età spensierata, ma parto, e devo dirti tutto quello che mi pesa sul cuore da tanto tempo. Tu ora così piccino devi aver molto giudizio e fare il capo di famiglia.
— E la mamma? — avea detto Antonio.
— Povera mamma! Non sai che è molto ammalata? il dottore dice che ha mal di cuore e non deve aver pensieri nè inquietudini, ha bisogno di mangiar bene e di non faticare; insomma, bisognerebbe essere ricchi, oppure ch’io potessi pensare per tutti, invece ora a lei devi pensarci tu, finchè sono via; ti raccomando, sai, bada che quella povera donna non soffra, fa tutto il possibile, magari chiedi l’elemosina, ma procura che non le manchi un po’ di pane; io, sta tranquillo, cercherò di mandarti qualche soldo, ma che cosa può fare un povero soldato!
Antonio pensava a questo discorso e a Francesco che nel farglielo avea le lagrime agli occhi, e rammentava come l’avea preso fra le braccia stringendolo stretto contro la sua faccia, quando gli promise di lavorare e guadagnare il pane per sè e per la mamma ammalata.
Ma ora in quella strada deserta, intirizzito dal freddo, vedeva che era più difficile di quello che avesse immaginato.
Se fosse la buona stagione, pensava, potrei offrirmi a qualche mandriano per pascolare le bestie, ma siamo d’inverno.... Vedremo, giù al villaggio può darsi che trovi qualche occupazione.
Egli nella sua mente vagheggiava i tempi delle fate, quando bastava esser buoni e ubbidienti, per veder subito qualche fata accorrere ad aiutarci; egli sarebbe stato tale per meritare la protezione di una buona fata, e si guardava intorno se ci fosse qualche animaluccio da salvare, qualcuno da soccorrere, come se fossero ancora quei bei tempi; ma non c’era anima viva, e soltanto udiva il rumore del vento che usciva dalle gole dei monti e scuoteva le cime degli abeti.
Quando vide le prime case del villaggio il suo cuore si aperse alla speranza; in quelle case abitava della gente, e forse qualcuno si sarebbe mosso a pietà di lui.
Camminando adagio per quelle vie deserte, vide aprirsi una porta ed una donna uscire con un paiuolo in mano, per ripulirlo.
Si avvicinò a lei e si fece coraggio di chiederle se avesse qualche occupazione da dargli.
— Posso far di tutto, — disse, — ripulire e lavare la casa, aver cura delle bestie, far delle commissioni.
— Sei matto, — disse la donna; — coi tempi che corrono, non c’è abbastanza da lavorare nemmeno per noi.
Egli proseguì il suo cammino con un sospiro.
Vicino alla chiesa, vide un uomo piuttosto ben vestito che veniva incontro a lui.
Egli si fece avanti, e pensando alla mamma ammalata, a quello che gli aveva detto il fratello, stese la mano per chiedere l’elemosina.
— Non ti vergogni? — gli disse quell’uomo, — alla tua età chiedere l’elemosina! va a lavorare, piccolo vagabondo.
Non chiedeva di meglio che procurarsi del lavoro, avrebbe voluto dirglielo, ma sentì come un gruppo alla gola che gli tolse il respiro e corse via senza dir nulla, vergognandosi.
Cominciava ad essere scoraggiato e pensava se non fosse meglio per quel giorno ritornare a casa, quando udì il rumore della diligenza che arrivava, e non si mosse, nella speranza che quelli che venivano di lontano fossero più pietosi.
La diligenza si fermò davanti all’osteria della Posta, ed egli corse subito per togliere ai viaggiatori le sacche, gl’involti che avevano in mano, e per aiutare a scaricare i bauli. Ma l’oste che al rumore della diligenza era uscito, diede uno scappellotto ad Antonio dicendogli:
— Levati dai piedi, non abbiamo bisogno del tuo aiuto.
Il povero ragazzo non potè più resistere e diede in uno scoppio di pianto.
La figlia dell’oste, uscita anch’essa all’arrivo dei viaggiatori, ebbe compassione di quel ragazzo e si avvicinò domandandogli che cosa avesse.
— Volevo guadagnarmi qualche soldo aiutando a scaricare i bauli; ho tanto bisogno di trovar lavoro, colla mamma ammalata e mio fratello soldato, ma sono troppo disgraziato, dovrò tornare a casa a mani vuote.
La fanciulla fu commossa dalle parole di quel ragazzo che le pareva sincero, e pensò di aiutarlo.
— Vieni, — disse, — ti darò un po’ di brodo per riscaldarti.
— Per me non importa, ma è per la mia mamma che voglio guadagnare qualche cosa.
— Povero ragazzo! — pensò la fanciulla. Poi si rivolse a lui dicendogli: — Posso fidarmi di te? sei forte per portare un pacco sulla montagna nella cascina chiamata Colombara?
— Se sono forte! Lo credo io! Mi dia questo pacco.
— Ma potrai farlo? Non lo lascerai cadere lungo la via?
— No, stia sicura; glie lo giuro! — disse mettendosi la manina sul petto.
— Bada che è pesante.
— Sono forte.
— Ecco, — disse la ragazza consegnandogli un involto alquanto voluminoso; — vedi, è inutile, è più grande di te.
— Non abbia timore, — disse Antonio. Prese un pezzo di legno che trovò in terra, si fece dare una corda e vi attaccò il pacco solidamente e se lo mise dietro le spalle. — Mi pare una piuma, — soggiunse, — domani ritornerò a vedere se ha altri pacchi da consegnarmi.
— Bada di portarlo direttamente alla Colombara, ti daranno venticinque centesimi per la tua fatica; buon viaggio, procura di non sdrucciolare.
— A rivederci domani, — disse Antonio tutto contento e saltellando sulla strada fangosa, come se andasse ad una festa.
Il pacco era pesante, la salita faticosa, ma egli non sentiva nulla, nella sua felicità di poter fare qualche cosa ed essere utile alla mamma; pensava ch’egli aveva trovato una buona fata, e ormai l’ostessa l’avrebbe protetto. Aveva una faccia così buona quella ragazza che si teneva sicuro che non l’abbandonerebbe più, e saliva saliva la montagna con quei pensieri allegri, non sentendo nè il freddo, nè il disagio del cammino; eppure ci voleva circa un’ora per giungere a destinazione, e quando la montagna si faceva più erta egli sentiva il pacco farsi più pesante, ma era pieno di coraggio e andava avanti finchè giunse alla cascina, tutto sudato.
Gli venne incontro una ragazza e gli chiese se avesse una lettera per lei.
— Non m’hanno consegnato che questo pacco, ma domani ritorno in paese e domanderò se vi sono lettere per voi, — disse Antonio.
— Ricordati, — le disse la fanciulla, — per ogni lettera che mi porterai ti darò un soldo, prendi intanto. — E gli diede i cinque soldi per il pacco ed un bicchiere di vino per giunta.
Antonio discese la montagna canterellando, egli aveva un progetto con cui sperava di mantenere la sua mamma, e gli pareva già d’esser ricco.
Giunse a casa allegro portando una bottiglia di latte e un po’ di pane, comperato lungo la via.
Trovò la mamma inquieta della sua lunga assenza.
— Bisognerà bene che tu mi lasci andare se vuoi che guadagni da vivere; non sono più un bimbo io, e non c’è pericolo che mi perda.
Essa si mostrò contenta del figliuolo, ma pensava sempre al suo Francesco che era lontano, e tutte le volte che Antonio ritornava dal villaggio, gli chiedeva ansiosa se avesse ricevuto lettera dal fratello.
In pochi giorni Antonio era diventato il corriere della montagna. Aveva tanto pregato Rosa, la figlia dell’oste (ch’egli si ostinava a riguardare come la sua buona fata), che affidasse a lui tutti i pacchi e la corrispondenza della montagna, che malgrado la sua giovinezza glielo aveva accordato. Sempre però gli diceva:
— Bada che non sia troppa fatica e troppa responsabilità per un ragazzo come te; se perdessi una lettera, guai! non ti darei più nulla e dovresti pagare la multa.
Ma Antonio la rassicurava, e la supplicava di lasciare a lui quell’incarico, affinchè potesse guadagnare qualche soldo, per poter comperare il pane alla sua mamma.
E così, ogni mattina, scendeva al villaggio, ed era tutto felice quando la diligenza portava tanti pacchi e tante lettere per gli abitanti della montagna, e bisognava vedere come si caricava, tanto che qualche volta la sua personcina scompariva sotto quella massa di roba; ma più ne aveva, più era contento, e girava la montagna per delle ore, finchè avesse tutto consegnato all’indirizzo preciso.
Il ragazzo era ormai un amico per gli abitanti di quei casolari, che gli venivano incontro col sorriso sulle labbra, in attesa di notizie dei parenti lontani.
La ragazza che abitava alla Colombara stava ad attenderlo sempre sull’uscio, nella speranza che le portasse qualche lettera del suo promesso sposo, ch’era soldato; essa lo faceva sempre entrare a riscaldarsi, e non mancava mai di dargli un bicchiere di vino o una ciotola di latte; gli faceva anche delle confidenze e gli raccontava quello che Enrico le scriveva, quando egli le portava una lettera.
E Antonio le parlava di Francesco che era soldato anche lui, e le raccontava che aveva voluto andare a Massaua in un paese lontano lontano, dove si moriva dal caldo, ma per guadagnare di più; e ciò gli dava pensiero perchè le lettere tardavano a venire, e per non vedere inquieta la mamma dovea dirle che aveva avuto notizie, anche se non ne sapeva nulla.
— Dille che Enrico mi scrive che sta bene, — gli diceva la ragazza, — -sono soldati tutti e due, ed è naturale che essendo dell’istesso paese, si possano conoscere.
E così Antonio diceva sempre alla mamma che Francesco stava bene; l’avea saputo alla Colombara.
C’erano giorni che in paese non arrivava nulla e Antonio dovea tornarsene a casa tutto avvilito d’aver perduta la sua giornata.
Ci fu un periodo di tempo che nevicava forte, e andar per quelle montagne era difficile e pericoloso.
La Rosa lo consigliava di aspettare che il tempo si facesse migliore; ma egli non le dava retta, e quando c’era qualche cosa da portare, voleva andare lo stesso, a costo di arrivare a casa sfinito e assiderato.
Dalle notizie che raccoglieva da quelli che avevano i parenti lontani, avea saputo che in Africa c’era stato un combattimento con morti e feriti, ed egli era in pensiero pel fratello che da tanto tempo non mandava notizie; anche la mamma era inquieta e per calmarla le diceva che Francesco faceva sapere col mezzo d’Enrico che stava bene e li salutava.
Però quella vita cominciava ad esser troppo faticosa per lui, e quel dover tenere tutto chiuso in sè stesso, gli opprimeva il cuore, s’aggiunse che la malattia della mamma s’aggravò ed egli andava al villaggio coll’inquietudine di trovarla peggiorata, ritornando a casa la sera.
Un giorno ebbe come una scossa quando trovò una lettera del sindaco che avea delle comunicazioni da fare alla sua mamma. Non disse nulla e andò tutto solo a sentire la ragione di quella chiamata.
Quando il sindaco gli disse che l’aveva fatto chiamare per dirgli che suo fratello era morto a Dogali combattendo contro Ras Alula, egli non volea credere e stette là ad aspettare che gli dicesse d’aver fatto per celia, ma il sindaco gli confermò la tremenda notizia.
— Consólati, — gli disse, — è morto da eroe, e certo gli daranno la medaglia.
Ma che cosa gl’importava e la medaglia e che fosse morto da eroe, se non sarebbe ritornato, e non l’avrebbe più riveduto! E alla mamma come avrebbe potuto dare quella terribile notizia? No, non era possibile, piuttosto che dirglielo non sarebbe ritornato a casa.
Infatti non disse nulla, ma gli pesava di dover continuare ad ingannarla; andò a consigliarsi colla sua amica alla Colombara, ed anch’essa lo esortò a non dir nulla alla mamma; era inutile affliggerla, poichè non aveva che pochi giorni di vita.
Essa compiangeva il povero Antonio; ma quel giorno era contenta perchè le aveva portata una lettera nella quale Enrico le scriveva che sarebbe presto venuto in congedo.
Essa regalò al suo amico tante cose da portare a casa; delle frutta, della farina e delle uova.
— Prendi, — disse, — almeno che la tua mamma abbia da sostentarsi.
Ma egli non pensava che al suo fratello morto e al segreto che dovea tenere in petto.
Quando entrò in casa volle mostrarsi contento, ma aveva le lagrime agli occhi.
— Perchè hai quella faccia? — gli disse la mamma.
— Sono stanco, ecco.
— E di Francesco non sai nulla?
— Sta bene, me lo dissero alla Colombara.
— Pure dovrebbe scrivere, io sono inquieta, — replicò la povera donna.
Antonio non parlò più in tutta la giornata, e da quel momento avrebbe voluto star tutto il giorno fuori perchè la mamma non gli chiedesse di Francesco. E stava fuori infatti il maggior tempo possibile, e in casa non parlava mai; si era fatto chiuso e muto come una tomba.
Anche la sua mamma era di cattivo umore, si lagnava sempre dei suoi mali, borbottava perchè egli non le raccontava più nulla e Francesco non scriveva.
Ed egli continuava la sua vita faticosa, sempre in giro sulla montagna, carico di pacchi e di lettere, che portavano ora la gioia ora la tristezza nei tugurii di quei montanari.
Un giorno, di ritorno dalle sue escursioni, trovò la mamma che si dibatteva in preda a violente convulsioni fra spasimi atroci; egli corse a chiamare il medico che tentò di calmarla, ma essa era uscita, avea saputo che suo figlio era morto ed era ritornata a casa in quello stato.
Quando incominciò a rinvenire se la prese con Antonio che non le aveva detto nulla, e continuò a rimproverarlo dicendogli che non aveva cuore perchè le avea tenuto nascosto un fatto simile, e l’avea ingannata sulla sorte del suo figlio prediletto.
Antonio, tutto confuso, non sapeva che cosa dire; ma la sua vita diventava più triste e più insopportabile e il suo lavoro più ingrato.
Egli si sentiva la voglia di andarsene solo, lontano, per non sentir più quei rimproveri che sapeva di non meritare; ma poi pensava che senza di lui la sua mamma sarebbe morta di fame e rimaneva.
Pochi ragazzi avrebbero avuto tanta pazienza di sopportare i rimproveri e le ire di quella donna, divenuta quasi pazza dal dolore; ma egli si rammentava le raccomandazioni di Francesco e continuava a lavorare per lei, a curarla quand’era ammalata ed a sopportare pazientemente le sue sfuriate.
E quando un giorno la trovò morta nel suo letto e non lo sgridò più, egli si sentì un groppo alla gola e pianse d’esser rimasto solo al mondo.
Egli continuò a girare quei monti, ma triste, senza parlar mai, con un’idea fissa nel capo: di andar soldato in Africa e di uccidere Ras Alula per vendicare il fratello.
Questa storia aveva interessato molto Carlo, il quale diceva che, sebbene non avesse da vendicare nessuno, sarebbe andato anche lui assieme ad Antonio in Africa, tanto per andare alla guerra.
E Mario alla vignetta che rappresentava Antonio che saliva la montagna sepolto sotto una quantità di pacchi e d’involti, ne aggiunse un’altra, che rappresentava Carlo, il quale, appena incontrato un africano, fuggiva a gambe levate come se avesse veduto il diavolo.