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Noi all’incontro, seguaci di più bella e più consolante dottrina, poco badando al presente, e coll’ansietà del desiderio sempre rivolti al futuro, operiamo a modo dei pellegrini, che, non avendo stabile dimora nel paese per dove passano, si contentano di spiegare una tenda che gli difenda dall’umidità della notte, e li guardi dall’eccessivo calore, nell’ore in cui il sole, troppo direttamente battendo, impedisce la continuazione del viaggio. Sono altro che tende di pellegrini le nostre fabbrichette moderne, quando vogliansi paragonare alle antiche?

E tuttavia, quantunque destinati a rivivere nel futuro, è da far caso del presente, non foss’altro come quello che deve esserne scala, o tragitto per l’avvenire. E in questa considerazione dobbiamo tener stretto conto dell’istante, in quanto appropriato a tale, piuttosto che a tale altra cosa. Due momenti che siano eguali, nella suscettività di rimanere adoperati con pari profitto, non credo si dieno in tutta la vita. E però fu scritto che: ogni cosa ha suo tempo, cosi il nascere come il morire, il piantare e il diradicare, l’uccidere e il sanare, il demolire e il por edifizii, il pianto e il riso, il cordogliarsi e il ballare, il gittar pietre e il raccoglierle, la masserizia e lo spendio, lo stracciare e il cucire, il tacere e il parlare, l’amare e l’odiare, la guerra e la pace. Questa stessa sentenza può volgersi ad istruzione di chi nacque affannoso, e