Piccola morale/Parte quarta/IV. Allegrezza e serietà delle donne

Parte quarta - IV. Allegrezza e serietà delle donne.

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Parte quarta - IV. Allegrezza e serietà delle donne.
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IV.

ALLEGREZZA E SERIETA’ DELLE DONNE.

L’allegrezza e la serietà, quando siano considerate rispetto ai casi particolari della vita che possono eccitarle, o il contrario, sono proprietà individuali di ogni uomo, e generale di tutta la specie. Ma considerate in sè stesse e fuori d’ogni relazione a casi particolari, vediamo essere dispeosate secondo misure diverse ad uno o ad altro individuo. Certamente non avvi persona, che al sopravvenire di una sventura non si rattristi; ma ove questo dolore rimanesi, come suol dirsi, al di qua della pelle, quello s’inviscera profondamente nel cuore. Fermandomi col pensiero a siffatte considerazioni mi parve di poter notare alcune importanti differenze fra sesso e sesso, età ed età, condizione e condizione, giusta le quali differente fosse pure negli uomini la tendenza all’allegrezza o alla serietà. Non volendo per ora distendermi in tutte le varie diramazioni di questo principio, mi contenterò di esporre con <sectione end="s2" /> [p. 221 modifica]discreta brevità le ragioni per le quali mi è sem brato prevalere nelle donne alla serietà l’allegrezza, in opposizione a quanto succede negli uomini. Prima per altro di entrare in questo esame mi è forza dichiarare ch’io non farò punto profitto d’esempi particolari a tale o tal altra persona, ma mi arresterò in vece a mostrare essere corrispondente alla naturale destinazione della donna, posti il mondo e le società tali quali furono a principio ordinati e fino a’ di nostri si veggono, il sentirsi meglio disposta all’allegrezza che alla serietà; e all’incontro essere naturale alla destinazione dell’uomo una disposizione di animo, o di temperamento che si voglia dire, del tutto opposta.

Primieramente egli è da vedere che cosa siano di per loro allegria e serietà. A non entrare in assottigliamenti d’idee, basterà per formarcene un ragionevol concetto e, ciò che più importa, appropriato al soggetto che abbiamo tra mano, il ricordare alcune note individuali a ciascheduno di questi due sentimenti, e cogliere in seguito le differenze più considerabili per la via del confronto. Fu osservato da critico rispettabile, al cui giudizio mi gode l’animo di potermi uniformare, appartenere la serietà più ancora alle impressioni morali che alle sensuali. E invero la serietà, nella più ampia significazione che se le possa dare, è la direzione delle forze dell’anima verso uno scopo. Ma chi voglia render conto a sè stes[p. 222 modifica]so delle proprie azioni si accorge venirgli imposto dalla ragione di non arrestarsi a veruno scopo quando l’abbia raggiunto, come indegno di appagare una nobil natura indirizzata per fini più sempre splendidi, più sempre elevati; di che ne segue quella grande discrepanza tra il bove che si sdraia contento sul campo che lo ha pasciuto, e l’uomo che colla testa alta domanda al cielo qualche cosa di più dopo il pane di lagrime che si è recato alla bocca. Può quindi conchiudersi procedere la serietà dal concentramento delle forze morali, e inoltre esser propria di essa certa operosa inquietudine che mai non si accheta. L’allegria pel contrario è riposta in uno quasi diremo disperdimento, e potrebbe ancora chiamarsi un assopimento della nostra anima, nel quale si lascia alcun poco in discrezione dei sensi, a ripigliar lena da signoreggiarli e rimettersi più vigorosa e sicura sul proprio cammino.

Considerate a questo modo la serietà e l’allegria, non è difficile a vedere di colpo qual sia conveniente alla donna; a quella creatura cioè, nella quale le impressioni sensibili sono tanto squisite, dotata di singolare mobilità, e a cui si fa necessario con più frequeuza il riposo onde abbiamo poc’anzi parlato, in proporzione della maggior debolezza delle sue forze morali, o, se cosi vuolsi, della maggiore vivacità nell’adoperarle. Ma perchè più lungamente raggirarci fra le artezze della metafisica? Un’occhiata al libro più antico [p. 223 modifica]e più augusto che sia in nostro arbitrio di consultare. Che altro è quivi detto della donna, se non esser dessa un aiuto indispensabile all’uomo, a cessargli le angoscie della solitudine? Se questo meglio si faccia da chi sia naturalmente inclinato all’allegria, e da chi abbia per dose soprabbondante nella composizione del proprio essere la serietà, lasciamo a chicchessia il giudicare. Non è per altro da stimare punto men nobile la destinazione della donna perchè inclinata piuttosto che alla serietà all’allegrezza. È nobile, qualunque ella siasi, la propria destinazione, quando regga in accordo colla restante armonia di questo bello e grandioso universo. Addolcire le pene dell’esilio, richiamare il sorriso la donde sembrava per sempre bandito, iuterrompere il necessario raccoglimento colla distrazione non meno necessaria, ed altro di simil genere, che sarebbe troppo lungo il riferire puntualmente, sono ufficii che il sesso gentile se ne abbia da vergognare, o non piuttosto da inorgoglire quando siano adempiuti secondo dovere? Oltre all’avere premesso che da questo nostro discorso vengono esclusi i casi particolari, ne’quali si fa nelle donne ragionevole la serietà, è duopo soggiungere che per allegrezza non vuolsi già intendere quell’immoderato abbandono di tutte le potenze cogitative, il quale è confine alla pazzia di tal guisa da poter essere scambiato per essa assai facilmente. Nè manco alle donne è [p. 224 modifica]conceduto venire alla vita come ad un lieto ballo; e l’antiveggenza del futuro, ingombro sempre di tema e di dubbietà, non tanto deve esser propria dell’uomo ch’esse ancora le donne non abbiano a prendervi qualche parte. Mentre si studiano a diradare colla soavità e gentilezza dei modi la tetra nube che infosca la fronte a quelli che hanno a compagni d’esilio, e a riflettere nell’anime loro intorbidate alcun poco della propria serenità, devono esse pure rimanere impressionate, e, quasi dissi, offuscate in qualche parte da quei tetri vapori che valsero ad allontanare. Il riso sgangherato, non che essere inutile, è oltraggioso al dolore. Era necessario un avvertimento siffatto per ciò specialmente che potevasi da taluno confondere la serietà, secondo il nostro avviso non propria del sesso gentile, colla vereconda tranquillità e col riserbo, che n’è il più bello e desiderabile ornamento. Sono in verità grandemente da deplorare coloro che non sanno discernere la serena calma del vero pudore, dalI affettata rigidezza onde s’arma come di una siepe spinosa il pudore mentito. Non è nelle ciglia sempre aggrottate, nelle bocche sempre raccol te, nelle braccia sempre incollate alle ascelle, che ripari il pudore come in suo proprio nido; v’è una invereconda modestia, e una impudica selvatichezza, non altrimenti che una onorata franchezza, e una disinvolta innocenza.

Non sarebbe inoltre giustizia che si traessero [p. 225 modifica]argomenti per accagionare di falsa la mia sentenza dalle imitazioni che fecero gli artisti dei varii casi della vita femminile. Poeti, pittori, e via discorrendo, quando hanno a rappresentare alcuna azione escono presso che sempre dalla periferia degli avvenimenti ordinarii, e in quanto appunto essa azione si allontana dal giornaliero costume si tiene soggetto opportuno intorno a cui adoperarvi gli artificii dell’arte. E però le donne figurate ne’ poemi e ne’ quadri hanno generalmente una maggiore rassomiglianza cogli uomini di quello si vegga nella vita reale. Tuttavia chi sappia con occhio attento ed indagatore porsi ad esaminare per entro quelle imitazioni, può ad ogni ora scoprire notabilissina la differenza che abbiamo avvertita. Le lusinghe della vita, i prestigii dei sensi, e tutto in somma quel vortice di fenomeni per entro il quale, non altrimenti che fosse un magico cerchio, ci è forza di vivere imprigionati, tengono le donne più assai degli uomini avvinte e soggette. Quindi anche in mezzo alle loro lagrime, e perciò appunto sono desse più ingenue, spunta inavvertito il sorriso; e la loro malinconia non è mai tanto cupa, nè tanto mai disperata quanto quella degli uomini.

Da tutto il detto finora se ne può anche conchiudere che quel difetto onde sono per lo più accagionate le mie care concittadine, cioè di una loro particolare tendenza al buon umore ed [p. 226 modifica]al riso, non sia poi quel tanto gran diffetto che potrebbe a prima giunta sembrare. E difetto, quando pure sia tale, che procede da ciò che vi ha di più naturale all’indole femminile, e dal quale possiamo forse con maggiore facilità guarentirsi, che dalla micidiale cupezza di certe altre anime che sanno mettere a crudelissima usura le proprie lagrime.