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so delle proprie azioni si accorge venirgli imposto dalla ragione di non arrestarsi a veruno scopo quando l’abbia raggiunto, come indegno di appagare una nobil natura indirizzata per fini più sempre splendidi, più sempre elevati; di che ne segue quella grande discrepanza tra il bove che si sdraia contento sul campo che lo ha pasciuto, e l’uomo che colla testa alta domanda al cielo qualche cosa di più dopo il pane di lagrime che si è recato alla bocca. Può quindi conchiudersi procedere la serietà dal concentramento delle forze morali, e inoltre esser propria di essa certa operosa inquietudine che mai non si accheta. L’allegria pel contrario è riposta in uno quasi diremo disperdimento, e potrebbe ancora chiamarsi un assopimento della nostra anima, nel quale si lascia alcun poco in discrezione dei sensi, a ripigliar lena da signoreggiarli e rimettersi più vigorosa e sicura sul proprio cammino.
Considerate a questo modo la serietà e l’allegria, non è difficile a vedere di colpo qual sia conveniente alla donna; a quella creatura cioè, nella quale le impressioni sensibili sono tanto squisite, dotata di singolare mobilità, e a cui si fa necessario con più frequeuza il riposo onde abbiamo poc’anzi parlato, in proporzione della maggior debolezza delle sue forze morali, o, se cosi vuolsi, della maggiore vivacità nell’adoperarle. Ma perchè più lungamente raggirarci fra le artezze della metafisica? Un’occhiata al libro più antico