Piccola morale/Parte quarta/II. Difficoltà di conoscere gli uomini
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II.
DIFFICOLTA’ DI CONOSCERE GLI UOMINI.
Non pochi sono i tartufi; anzi, se crediamo ai misantropi, tutti gli uomini, dal più al meno, vanno macchiati di questa pece. È egli vero per altro che ci manchino al mondo anime ingenue che si rivelino a prima giunta pur quello ch’esse sono, tanto nelle loro buone, quanto nelle loro cattive qualità? Non crediamo che ci siano molti di questi naturali nocenti, appunto per le querele che da molti si fanno della poca sincerità che ci ha a questo mondo. Se tutti fossero tartufi ad un modo, ossia se tutti dessero ragionevole motivo a querelarci, chi vorrebbe guardarsi? E dato pure che anche il deplorare la malvagità dei tempi sia una delle varie guise a colorire le proprie, ciò non può farsi che posto un numero di persone le quali da sì fatti lamenti possano rimanere ingannate. Ma, conceduto che non tutti siano tartufi quelli che abitano la terra, è egli per questo dimostrato che sia meno grande ed universale la difficoltà di convenientemente giudicare dell’indole delle persone? Ecco qui una domanda che darà soggetto al presente discorso. E forse che leggendolo non manchi chi voglia indovinare tale o tale altra cagione che ci abbia indotti a scriverlo, e sarà questa una nuova prova della difficoltà che ci ha di conoscere le vere intenzioni onde sono gli uomini condotti ad operare.
Primieramente quanti non sono gli uomini ai quali tocca di battere una strada che non è la loro? Tizio avrebbe spalle da toga, e gli conviene invece mettersi ad armacollo una simitarra; Caio sarebbe a meraviglia riuscito nei calcoli, gli conviene invece trinciar capriole. Il mondo su questo conto è sempre andato ad un modo: forse anche questi traslocamenti sono necessarii a comporre quelle mirabili dissonanze, da cui procede la piena armonia che rende alle orecchie intelligenti l’universo, considerato nel suo tutto. E posto ancora che voglia ristringersi il discorso a coloro semplicemente che s’incamminarono per la via loro propria, non rimangono le stesse difficoltà a sormontare? Pigliamo esempio dagli uomini famosi. Quando hanno essi agio a mostrarsi nelle loro naturali sembianze? Chi è a lato d’un generale, quando la vigilia della battaglia considera seco stesso i punti a sè favorevoli e sfavorevoli della futura giornata? Chi può misurare che cosa costi ad un potente quello che sembrerà forse atto di eccessivo rigore? Abbiamo un bel voler giudicare gli uomini meglio dalle loro intenzioni, che dall’evento: l’infermità della nostra natura ci rispinge sempre nella limitata sfera dei fatti. Per sentenziare di un popolo ci conviene ricorrere all’individuo, per giudicare dell’individuo dobbiamo esaminarlo in qualcheduna delle sue azioni.
Piena di profonda verità è la malinconica idea con cui Tommaso Gray si fa a cercare sotto le zolle del cimitero campestre il Cromvello ed il Milton, cui mancarono le opportunità a soqquadrare lo stato, e a rapire gli animi nell’incanto di una immortale poesia. Un rozzo uomo della villa, addossato ai pilastri che fiancheggiano l’entrata del sagrato, mentre il sole prossimo a tramontare colora di una luce vermiglia i pinnacoli della chiesa, ha nell’animo qualche cosa che espresso in versi significherebbe:
Penso, risponde, alla città del regno
Di Giudea antichissima regina,
Che vinta or cade.....
ma le sue fantasie, non aiutate da veruna sorte di educazione, si vanno perdendo col fumo che vede sorgere poco lontano della capanna, ove lo aspetta la famigliuola impaziente di porsi a cenare. Fu vero e nobile pensiero di poeta filosofo il ritrarre il conquistatore terribile de’ nostri tempi, che dopo l’occaso della sua gloria, ponendosi a voler narrare sè stesso, si vede cader stanca la mano sopra le pagine eterne: ma quanto maggiore non sarebbe la difficoltà di chi avesse a narrare desiderii occulti, intime gioie e dolori, disegni nè manco abbozzati, che morirono presso che inavvertiti in quei petti medesimi, che li aveano prodotti! Quando un tale esclama: E anch’io son pittore, non porta egli di già nel proprio animo tutte le faville necessarie da un grande incendio? Ma che n’è di lai e del suo prodigioso entusiasmo, se non gli si presenti davanti gli occhi la tela da cui rimane avvertito della propria vocazione?
Mentre tutti gli uomini in generale mostrano da un lato di venerare chi mette fuori alcun che di nuovo, dall’altro si studiano di combattere quanto aiuterebbe la produzione di tali novità. Dominati dall’abitudine, pregni la mente ed il cuore di reminiscenze, presumono che chi si mette a battere una via nuova dia loro il doppio di quello dovrebbe, ossia oltre al suscitar in essi piacevoli commozioni faccia tacere le antiche; di qui spesso succede che l’animo e la penna degli scrittori rimangano addietro per tema di apparire insoliti e stravaganti; e quel tanto che n’esce prenda a salvacondotto la vernice, e in molti casi potrebbe dirsi la muffa, dell’età trapassate. Volete che gli uomini si rivelino nelle loro più schiette sembianze, e li chiamate increanti se non fanno uso del belletto a rifiorire il pallore cagionato dal riverbero delle lumiere ardenti nelle sale che il gran mondo tiene aperte per chi voglia ballare al suono della sua musica? Oh questa è pure contraddizione!
Voglio un poco arrestarmi a quest’arte dello scrivere. Tra i favoriti della fortuna, chi è che adoperi il proprio ingegno nella maniera più confacente alla tempera propria? Sono di qua che gli verranno i guadagni? O la fama gli sarà così piena e sollecita, che possa ridersi del guadaguo? Quante volte non s’è veduto chi aveva ricevuto l’invito da natura a comporre poemi dovere affaccendarsi in qualche scrittura legale? Quelle note di musica, che non sono altro fuorche goccie d’inchiostro portate da carta a carta, giacchè chi le scrisse non altro fece salvo copiare, non rapirono il tempo di più gravi occupazioni a una mente intenta a meditare sui diritti originarii dell’uomo, e sulla guisa migliore d’educazione? Oh avessero questi infelici tanta vivacità nell’azione de’ loro organi da comporre versi sognando come usava Torquato Tasso, o mirabili contraddanze di diavoli come il Tartini! Ma perchè volere turbati anche i loro sogni? Non è meglio che non abbiano nemmeno sentore della propria destinazione, e rimanga ad essi uella contrastata e angosciosa loro vita il conforto del sonno? Egli è dormendo che cessa il bisogno di conoscere gli uomini, e di essere conosciati da loro: certo questa è una ragione di più perchè il sonno debba credersi ragionevolmente chiamato fratello alla morte.