Piccola morale/Parte prima/VIII. Le relazioni

Parte prima - VIII. Le relazioni.

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VIII.

LE RELAZIONI.

Chi saprebbe ingenuamente affermare di conoscere cosa alcuna per sè stessa? Bisogna rimanere contenti di conoscerla per le sue relazioni. Ciò dovrebbe renderne molto circospetti nelle nostre sentenze. Noi per altro anche in questo siamo soliti di tenere una via affatto opposta alla retta, il nostro più usitato modo di ragionare e il seguente: considerata la cosa in sè stessa, lasciando da banda i casi particolari, prescindendo da questo o da quest’altro. Queste formule di discorso basterebbero esse sole a mostrare con quanta poca buona fede, o per lo meno con quanta inconsideratezza ci facciamo ad esaminare le cose, quelle ancora sulle quali intendiamo proferire giudizio. Noi dovremmo invece studiarci di porre gli oggetti sopra i quali si aggirano le nostre dispute in tutta la compiuta sfera delle loro [p. 39 modifica]relazioni, e di là trarne sufficiente materia alle nostre sentenze. Dal rinnegare un tal metodo, che deve senza dubbio considerarsi come il più sano e sicuro, ne nacquero e nasceranno, fino a che la nostra spezie non sia notabilmente cangiata, tutte le ipotesi e i mostruosi delirii dell’umano intelletto.

Tutto all’opposto facciamo, riguardo alle nostre passioni. Non sappiamo negare che non alteriuo esse in sommo grado le relazioni delle cose, se non altro rispetto al nostro particolare; e tuttavia non sappiamo mai liberarcene intieramente, e molte volte poniamo queste relazioni, individuali al nostro animo, come fondamento assolutamente necessario al nostro discorso. La formula allora dei nostri ragionamenti è di quest’altra maniera: lasciando da parte le astrazioni, venendo al concreto, senza perderci in questioni raetaGsiche. Tutto questo, a chi bene intende, ha il seguente significato: considerando le cose secondo le veggono i miei occhi, usurpandomi r esclusivo diritto di sentenziare, facendo norma generale ai giudizii il mio sentimento particolare.

Di qui conseguenze e delirii non meno funesti dei primi, quantunque nati da opposta cagione.

Chi ragiona nella maniera che abbiamo finora descritta, in cambio di dire: considerando la cosa in se stessa, sarebbe bene che dicesse, considerando la cosa in me stesso. Questa proposizione racchiuderebbe in sè un principio di ve[p. 40 modifica]rità, e non mancherebbe d’importanza, in quanto che anche le relazioni particolari ad un solo uomo, o ad una sola passione, meritano di essere considerate. Le conseguenze che si traessero sarebbero giuste, in quanto che non altro verremmo a significare con ogni nostra sentenza fuorche: un tale, posto nella tale condizione d’animo, ha delle cose questo dato concetto. Ma in noi l’ambizione è potente a segno da volere mutare il nostro particolare sentimento in regola universale, senza badare che in ciò mostriamo una specie di debolezza, dichiarandoci avidi d’ottenere i suffragii degli altri. Questi due opposti principii si trovano infusi in ogni nostro ragionamento e ne cagionano la insussistenza. Giugnessimo, non foss’altro, ad ottenere di mostrarci concordi con noi medesimi, considerando sempre le cose soltanto in se stesse, ovvero nelle varie relazioni che hanno con noi! Ma chi può sperare di veder l’uomo concorde con sè stesso? Non sarebbe questo uno degli elementi principali di quella felicità che non gli sarà mai conceduta vivendo?