Piccola morale/Parte prima/II. La certezza

Parte prima - II. La certezza.

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II.


LA CERTEZZA.


Vi è mai accaduto di affacciarvi oggi col pensiero a quella sentenza, che ieri o l’altro sembravavi impossibile ad essere contraddetta, e trovare un’infinità di ma e di pure a ridirvi sopra? Vi fo questa domanda sicuro che dobbiate rispondermi di si, avendovi in concetto per un verso di sincerissimi, e per l’altro d’uomini capaci di veder nelle cose i molti lati che hanno, anche i meno appressabili ed apparenti. La sicurezza che dobbiate rispondermi affermativamente è in me nata da una non breve e non interrotta esperienza fatta sopra me stesso, e da un esame un po’ attento sugli scritti degli autori più coscienziosi, paragonando i tempi fra loro secondo ne suggerisce la critica giudiziosa. Al vedere come anche gli uomini meglio fondamentali vacillino ad ogni poco nelle loro opinioni e si ricredano, si è fatta minore la malinconia che mi aveva preso al sentirmi a quando a quando in lite con me medesimo.

Non deve sembrar strana questa debolezza del nostro intelletto, che non è senza dubbio la meno deplorabile delle sue malattie, quando si consideri da quante cose possiamo essere ritardali ne’ nostri giudizii. Lasciate da parte le passioni più gagliarde e solenni che mandano tutto [p. 9 modifica]a soqquadro, e fanno apparire gli oggetti tinti di un solo colore che non è proprio di nessuno in particolare, non basta un poco di squilibrio negli umori, una digestione non compiuta a dovere, un’alterazione qualunque nell’atmosfera, a vibrare o rilassare le nostre fibre, e quindi cagionare confusione, perplessità, lentezza nelle nostre idee e in tutto l’ordine de’ nostri discorsi? La mano che scorre sullo stromento è pur sempre la stessa, perchè non dirò che il scilocco e la tramontana operino sull’anima direttamente, ma le corde non rendono il solito suono, e quindi egli è indarno cercare armonia. Ben spesse volte potremmo dire a noi stessi, quando ci sembra che la nostra ragione offuscata da troppo spessi vapori esca in qualche sentenza bislacca e contraria a quanto si era da noi pensato per lo innanzi, ciò che l’accorta femminetta ebbe animo e ingegno di dire al Macedone: mi appello dalla sentenza del re preoccupato, al re stesso libero da preoccupazione.

Molto disgustosamente ci accade ancora talvolta di travedere, anzichè vedere, la verità, e mentre da un lato non abbiamo bastanti motivi per tenerci certi del fatto nostro, per l’altro una quasi larva di quello che cerchiamo ci si aggira per l’intelletto, e da noi inseguita, come i fuochi dei cimiterii, striscia, lingueggia, e non si lascia appressare. Credo sia questa la condizione più dolorosa della nostra mente, il nostro amor [p. 10 modifica]proprio rimane da ciò mortalmpnte ferito, presentandoglisi davanti la meta ad ogni ora, e rimanendo ad ogni ora convinto della propria inabilità ad arrivarla. Forse che questa verità veduta a mezzo, traverso un velo, solamente di fianco, o che altro dir si voglia, sia stalo il principale eccitamento per molti a gettarsi senza badar più che tanto nella voragine sterminata dello scetticismo. Per non acconciarsi ad essere costretti a dubitare qualche volta e di qualche cosa, si contentano di dubitar sempre e di tutto, come ho udito farsi da taluno troppo dedito al vino, che per non manifestarsi fuori del senno a certe ore, attesa la gozzoviglia in cui si era immerso, vi stava sepolto dalla mattina alla sera, studiandosi che paresse in lui non più che effetto d’infelice natura ciocchè in altri si ha per nauseosa singolarità di abusale vivande.

E per altra parte si ha egli a rinnegare l’esercizio della propria ragione, o presumere in sè stessi tanta tranquillità di giudizio da saper dire: oggi il cervello non mi regge, e quindi non mi fo a ragionare? Ella è pur questa la sola via che rimanga a chi non voglia trovarsi ad ogni poco alle prese col dubbio. La stampa di una verità compresa quando che fosse, e prego i miei lettori di prendere la similitudine con qualche discrezione, bisognerebbe serbarla nella memoria a quella maniera che siamo solili ritenere la fisonomia di persona di cui non ricordiamo il nome. Al rivedere [p. 11 modifica]di quella persona, il cuore, mentre ancora la memoria ci è muta ad ogni notizia più singolare, ne va dicendo se quella persona ci fosse o no cara, se l’abbiamo veduta in luoghi e in tempi aggradevoli o se il contrario, e molte voile ancora sopra queste indeterminatissime premesse avviamo il nostro dialogo, durante il quale ci vengono a mano a mano dinnanzi alla memoria il nome e la condizione, e per dirla in breve il quale, e il quanto, e ogni cosa di colui che fino a quel punto non altri era che l’Innominato.

Similmente riferendoci alla certezza in cui fummo altra volta di una data proposizione, e progredendo sopra questo dato coi nostri ragionamenti, ci accadrà molto spesso che la verità ne balzi d’improvviso agli occhi, scappando da qualche angolo inavvertito del nostro cervello ove stavasene ricantncciata. Vorremmo per altra parte spendere tutta la nostra vita nel dubbio? E parmi che anche del dubitare si possa dire come di molti altri abiti, i quali benchè a principio riescano fastidiosi come contrarli e nocenti alla nostra natura, giungono finalmente a farsi amare per via della lunga e continua ripetizione e a convertirsi in una nuova e singolare natura addossata a quella primitiva che avevano nascendo sortito comune co’ nostri fratelli. E non credasi tuttavia che io m’intenda non doversi porre di nuovo ad osarne quella che in certo tempo ci e sembrato verità, quando alcune valide ragioni in contrario [p. 12 modifica]si rappresentino al nostro intelletto; solamente domando anche in ciò conveniente misura, e che si faccia sempre ragione dell’importanza del tempo, che non è dato all’uomo solamente per specolare, ma ben anco, e più propriamente, per operare.

A qual proposito ho io cianciato di questi dubbii e di queste certezze? E quale importanza può avervi in simili discussioni? Facilissima la risposta. Una delle maggiori calamità che possano cadere addosso ad un galantuomo è la tendenza alla perplessità in quanto pensa ed opera nella sua vita; come per altra parte anche chi non conosce questo genere di miseria, proprio pur troppo della maggior parte degli uomini, userà ne’suoi giudizii di una rigidezza poco caritatevole e poco discreta. Guai a chi non ha mai dubitato, e a chi dubita sempre! Atteniamoci ad alcune reminiscenze che confortino i nostri timori; siano esse il faro luminoso a cui possa levarsi il nostro occhio per trovare un indirizzo e una via nella notte burrascosa della nostra navigazione. Quando ci vengono meno le realtà, ristoriamoci nelle visioni. Egli è il rettile che ha bisogno delle sue trombe, cui allunga e contrae secondo il bisogno per camminare securamenle; ma dentro di noi vi è alcun che di vivace e di attivo che deve tenerci luogo dei tentacoli necessarii agli animali sprovveduti delle nostre più nobili facoltà. Ciò che si slancia fuori di noi, indipendente da quanto ne [p. 13 modifica]circonda, se nou in quanto se ne giova come di ministri e di servi, fabbrichi a sè stesso un nido di cara e consolante certezza ove rifugiarsi nell’ore più difficili e più sconsolate. Non abbiano su di esso predominio la fortuna, il tempo e le vicende miserabili della vita; tetragoni a tutti i colpi, sappiamo esser certi, anche quando ci sia tolta dagli occhi la verità, la quale alcuna volta non per altro ci è tolta che per renderci più soave la sua viala quando ne venga fatto di riconquistarla.