<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/397&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20130712192547</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/397&oldid=-20130712192547
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 397 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 443modifica] piú per natura, ma per ragione, e conseguentemente saper piú di quello che gli conveniva, cioè entrare colle sue proprie facoltà nei campi dello scibile, e quindi, non dipendendo piú dalle leggi della sua natura nella cognizione, scoprir quello, che alle leggi della sua natura era contrario che si scoprisse. Questo e non altro fu il peccato di superbia che gli scrittori sacri rimproverano ai nostri primi padri; peccato di superbia nell’aver voluto sapere quello che non dovevano e impiegare alla cognizione un mezzo e un’opera propria, cioè la ragione, in luogo dell’istinto, ch’era un mezzo e un’azione immediata di Dio: peccato di superbia che a me pare che sia rinnuovato precisamente da chi sostiene la perfettibilità dell’uomo. I primi padri finalmente peccarono appunto per aver sognata questa perfettibilità, [p. 444modifica]e cercata questa perfezione fattizia, ossia derivata da essi. Il loro peccato, la loro superbia, non consiste in altro che nella ragione: ragione assoluta: ragione, parlando assolutamente, non male adoperata, giacché non cercava se non la scienza del bene e del male. Or questo appunto fu peccato e superbia. Condannato ch’ebbe la donna e l’uomo, disse Iddio: Ecce Adam quasi unus ex nobis factus