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444 pensieri (397-398-399)

e cercata questa perfezione fattizia, ossia derivata da essi. Il loro peccato, la loro superbia, non consiste in altro che nella ragione: ragione assoluta: ragione, parlando assolutamente, non male adoperata, giacché non cercava se non la scienza del bene e del male. Or questo appunto fu peccato e superbia. Condannato ch’ebbe la donna e l’uomo, disse Iddio: Ecce Adam quasi unus ex nobis factus  (398) est, sciens bonum et malum. (Genesi, III, 22). E non aggiunse altro in questo proposito. Dunque egli non tolse alla ragione umana quell’incremento che l’uomo indebitamente gli aveva procurato. Dunque l’uomo restò veramente simile a Dio per la ragione, restò piú sapiente assai di quando era stato creato. Dunque il decadimento dell’uomo non consisté nel decadimento della ragione, anzi nell’incremento. Vedi p. 433, capoverso 1. E sebben l’uomo ottenne precisamente quello che il serpente aveva promesso ad Eva, cioè la scienza del bene e del male, non però questa accrebbe la sua felicità, anzi la distrusse. Questi mi paiono discorsi concludenti, e raziocinii non istiracchiati, ma solidi e dedotti naturalmente e da dedursi dalle parole e dallo spirito bene inteso della narrazione Mosaica, e se ne può efficacemente concludere che lo spirito di questa narrazione è di attribuire formalmente la corruzione e decadenza dell’uomo all’aumento della sua ragione, e all’acquisto della sapienza; considerar come corruttrice dell’uomo la ragione e il sapere: cioè come mezzi espressi di corruzione, perché la causa primaria fu la disubbidienza, ma la disubbidienza a un divieto che proibiva appunto all’uomo di procurarsi e di rendere efficaci questi mezzi di corruzione e d’infelicità.  (399)

3°. Avanti il peccato, ossia avanti il sapere, erat autem uterque nudus, Adam scilicet et uxor eius, et non erubescebant. (Genesi, II, 25) Ma come prima Adamo ebbe mangiato del frutto, et aperti sunt oculi amborum: cumque cognovissent se esse nudos, consuerunt folia ficus et fecerunt sibi perizomata (III, 7). E Dio disse