<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/3498&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20171202095020</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/3498&oldid=-20171202095020
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 3498 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 423modifica] espettativa è ben poco atta a consolare in questa vita l’infelice e lo sfortunato, a placare e sospendere i suoi desiderii, a compensare quaggiú le sue privazioni. La felicità che l’uomo naturalmente desidera è una felicità temporale, una felicità materiale, e da essere sperimentata dai sensi o da questo nostro animo tal qual egli è presentemente e qual noi lo sentiamo; una felicità insomma di questa vita e di questa esistenza, non di un’altra vita e di una esistenza che noi sappiamo dover essere affatto da questa diversa, [p. 424modifica]e non sappiamo in niun modo concepire di che qualità sia per essere. La felicità è la perfezione e il fine dell’esistenza. Noi desideriamo di esser felici perocché esistiamo. Così chiunque vive. È chiaro adunque che noi desideriamo di esser felici, non comunque si voglia, ma felici, secondo il modo nel quale infatti esistiamo.1 È chiaro che la nostra esistenza desidera la perfezione e il fin suo, non già di un’altra esistenza, e questa a lei inconcepibile. La nostra esistenza desidera dunque la sua propria felicità; ché desiderando quella di un’altra esistenza, ancorch’ella in questa s’avesse poi a tramutare, desidererebbe, si può dire, una felicità non propria ma altrui,
Note
↑L’uomo non desidera la felicità assolutamente, ma la felicità umana (cosí gli altri animali), né la felicità qualch’ella sia, ma una tale, benché non definibile, felicità. Ei la desidera somma e infinita, ma nel suo genere, non infinita in questo senso ch’ella comprenda la felicità del bue, della pianta, dell’Angelo e tutti i generi di felicità ad uno ad uno. Infinita è realmente la sola felicità di Dio. Quanto all’infinità, l’uomo desidera una felicità come la divina, ma quanto all’altre qualità ed al genere di essa felicità, l’uomo non potrebbe già veramente desiderare la felicità di Dio. L’uomo che invidia al suo simile un vestito, una vivanda, un palagio, non è propriamente mai tócco né da invidia né da desiderio dell’immensa e piena felicità di Dio, se non solo in quanto immensa, e piú in quanto piena e perfetta. Veggasi la p. 3509, massime in margine.